mercoledì 21 dicembre 2011

RAZZISMO: Cancro dell'Umanità

Fra le manifestazioni negative dello spirito umano, il razzismo è la più pericolosa: se vogliamo fare un accostamento con una malattia possiamo paragonare il razzismo al tumore nella fase terminale delle metastasi diffuse. Nel razzismo confluiscono infatti l'intolleranza religiosa, l'odio etnico per "l'altro", l'istinto di sopraffazione e di morte, il patologico rifiuto del diverso che solo per la sua diversità incute terrore, il tutto è condito con il disprezzo, portato fino al desiderio dell'annientamento, dell'oppressione e dell'umiliazione.
Il simbolo più completo del razzismo è Auschwitz-Birkenau.
Il razzismo poggia sui peggiori istinti dell'uomo: dall'egoismo individuale e di gruppo alla paura cieca verso ciò che non si conosce e non si vuole comprendere; dal rifiuto della cultura e delle civiltà diverse alla pretesa di essere membri eletti di una razza superiore. Fa da cemento la tendenza a scaricare le proprie frustrazioni
sull'altro. Se il più ribadito precetto di Gesù è "Ama il tuo prossimo come te stesso", il razzismo è la più radicale negazione del concetto evangelico; e se la religione è il desiderio di cercare ciò che unisce la molteplicità del reale ("Res Ligo") e di sentire in Dio il significato comune di tutto l'esistente, il razzismo è la più grave manifestazione di anti religiosità: esso in realtà è offesa verso l'uomo e bestemmia contro Dio.
E' opinione diffusa che il razzismo sia inscritto nel DNA della specie umana. Si tratta di un'ignobile falsità: l'uomo è per natura un animale sociale e un essere culturale e la società e le culture nascono e si sviluppano e si sviluppano grazie allo scambio dei beni materiali e delle conoscenze, mentre il razzismo elimina lo scambio e vi sostituisce la rapina e l'omicidio. Il razzismo ideologico, politico, etnico e religioso è invece il prodotto della storia, e in particolare della storia europea degli ultimi secoli.
Non esisteva razzismo in senso proprio nelle culture del levo antico che pure praticavano su larga scala la schiavitù. Non erano razzisti i greci, che usavano adottare gli dei dei popoli con i quali venivano a contatto. I poemi omerici ruotano intorno al rimorso che i greci provano per aver distrutto una grande città nemica come Troia e cantano la grandezza di Ettore e il valore dei troiani. Ulisse è condannato a vagare perché a distrutto la sacra città di Ilio, e piange quando, alla corte di Alcino, re dei Feaci, sente un aedo troiano raccontare la distruzione della città. Si pensi anche ad una tragedia come "I Persiani" di Eschilo, dedicata al dolore del nemico sconfitto che pure, durante la spedizione di Serse, aveva raso al suolo Atene. Il primo storico, Erodoto, dichiara di dedicare le sue "Istorias" (testimonianze) al desiderio di "Sottrarre all'oblio del tempo che tutto distrugge le imprese gloriose sia degli elleni, sia dei barbari": questi ultimi non sono per lui individui incivili, rozzi e feroci, ma solo coloro che non parlano la lingua greca.
Pur essendo conquistatori spiegati, non erano razzisti i romani. Nel "De bello gallico" non è dato trovare un passo da cui si possa arguire che Cesare non considerasse uomini i Galli, gli Elvezzi o i Germani che si trovava di fronte; Tito Livio esalta di continuo il valore dei nemici di Roma e una parte della sua opera è un vero e proprio monumento ad Annibale, capo dei Cartaginesi. Tacito ha scritto una specie di apologia dei Germani. L'impero romano diede la cittadinanza a tutti i suoi abitanti con l'Editto di Caracalla; e numerosi imperatori e generali erano "barbari", traci, arabi e illiri. Spetto a un poeta gallo, Rutilio Namaziano, cantare nei decenni dell'agonia finale dell'impero quella che ai suoi occhi era la maggiore gloria di Roma: "Urbem fecisti quod orbis erat, et unum populum multos fecisti".."Trasformasti in città quel che era solo deserto, e di molti popoli ne facesti uno solo".
Non fu razzista il Medioevo, con i suoi ordinamenti giuridici retti dal principio della personalità del diritto, in forza del quale, in un territorio popolato da etnie diverse, ognuna conservava il suo "corpus iuris", salva comunque la possibilità di creare norme comuni a tutti: tali erano ad esempio gli editti "romano-barbarici" dei re longobardi. Non ebbe segno razzista neppure l'espansione araba e musulmana che si rifaceva alla regola coranica: "Creasti l'uomo maschio e femmina perché essi generassero un infinita progenie destinata a dividersi per lingua, colore della pelle, usanze, dando vita a innumerevoli tribù, nazioni e popoli, tutti eguali ai miei occhi". Nei secoli del suo splendore, l'Islam conobbe una tolleranza religiosa ignota ai regni cristiani; e tale tolleranza non venne meno neppure durante l'impero ottomano dei turchi. Nella "Gerusalemme liberata" i crociati scannarono oltre 20 mila musulmani e 6 mila ebrei, mentre Salah al-Din mandò i suoi medici a curare i guerrieri cristiani feriti o ammalati: egli si limitò a distruggere le tombe che i principi crociati si erano fatti costruire vicino al Santo Sepolcro di Gesù.
"Non posso tollerare che persone ordinarie e crudeli profanino con la loro sacrilega tomba quella che si ritiene di un grande Profeta come Gesù".
Gli arabi non hanno mai chiamato "negri" gli africani, ma "kafir" (infedeli); ma se gli africani abbracciavano l'Islam essi entravano a parità di diritti e di dignità nella Umma e cioè nella comunità dei credenti (il primo Muizzin fu un nero della Nubia). Il termine di Kafir era usato anche per definire i montanari bianchissimi delle montagne afghane che avevano rifiutato l'Islam; e nella storia dell'impero ottomano non si contano i capi militari e i vizir che, senza essere musulmani, erano devoti tuttavia alle religioni del libro (ebrei e cristiani).

Il razzismo è nato storicamente quando Cristoforo Colombo prese terra nelle Antille e i marinai al suo seguito "rifiutarono di riconoscere come esseri umani gli uomini che incontrarono; il che equivale a dire che gli uomini di Colombo incontrarono l'Uomo e non lo riconobbero" (Ernesto Balducci, prete cattolico). E' da allora che, per motivare lo sterminio e la riduzione in schiavitù di decine di milioni di esseri umani e di centinaia di popoli, "inferiori" solo perché privi di armi da fuoco e di polvere da sparo e indifesi di fronte le malattie infettive degli europei, il razzismo è diventato l'ideologia fondante del colonialismo e dell'imperialismo, ha pervaso i gangli vitali della cultura europea, anche di quella più alta, ha trovato benevola comprensione o attiva complicità nelle chiese cristiane e ha pervaso il costume della gente comune, ne ha condizionato o influenzato i comportamenti quotidiani diventando demagogico strumento di conquista del potere da parte di criminali populisti come Hitler.
Attraverso il razzismo i gruppi economici dominanti hanno fatto giganteschi affari: le compagnie di navigazione e quelle di assicurazione guadagnarono miliardi con la tratta degli schiavi dall'Africa, ma in vaste aree del nord America le confraternite religiose gestirono in prima persona il commercio degli schiavi "indios". Illustri storici e filosofi (liberali) hanno finito con il teorizzare la legittimità universale del fenomeno razzista. A mo di esempio citiamo il seguente agghiacciante brano del più stimato filosofo italiano, Benedetto Croce:
"Occorre sempre aver coscienza della distinzione tra uomini che appartengono alla storia e uomini della natura. Verso la seconda classe di esseri che solo zoologicamente sono uomini, va esercitato come verso gli animali il dominio, con il quale si cerca di addomesticarli e di addestrarli. Ma in certi casi, quando altro non si può, si lasci che vivano ai margini, oppure che di essi si estingua la stirpe, come accadde a quelle razze americane che si ritiravano e morivano dinnanzi alla superiore civiltà per loro insopportabile".
Il razzismo è un virus di fronte al quale l'Europa non è vaccinata a sufficienza: esso fa parte dell'inconscio collettivo, che tra i più rozzi esplode nei "Buuuu" gridati negli stadi da gente così digiuna di sport che dimentica come alcuni fra i più grandi campioni di tutti i tempi, da Jesse Owens a Pelé, da Mohammed Alì a Joe Louis e Sugar Robinson, erano "negri", mentre quello che è stato il più grande campione delle olimpiadi moderne è stato Jim Thorpe, indiano d'America, vincitore delle medaglie d'oro di pentathlon e di decathlon ai giochi di Stoccolma del 1912. E tuttavia non sono certamente i "Buuuu" il segno più allarmante e intollerabile del fenomeno; anzi io credo che l'enfatizzazione delle manifestazioni di becera inciviltà e ignoranza siano un modo per salvarsi la coscienza e per non operare in profondità contro il morbo dello spirito, a cominciare dalla scuola e finendo ai comportamenti individuali e quotidiani di ognuno di noi di fronte all'altro. Per restare al paragone di prima: fingere di strapparsi le vesti davanti al razzismo da stadio equivale a curare un tumore ai polmoni prescrivendo una pastiglia di Golia bianca contro la tosse.
Dei razzisti ho individuato tre categorie. La prima è quella dei razzisti ignoranti, pericolosi solo perché possono diventare massa di manovra di mestatori senza scrupoli. La seconda è quella dei razzisti inconsapevoli e parzialmente acculturati: sono quelli che, pur non conoscendo la materia, tendono a minimizzare genocidi e etnocidi oppure a giustificarli con le parole: "Si, però i bianchi hanno portato la civiltà".
La terza è quella dei razzisti motivati: individui di buon livello culturale i quali, o negano i genocidi o gli etnocidi o gli giustificano con la ferocia dei selvaggi e li motivano con la superiorità della civiltà europea e dei suoi valori cristiani. Questi ultimi, naturalmente, sono i più pericolosi anche perché in genere si tratta di gente stimata e professionalmente affermata.
Le tre categorie di razzisti debbono essersi ben mescolate per presenziare a una delle manifestazioni politiche più becere, volgari, miserabili e disgustose di cui l'Italia abbia avuto notizia da molti anni a questa parte. Mi riferisco alla marcia leghista contro i musulmani, svoltasi a Lodi con la partecipazione attiva di un consigliere regionale di Forza Italia e con la benedizione di un inqualificabile prete, che vi ha celebrato una messa blasfema. L'iniziativa è stigmatizzabile perché, al pari delle scritte che anche a Vicenza deturpano alberi e muri (no Islam) che le amministrazioni comunali di ogni colore si guardano bene dal rimuovere, rivela l'esistenza in Italia di uno sconclusionato anti islamismo pur essendo l'Italia il paese europeo che conta il minor numero di musulmani. In paesi come la Francia (5 milioni di musulmani), la Germania (3 milioni di musulmani), la Gran Bretagna (3 milioni di musulmani) e la Spagna (nella cui costituzione in un articolo si legge "la civiltà araba è elemento essenziale dell'identità spagnola") non si è mai verificato lo spettacolo di battaglioni formati da sbracati incivili simili a quelli che a Lodi, sotto la guida di Borghezio e di Calderoli, hanno dato vita a uno show di brutalità gratuita di razzismo idiota e pacchiano e di grottesca violenza verbale. Gli slogan erano un campionario del tipico lessico legaiolo: "O un sogno nel cuore, bruciare il Tricolore".."Chi non salta musulmano è!".."Musulmani multi-piedi, multi-mani, fuori dai coglioni!".."Conigli lodigiani cacciamo i musulmani". Il proclamo del capo leghista Lumbard suonava così: "Qui non faranno nessuna moschea a costo di andare a smontare di notte mattone su mattone e di fare nuovamente le crociate...E comunque porteremo i maiali a pisciare sull'area della moschea". Il defunto leader austriaco Hider in confronto a tali indefinibili cialtroni, era uno studente di Cambridge, educato alla tolleranza di Voltaire. L'indimenticabile Don Baget Bozzo, prete cattolico, commentò la vicenda di Lodi con queste parole: "Mi dispiace di non essere andato a Lodi per manifestare contro la cultura multietnica e per fermare i musulmani che vogliono portare la loro incontrollabile esplosione demografica e con essa la Guerra Santa". La schiera degli eletti personaggi nei quali il razzismo assume coloriture anti islamiche (ricordiamo qui Oriana Fallaci, il cardinale di Bologna Biffi, l'illustre giornalista, ex partigiano, Giorgio Bocca e l'altro indefinibile giornalista di sinistra che, non avendo mai partecipato a una preghiera islamica del venerdì, dove senegalesi neri come l'ebano si inginocchiano e pregano vicino a bosniaci biondi con gli occhi azzurri mentre tra i magrebini si va dai tipici mediterranei ai tuareg un pò abbronzati, ha avuto il coraggio di scrivere scempiaggini sul razzismo degli arabi contro i neri d'Africa) farebbe bene a non dimenticare i principi fondamentali del nostro ordinamento.
Ai razzisti di ogni tipo vorrei ricordare, se mai hanno ancora un barlume di umanità, l'insegnamento più nobile che ho raccolto frequentando per lunghi periodi gli indiani d'America: "I nostri vecchi erano molto saggi. Essi sapevano che il genere umano è come il Sole e che i popoli ne sono i raggi. Quando un popolo muore la terra diventa più fredda perché il Sole comincia a morire".
Cosa dire? I razzisti vogliono una terra senza Sole. Quando rifiutano la società multiculturale rifiutano ogni cultura, perché ogni cultura è multiculturale.

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