lunedì 3 ottobre 2011

MEDIO ORIENTE - 30 Settembre, 01 Ottobre


Damasco, assalto all´ambasciatore Usa

Una torma di sostenitori del regime siriano ieri a Damasco ha preso a bersaglio l´ambasciatore americano Robert Ford con lanci di uova, pomodori e sassi. «Ford e i suoi assistenti stavano recandosi a un incontro con un esponente politico siriano», fa sapere la pagina Facebook resa famosa dagli interventi di Ford. Il quale, primo fra i suoi pari a infrangere l´effimera etichetta della diplomazia, da quella tribuna si rivolge ai siriani, simpatizzanti e detrattori. «Sono tornati sani e salvi», è scritto sulla bacheca virtuale: «Una folla ha tentato di assalirli senza riuscirvi, però ha danneggiato i veicoli. Le forze dell´ordine siriane infine hanno aiutato ad assicurare un passaggio fino all´ambasciata».
Ieri mattina Ford aveva appuntamento con un personaggio dell´opposizione, Hassan Abdul Azim, nasseriano di lunga data, già arrestato in aprile all´inizio del Risveglio arabo siriano. Un uomo a prima vista moderato, incline al dialogo con il regime, convinto che la soluzione dei "problemi" (così nel lessico siriano) che ora dilaniano il Paese passi attraverso le riforme e una "morbida transizione" verso la democrazia. Per questo Azim era stato eletto a capo della conferenza dell´opposizione - la prima nella storia moderna del Paese - riunitasi in giugno all´hotel Semiramis. E anche per questo il gesto di Ford, la visita all´anziano dissidente, non aveva il sapore di una delle sue molto citate "sfide" al regime: come la visita poco protocollare a Hama, in luglio, nella piazza dei ribelli; o quella in agosto a Jassem, scossa dai tumulti, che gli valse l´accusa di «interferire negli affari interni del Paese». O "l´affronto", più recente, indirizzato secondo i siriani al presidente Assad definito «evil», malvagio, in un´intervista perché, Ford argomentava, «sotto la sua autorità la gente viene torturata, uccisa, e nessuno finisce in tribunale. Capisco che qualcuno disobbedisca agli ordini, che sia difficile riformare la polizia, però se nessuno viene punito, c´è da pensare che lui lo accetti». Se a questo si aggiungono i moniti dell´America: «Assad ha le ore contate. Il regime è clinicamente morto», si capisce come il litigio verbale si sia fatto rovente.
Malgrado tutto, Ford rimane. Forse non ha torto chi sostiene che dietro le quinte l´Amministrazione Obama coltivi un brandello di speranza di dialogo con il regime, per riformarlo. Intanto il dipartimento di Stato condanna «la campagna di intimidazione». Rivolti più al Senato repubblicano, contrario alla nomina di Ford, ricorda: 

«L´ambasciatore rischia in prima persona per sostenere le legittime aspirazioni del popolo siriano». E i disegni della diplomazia americana. 


Alix Van Buren


Carri armati all'assalto della città dei disertori
DAMASCO - Più di 250 carri armati e blindati ieri hanno preso d' assalto Rastan (foto) , una cittadina di 40 mila abitanti tra Homs e Hama nel Nord della Siria, teatro da quattro giorni di una vera guerra tra le forze fedeli al regime di Al Assad e i disertori confluiti da tutto il Paese per unirsi ai manifestanti. Alcuni leader dei disertori in serata hanno comunicato alla France Presse di aver deciso il ritiro da Rastan dopo l' arrivo dei rinforzi lealisti: «Un ripiegamento per continuare al meglio la nostra lotta per la libertà». Ma come avviene ogni venerdì, ormai da sei mesi, al termine della preghiera nelle moschee ieri migliaia di persone hanno invaso le strade di molte altre città e villaggi siriani, 10 mila solo nell' antica città di Palmira. Gli scontri sono stati durissimi e il conto dei morti pesante. Almeno 22, sostiene l' Osservatorio siriano per i diritti umani (Osdh), citato dall' emittente panaraba Al Arabiya . L' agenzia ufficiale Sana continua nella disinformazione, attribuendo morti e violenze a «gruppi terroristi armati, pagati dall' estero», mentre l' Onu ha intanto aggiornato il conto delle vittime del regime, ormai oltre quota 2.700, e i Paesi occidentali che siedono nel Consiglio di Sicurezza (Gran Bretagna, Francia, Germania e Portogallo) hanno ritirato la parola «sanzioni» da un progetto di risoluzione contro il regime siriano, nella speranza di superare così l' opposizione di Russia e Cina. La parola è stata sostituita da «misure mirate».



Israele, sì ai negoziati di pace

GERUSALEMME - Fra Israele e palestinesi c´è un documento pieno di ambiguità, quello redatto dal Quartetto in tutta fretta a New York durante l´Assemblea generale dell´Onu. Volutamente generico e volatile invita le parti le parti a tornare al tavolo delle trattative entro un mese, per arrivare a un accordo di pace entro la fine dell´anno prossimo. Dopo dieci giorni di attesa, ieri pomeriggio il governo israeliano ha annunciato di aver accolto questa proposta. «Israele accoglie con favore la richiesta del Quartetto per negoziati diretti senza precondizioni fra Israele e l´Anp», dice un comunicato al termine di un vertice fra il premier Benjamin Netanyahu e gli otto ministri interessati. Nella dichiarazione, però, non si nascondono critiche al piano ma si precisa che queste saranno sollevate durante i colloqui.
Fino a qualche giorno fa la proposta del Quartetto non aveva ottenuto ancora il via libera di tutti membri del governo israeliano tra cui regnavano molte perplessità. La proposta non contiene la richiesta dello stop agli insediamenti e l´avvio delle trattative basate sui confini del 1967 come previsto dalla "Road Map" a cui fa riferimento. E anche il leader palestinese Abu Mazen, proprio per questo, aveva preso subito le distanze dall´iniziativa. Ieri solo un´ora dopo l´annuncio del governo Netanyahu è arrivata la risposta da Ramallah. Se Israele è d´accordo con il Quartetto deve congelare le colonie ha detto Saeb Erekat, capo negoziatore per i palestinesi. Secondo l´Anp, la disponibilità di Netanyahu a negoziare «senza precondizioni» è priva di significato senza l´impegno israeliano a congelare le colonie e a riconoscere come punto di partenza delle trattative le linee armistiziali in vigore fino al ‘67 fra Israele, Cisgiordania e Gaza.
La decisione del governo israeliano di proseguire nella costruzione di nuove all´interno degli insediamenti nei Territori occupati pesa come un macigno sulle aspettative di pace. I settlements sono il nocciolo del problema: nella Cisgiordania occupata ormai vivono 300 mila coloni in 130 diverse insediamenti. Netanyahu, che ha lì la sua base elettorale, non ha nessuna intenzione di arrivare a uno stop alle nuove colonie; è solo di due giorni fa l´annuncio della costruzione di 1100 nuove case nell´insediamento di Gilo, alle porte di Gerusalemme. Iniziativa criticata aspramente dall´Europa con la cancelliera Merkel in testa - e la Germania è il miglior alleato di Israele nella Ue - più moderatamente dagli Stati Uniti. Ma nonostante le pressioni internazionali e interne Netanyahu è deciso ad andare avanti, consapevole della debolezza di uno dei suoi principali interlocutori: la Casa Bianca. Dimenticato il discorso del 20 maggio scorso sulla validità delle frontiere del ‘67 come base della trattativa e del congelamento della colonizzazione, il presidente Barack Obama ha cambiato registro. L´agenda del negoziato - a un anno dalle presidenziali americane - la dettano gli israeliani. Il Congresso sta per bloccare 200 milioni di dollari in aiuti all´Anp come "rappresaglia" per la sfida all´Onu di Abu Mazen e il presidente - lo rivela il New York Times - sarebbe intenzionato a concedere la grazia alla spia israeliana Johnatan Pollard, condannato all´ergastolo negli Usa ma giudicato un eroe in Israele, per recuperare simpatie nella influente comunità ebraica americana viste le sue difficoltà nella corsa verso un secondo mandato.



Fabio Scuto







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