lunedì 10 dicembre 2012

EGITTO, LE SOMMOSSE CONTRO IL PRESIDENTE DEMOCRATICAMENTE ELETTO

A partire dal 24 Novembre, i giornali italiani hanno dato ampia pubblicità a non si sa quanto inventate rivoluzioni democratiche contro il presidente Morsi e contro la maggioranza eletta dei Fratelli Musulmani. Tali rivolte sarebbero state determinate dai tentativi dittatoriali del presidente che avrebbe modificato al di fuori delle procedure costituzionali l'assetto del neo regime egiziano.
Particolarmente virulenta è stata la campagna organizzata da alcuni giornali italiani all'indomani del ruolo decisivo che Morsi, per riconoscimento degli stessi Stati Uniti d'America, ha svolto per spegnere l'incendio di una nuova exalation sionista contro la popolazione di Gaza.
Forniamo qui un'informativa esaustiva sui testi di tali articoli:

I - Assalto al palazzo presidenziale Egitto, Morsi costretto alla fuga

DIVERSI dimostranti erano riusciti a sfondare un doppio cordone di poliziotti e stavano scalando i muri di protezione del palazzo presidenziale di Heliopolis, quando sono stati fermati dai loro compagni di fede politica. Il capo dello stato Mohamed Morsi è stato costretto a dileguarsi e a rifugiarsi nella sua elegante casa di New Cairo, nella periferia orientale della megalopoli. «Il presidente se n'è andato», ha comunicato un suo portavoce. Gli agenti delle Forze centrali di sicurezza, che avevano a lungo tentato di non essere sopraffatti con la consueta pioggia di lacrimogeni, sono stati rischierati allo Sporting club del quartiere. Diversi poliziotti si erano uniti ai manifestanti e avevano gridato i loro slogan. Diciotto dimostranti sono stati ricoverati in ospedale con sintomi di intossicazione. Nel Palazzo sono rimasti solo i membri della Guardia Repubblicana.

LA CAPITALE egiziana è stata sconvolta da una nuova giornata di protesta di massa contro il decreto che ha attribuito enormi poteri a Morsi e contro la nuova bozza di costituzione approvata in 19 ore il 30 novembre. La manifestazione di ieri era stata ribattezzata «Ultimo avvertimento». Due grandi cortei partiti dai rioni Korba e Abbasseya e da due moschee, decine di migliaia di persone, si sono radunati in piazza Tahrir e poi davanti al palazzo della Presidenza in viale el-Mirghani. Uno striscione accusava la Guida dei Fratelli Musulmani Mohamed el-Badie di aver «svenduto la rivoluzione». Dodici giornali e cinque canali televisivi hanno proclamato per ieri uno sciopero contro «il nuovo faraone» e la bozza di Costituzione che sarà sottoposta a un referendum il 15 dicembre.

NELLE STRADE sono scesi, in maglia nera e armati di fischietti, il Movimento giovanile 6 aprile, i socialdemocratici, il partito della Costituzione di Mohammed el-Baradei, ex direttore del'agenzia dell'Onu contro la proliferazione atomica, e il Movimento della Corrente Popolare dell'ex candidato nasseriano alla presidenza Hamdeen Sabbahi. Il nuovo procuratore generale Talaat Abdullah, appena nominato da Morsi, ha accusato i due capi dell'opposizione e l'ex segretario della Lega Araba Amr Moussa di essere «Spie al soldo di Israele» e di «voler rovesciare le istituzioni dello stato, in particolare l'Assemblea Costituente». L'imputazione è alla base di una formale denuncia alla Suprema corte per la sicurezza nella quale Abdullah, a sostegno della sua ipotesi, cita un recente faccia a faccia fra Moussa e l'ex ministro degli esteri israeliano Tzipi Livni. Ieri il capo della diplomazia egiziana ha convocato l'ambasciatore israeliano al Cairo e gli ha contestato la decisione di costruire 4700 nuovi alloggi a Gerusalemme est e nella Cisgiordania occupata.

DUE GIORNALISTE del secondo canale della tv di stato, Bossaina Kamel e Hala Fahmy, sono state sospese dal servizio e messe sotto inchiesta per aver «ridicolizzato» il presidente Morsi e i Fratelli Musulmani nelle trasmissioni «Notizie di 24 ore» e «La coscienza». Heba Morayef, ricercatrice di Human Rights Watch, annota che il governo, sulla base della bozza di Costituzione approvata il 30 novembre, avrebbe il diritto di autorizzare o meno i canali tv e i siti internet, di proteggere «la vera natura della famiglia egiziana», e di limitare il diritto di cronaca sulla base di concetti vaghi come la «moralità» e «l'insulto».

Lorenzo Bianchi


II - Assedio al palazzo di Morsi “L’Egitto non è tuo, vattene”

IL CAIRO — Per l’opposizione era il giorno della sfida, dopo che il Presidente Morsi nel suo «il discorso alla grande nazione egiziana », come l’avevano annunciato i suoi collaboratori, non aveva fatto nulla per venire incontro agli oppositori politici e riportare la calma nel paese. La sola offerta di colloquio («alle 12.30 di sabato» aveva precisato, ed era sembrata una presa in giro), senza la minima concessione nei fatti, era apparsa subito ai manifestanti che avevano ascoltato il discorso per strada dalle autoradio unicamente una manovra propagandistica. Così come aveva fatto pessimo effetto la sua abilità a simulare, a rovesciare le carte in
tavola. Morsi nel discorso aveva addossato tutta la responsabilità delle violenze dell’altra notte all’opposizione — anche se testimonianze e video raccontano il contrario. Il presidente aveva anche accusato gli oppositori di far parte di un complotto al soldo di misteriose ma potenti «forze straniere » e degli amici del vecchio regime.
«La faccia era quella di Morsi ma le parole erano identiche a quelle pronunciate da Mubarak», commenta Shahira Mehrez, una
storica dell’arte egiziana che fin dai primi giorni delle manifestazioni contro Mubarak era a piazza Tahrir e oggi è in prima fila davanti al palazzo presidenziale. I partiti dell’opposizione hanno respinto l’offerta di dialogo: «Morsi ha chiuso la porta», ha detto Mohammed el Baradei, il premio Nobel che è il coordinatore del Fronte di Salvezza Nazionale in cui si sono riuniti i fino a poco fa molto diversi partiti dell’opposizione. «Non ci sono le basi per un dialogo se manca qualsiasi disponibilità al compromesso ».
Baradei aveva lanciato l’altro ieri sera agli egiziani l’appello a scendere di nuovo in piazza. E per tutto il pomeriggio, subito dopo la fine della preghiera delle una, migliaia di persone, soprattutto giovani sono sfilate da diversi quartieri verso il palazzo presidenziale a Heliopolis. «Vattene», «Il nostro paese non è di tua proprietà », scandivano i manifestanti. Ormai gli slogan ritmati che animano le manifestazioni sono diretti personalmente contro Morsi più che contro il progetto di Costituzione (criticato anche dall’Organizzazione per i Diritti umani per la sua ambiguità). Morsi lo vorrebbe far approvare a tambur battente con un referendum popolare il 15 dicembre, prima ancora che il 16 la Corte costituzionale si pronunci sulla legalità dell’Assemblea costituente (dubbia, anche perché vi erano solo i partiti islamisti).
Il discorso del presidente ha invece infiammato i suoi seguaci (che ormai la gente ormai chiama “Fratelli” senza aggettivo, perché, sostiene, «musulmani siamo tutti e il loro è un trucco per far credere che musulmani sono solo loro). Morsi li aveva confermati nel ruolo di vittime di forze laiche che vorrebbero delegittimare il risultato elettorale di cinque mesi fa e trasformare l’Egitto in un paese senza religione. In migliaia sono andati ieri mattina alla moschea di al Aqsa ad assistere alla sepoltura di due vittime degli scontri. «L’Egitto sarà islamico, né laico né liberale», gridavano.
Una folla immensa è rimasta per tutta la sera davanti al palazzo presidenziale, protetto dai carri armati dell’esercito e della Guardia Repubblicana e da blocchi di cemento e rotoli di filo spinato. I soldati schierati immobili dietro il filo spinato non hanno battuto ciglio nemmeno quando qualcuno cominciava prima a spingere le bandiere di là dal filo spinato, e poi a srotolarlo per passare dall’altra parte, trattenuto però dalla gente che non voleva provocazioni. Dopo il calare della notte però molti manifestanti hanno deciso di scavalcare il filo spinato e si sono avvicinati al palazzo presidenziale. I soldati della Guardia Repubblica li hanno lasciati passare senza opporre resistenza. Dagli altoparlanti dei manifestanti intanto arrivava il messaggio del Fronte di Salvezza Nazionale che invitava la gente a non ritirarsi e organizzare un sit-in intorno al palazzo presidenziale fino alle dimissioni del presidente.
Alle nove di sera la prima vittoria. La commissione elettorale ha annunciato che per i cittadini che vivono all’estero il voto sul referendum costituzionale, che avrebbe dovuto iniziare domani, è stato posticipato a mercoledì 12 dicembre. Potrebbe essere il segno di una prima apertura. L’opposizione vede il referendum come il momento cruciale su come sarà il futuro del paese. «Il presidente potrebbe considerare il rinvio del referendum — ha detto il vicepresidente Mahmud Mekki — se l’opposizione assicurerà di non usare questo atto per annullare la consultazione». Alla tv Baradei ha rivolto un appello a Morsi: «Chiedo al presidente di cancellare questa sera il referendum in modo da avere una intesa nazionale e scrivere una nuova Costituzione».
Dimostranti e militari intorno al palazzo presidenziale fanno di tutto per mantenere la situazione calma. Ma in una moschea vicina dopo le voci di rinvio del referendum si sono riuniti gli islamisti. E i dimostranti si sono subito organizzati per proteggersi.

Vanna Vannuccini


III - Egitto, i tank a difesa di Morsi assalto ai Fratelli musulmani il presidente in tv: Dialogo
IL CAIRO - I segni dell' orgia di violenza che per undici ore ha opposto migliaia di Fratelli musulmani e di salafiti, sostenitori del presidente Morsi, contro un numero meno imponente ma non meno determinato di oppositori, sono ancora visibili nel quartiere di Heliopolis, dov' è il palazzo presidenziale circondato dai tank dell' esercito. Vetrate a pezzi, stazioni di benzina saccheggiate, macchine bruciate, cassonetti di spazzatura usati come barricate. Nell' aria resta l' odore della plastica bruciata e sui portoni grandi macchie di sangue. Sette morti e più di settecento feriti è il bilancio degli scontri, i più sanguinosi da quando il popolo egiziano scese in piazza contro Mubarak nel gennaio del 2011. In giornata i seguaci dei Fratelli musulmani si sono poi ritirati, obbedendo a un ordine dall' altro e l' esercito insieme alla Guardia repubblicana hanno blindato il quartiere. Per tutta la giornata era atteso un discorso del presidente, più volte annunciato dai media e poi smentito. E finalmente alle dieci di sera Morsi si è presentato davanti alle telecamere per dirsi pronto a un dialogo con l' opposizione convocato per sabato. Dopo questo confronto con l' opposizione, ha detto, le parti più controverse della sua recente "dichiarazione costituzionale" (con la quale si è attribuito praticamente pieni poteri) potrebbero venir modificate. La dichiarazione sarà comunque nulla dopo il referendum sul progetto di costituzione fissato per il 15 dicembre, ha detto. «Il diritto alla protesta pacifica va riconosciuto ma in molti casi la violenza era stata programmata da gente pagata per fomentarla». Morsi ha espresso cordoglio per le vittime e ha annunciato che 80 persone «implicate in atti di violenza» sono state arrestate. Gli oppositori che anche ieri sera, sia pure in numero inferiore alla notte precedente, si erano riuniti nella piazza Tahrir, simbolo della rivoluzione, e nelle vicinanze del palazzo presidenziale hanno ascoltato il discorso del presidente ma non ne sono rimasti impressionati. Hanno continuato a scandirei loro slogan: «Morsi se ne deve andare», «Libertà libertà» «Abbasso i Fratelli musulmani". Dopo le violenze della notte scorsa le posizioni si sono irrigidite, il tetto delle rivendicazioni si è alzato. I manifestanti chiedono che Morsi revochi tutti i decreti e convochi una nuova Assemblea costituente che rifletta la pluralità della società egiziana. «Eravamo pronti a intavolare un dialogo, ma dopo la violenza che abbiamo sperimentato ieri notte non ci fidiamo più» dice una giovane donnaa Piazza Tahrir. Nel ricordo della rivoluzione che ha portato alla caduta di Mubarak tutto sembra possibile. Entrambi i campi si accusano a vicenda di aver provocato la brutale escalation di violenza di ieri notte. La manifestazione degli oppositori riuniti nel Fronte di salvezza nazionale era infatti cominciata pacificamente, sugli striscioni era scritto: «Non più dittatura». Chiedevano al presidente di revocare la dichiarazione costituzionale con cui si attribuisce praticamente un potere assoluto e il progetto di Costituzione redatto in fretta e furia unicamente dagli islamisti e per gli islamisti, di rinviare il referendum fissato per il 15 dicembre e di avviare un dialogo con l' opposizione. Richieste sostenute anche dal gran imam Ahmed el Tayyeb, capo del prestigioso centro teologico sunnita del Cairo Al Azhar che oggi ha chiesto più esplicitamente al Presidente di «sospendere il decreto e cessare di usarlo». Ma la violenza di ieri notte ha spaventato. Un giornalista è stato colpito da una pallottola esplosa a un metro di distanza, ha riferito un suo collega, perché i Fratelli musulmani volevano impedirgli di riprendere alcuni episodi di violenza. Per tutta la notte i Fratelli musulmani hanno tenuto in ostaggio 60 manifestanti - «i nostri prigionieri» - e impedito ai giornalisti di avvicinarsi. Dopo l' orgia di violenza hanno celebrato "la vittoria" e minacciato la jihad. «Difendere Morsi è difendere l' Islam», scandivano. Un noto predicatore televisivo, Abdullah Badr, ha accusato i cristiani di guidare la protesta: «Se tolgono un capello a Morsi caveremo loro gli occhi». E per tutta risposta circa 200 dimostranti hanno dato alle fiamme il quartier generale dei Fratelli musulmani. Il paese è elettrizzato. I laici si organizzano, gli islamisti si mobilitano, tutti sono su posizioni intransigenti. Di fronte allo spettro di una guerra civile che vanificherebbe i risultati della rivoluzione, ieri sera si sono moltiplicati gli appelli alla calma. L' ex capo della Lega araba Amr Moussa, uno dei leader del Fronte di Salvezza nazionale, ha detto di aver preso contatto con i Fratelli musulmani e con il partito dei salafiti Al Nour per «porre fine allo spargimento di sangue». «La legittimità del presidente dipenderà molto dal suo grado di saggezza» ha aggiunto, con riferimento all' annunciato discorso di Morsi. Esam el-Eryane, un notabile della Fratellanza musulmana, è partito ieri alla volta degli Emirati e di Washington. Anche Teodoro II, il nuovo papa dei cristiani copti, ha dichiarato su Twitter: «Abbiamo bisogno di saggezza nel cammino delle nostre vite». Il capo dei Fratelli Musulmani, Mohamed Badie, ha lanciato un appello all' unità del popolo egiziano. E ieri sera è poi arrivato il discorso del presidente. Ma una soluzione della crisi sembra ancora lontana.

Vanna Vannuccini


IV - Il Cairo, la retromarcia di Morsi

IL CAIRO - Il presidente egiziano Mohamed Morsi, secondo Al Arabiya ha annullato il decreto con il quale si era aumentato i poteri. Intanto, dopo esser rimasti fuori della mischia nella crisi di questi giorni, i militari rientrano nella politica egiziana con l´autorità di cui hanno goduto per sessant´anni. «Solo il dialogo può impedire la catastrofe. Altrimenti l´Egitto entrerà in un tunnel buio. Non lo permetteremo». Le tv hanno interrotto i programmi per mandare in onda la dichiarazione con cui l´esercito afferma che «la legittimità e le regole della democrazia non devono essere contraddette» e che «non sarà tollerato l´uso della violenza». Secondo il giornale al Ahram Morsi si prepara a varare una specie di legge marziale che autorizzerà i militari ad arrestare e processare i civili - potere nelle società democratiche riservato alla polizia.
Una doccia fredda per i giovani che venerdì hanno manifestato in massa sotto il palazzo presidenziale per chiedere al presidente di andarsene - una richiesta che andava oltre quella ufficiale dell´opposizione che vuole il ritiro dei decreti con cui Morsi si è attribuito poteri straordinari e la revisione del testo costituzionale varato in fretta e furia dagli islamisti prima del referendum fissato per il 15 dicembre. Sabato la massa che aveva partecipato alle manifestazioni davanti al palazzo presidenziale non c´era più, ma alcune centinaia di oppositori proseguono il sit-in davanti a due blindati parcheggiati davanti al palazzo su cui qualcuno ha issato uno striscione con la scritta: «Morsi via».
La dichiarazione dei militari ha subito fatto temere agli egiziani che l´esercito stia per riprendersi il potere come aveva fatto l´anno scorso dopo la caduta di Mubarak, ma fonti militari hanno minimizzato, le forze armate non pensano a un intervento diretto, hanno fatto sapere. La dichiarazione tuttavia lascia capire che l´esercito è pronto a intervenire perché il referendum si tenga il 15 dicembre come vogliono i Fratelli musulmani. Secondo il giornale al Ahram la legge marziale "light" durerà fino al referendum e all´elezione di un nuovo parlamento due mesi dopo, ma a discrezione del presidente potrebbe venir estesa anche oltre. La storia si vendica. Per decenni i presidenti egiziani - tutti provenienti dalle forze armate - avevano usato la legge marziale come pretesto contro l´insorgere dell´islamismo, ora sono i Fratelli musulmani a farvi ricorso. In agosto Morsi aveva concluso un´alleanza con i generali meno compromessi con il regime di Mubarak assicurando che nella nuova costituzione sarebbero stati garantiti i privilegi di cui la società militare ha goduto per più di sessant´anni.
Venerdì il vicepresidente Mekki aveva detto che il presidente era pronto, a certe condizioni, a rinviare il referendum per avviare il dialogo con l´opposizione. E il premier Kandil aveva aggiunto che Morsi era «disponibile a modificare il decreto con cui si è attribuito poteri illimitati». Ma ieri i Fratelli musulmani e diversi gruppi salafisti hanno pronunciato il loro categorico no. «Non ci devono essere né rinvii né cambiamenti» hanno affermato in un comunicato. La parola d´ordine è che il referendum va fatto subito «per difendere la legittimità di un presidente eletto dal popolo». «L´opposizione non rispetta la democrazia» mi spiega uno degli islamisti che presidiano la moschea Rabaa el Adaweya, da dove venerdì sera erano pronti ad attaccare i manifestanti (ma erano stati fermati all´ultimo momento da un ordine dall´alto). «Fanno parte di un complotto internazionale che vuole impedire l´arrivo al potere degli islamici e riportare le cose come prima della rivoluzione. Al testo costituzionale non si deve cambiare una virgola. Non vogliamo che le donne prendano a modello l´occidente, la donna deve essere rispettata come madre e moglie come appunto afferma il testo costituzionale che gli egiziani voteranno tra una settimana».


Chi legga con un minimo di attenzione e di obbiettività gli articoli che abbiamo pubblicato (sono solo una parte di quanti hanno riversato il loro livore contro chi ha vinto le prime libere elezioni egiziane) può facilmente rendersi conto che gli autori degli attacchi eversivi contro le istituzioni liberamente elette in Egitto sono in realtà quei "signori" di appartenenza politico-ideologica eterogenea, accomunati soltanto dall'odio contro chi ha liberato l'Egitto da partiti più o meno vicini al regime corrotto dell'ex faraone Mubarak. A dimostrazione di tale ipotesi c'è il fatto che ad essere assalite con violenza dai presunti rivoltosi "democratici" sono state le sedi dei Fratelli Musulmani, che hanno contato nelle loro file decine di morti e feriti, mentre gli amanti della libertà e della democrazia hanno avuto solo qualche lieve ferito dovuto a poche bombe lacrimogene. Significativa la foto pubblicata da La Repubblica che ritrae un "eroe democratico lievemente ferito e portato in giro da altri "democratici" come lui come se fosse un Cristo in Croce. In realtà l'eroe ha solo qualche lieve scalfitura e se non si dovesse inscenare un macabro spettacolo egli potrebbe camminare tranquillamente con le proprie gambe. Ma come si giustificherebbe allora il truculento titolo "Ancora sangue in Egitto". Che dire allora delle centinaia di feriti che hanno insanguinato le città della Grecia, dell'Italia e della Spagna, vittime di una feroce repressione poliziesca, purtroppo destinata ad intensificarsi.
I giornalisti e giornali servi dei tiranni e dei loro amici hanno questo in comune: non sanno neanche costruire seri fotomontaggi.
Gli amici delle ex dittature che hanno oppresso il mondo arabo per decenni, sostenute dai vari governi americani ed europei "se la debbono incartare". La bandiera della libertà sventola oggi in Egitto, Tunisia, Turchia e presto anche sulle mura di Damasco. E contro i delitti del macellaio Assad le grida delle oche starnazzanti contro il regime di Morsi non impiegano molte parole traboccanti di sdegno.


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