sabato 15 settembre 2012


Venerdì di rivolta contro il film blasfemo
Ambasciate sotto assedio, massima allerta

ROMA - Venerdì di rabbia in diversi Paesi musulmani dove non si placano le proteste contro il film anti-Islam prodotto negli Usa, che ha scatenato, nella ricorrenza dell'11 settembre, l'assalto al consolato Usa a Bengasi 1 in Libia in cui hanno perso la vita l'ambasciatore Chris Stevens e altri tre funzionari americani. Violente proteste si sono verificate in Giordania, Yemen, Siria, Gaza e Gerusalemme, fino al sud-est asiatico. Alta la tensione anche in Egitto e Tunisia, con le sedi diplomatiche americane di nuovo nel mirino, mentre nella capitale sudanese  Khartoum sono state attaccate anche le ambasciate di Germania e Gran Bretagna. Pesante il bilancio delle vittime: due morti a Tunisi, almeno due a Khartoum (ma alcune fonti parlano di tre o quattro), uno al Cairo e uno a Tripoli in Libano, proprio mentre il Papa giungeva nel Paese dei cedri 2 per una visita di tre giorni e lanciava un nuovo appello per la pace. Decine di persone sono rimaste ferite. Dopo quest'ultima ondata di violenze, gli Stati Uniti hanno inviato una squadra speciale di marines per presidiare la sede diplomatica a Sanaa, in Yemen.
Sedi diplomatiche sotto attacco. Oggi i manifestanti hanno nuovamente preso di mira le rappresentanze americane protestando davanti agli edifici e dando vita a scontri con la polizia nei pressi dell'ambasciata
Usa a Khartoum, in Sudan, dove un gruppo di dimostranti è riuscito a fare breccia nel muro di cinta. Dall'interno dell'edificio si sono uditi spari. Il bilancio delle vittime è ancora incerto. Almeno tre persone hanno perso la vita.
Manifestanti hanno fatto irruzione anche nel complesso delle ambasciate di Germania e Gran Bretagna: la folla è riuscita a sfondare il cordone di polizia attorno alle due rappresentanze. La bandiera tedesca è stata ammainata e al suo posto è stato issato un vessillo islamico. IIleso lo staff tedesco, ha reso noto il ministro degli Esteri Guido Westerwelle.
A Tunisi la folla ha sfondato lo sbarramento davanti alla sede diplomatica Usa, mentre la polizia ha lanciato gas lacrimogeni e sparato ad altezza uomo. Una decina di manifestanti si è arrampicata sui muri dell'ambasciata sventolando i drappi neri del movimento salafita. Il personale americano è stato evacuato. La polizia ha reso noto che due dimostranti sono stati uccisi e 28 sono rimasti feriti.
La mappa delle proteste. Le manifestazioni contro il film ritenuto blasfemo hanno interessato moltissimi Paesi, dal Medio Oriente all'Asia. Al Cairo dimostranti hanno lanciato pietre contro i poliziotti che sbarravano la strada verso l'ambasciata Usa. Un'auto è stata ribaltata e data alle fiamme lungo la via che da piazza Tahrir conduce alla rappresentanza diplomatica americana, dove erano stati collocati grandi blocchi di cemento. La piazza simbolo della primavera araba è tornata a infiammarsi e le proteste si sono allargate fino a interessare la zona della "corniche", bloccata dalle forze di polizia. Una persona è morta.
Nel Sinai, in Egitto, islamisti hanno attaccato una base della forza multinazionale: quattro osservatori colombiani sono rimasti feriti. Gli assalitori hanno appiccato un incendio intorno alla struttura e l'hanno circondata con decine di camioncini muniti di armi automatiche. Una volta penetrati all'interno, hanno dato fuoco a un veicolo e alla torre principale, quindi si sono impadroniti sessati di armi e apparecchiature per la comunicazione.
Nel Libano settentrionale, a Tripoli, centinaia di estremisti hanno assaltato e dato alle fiamme un Kentucky Fried Chicken, la catena americana di fast food. Il bilancio delle violenze è di un morto e 25 feriti.
La protesta è arrivata anche a Gaza, dove migliaia di persone hanno sfilato lungo le strade della città e a Rafah, nonostante Hamas avesse ieri invitato i cittadini a non aderire alle manifestazioni attese per il dopo preghiera del venerdì. Impugnando le bandiere di Hamas e dei movimenti della jihad, migliaia di persone hanno urlato "Morte all'America, morte a Israele".
A Teheran migliaia sono scesi in piazza scandendo gli stessi slogan contro gli Stati Uniti e Israele. Ieri la guida suprema iraniana, l'ayatollah Ali Khamenei, aveva rilasciato pronunciato parole durissime nei confronti degli Stati Uniti e d'Israele al riguardo del film 'blasmefo', ritenendo i "sionisti e il governo Usa" responsabili della produzione della pellicola e delle violenze che ne sono conseguite.
Alta la tensione in Yemen, dove dopo l'attacco sferrato da circa duemila manifestanti all'ambasciata americana a Sanaa gli Stati Uniti hanno deciso di inviare una squadra speciale di marine per proteggere la sede diplomatica.
La rabbia contro il film su Maometto è arrivata anche nel sud-est asiatico: 10mila persone hanno inscenato una manifestazione a Dacca, in Bangladesh, e hanno tentato di raggiungere l'ambasciata statunitense. La folla, riunita davanti alla moschea di Baitul Mokarram Mosque, ha bruciato bandiere americane e israeliane, inneggiando al profeta e lanciando slogan.
Manifestazioni anche sotto l'ambasciata Usa a Giakarta, la capitale dell'Indonesia, dove oltre 350 fondamentalisti, tra cui donne e bambini, hanno condannato la pellicola che "insulta il profeta di Allah", definendola "una dichiarazione di guerra". Un centinaio di dimostranti della minoranza sciita hanno chiesto che il presunto regista, Sam Bacile, sia messo a morte. Proteste più contenute si sono tenute in diverse località della Malaysia. Una trentina di rappresentanti di varie organizzazioni islamiche si sono radunati sotto l'ambasciata Usa a Kuala Lumpur e hanno consegnato una lettera in cui si chiede alle autorità americane di togliere la clip del film da YouTube, impedire che venga diffusa e processare l'autore per "crimini contro i diritti umani".
Negli Usa le salme delle vittime di Bengasi. In serata sono state rimpatriate le salme di Stevens e degli altri tre componenti dello staff americano in Libia uccisi a Bengasi. Alla cerimonia solenne alla base dell'aeronautica militare di Andrews, in Maryland, hanno preso parte il presidente Barack Obama, il segretario di Stato Hillary Clinton e il segretario alla Difesa Leon Panetta. Stevens, ha detto la Clinton, "ha rischiato la vita per aiutare a proteggere i libici e ha dato la sua vita per aiutarli a costruire un Paese migliore. Le persone amavano lavorare con Chris e per Chris. Non era conosciuto solo per il suo coraggio, ma anche per il suo sorriso". E ancora: "I Paesi arabi non hanno lottato contro la tirannia dei dittatori per quella della violenza".
Da parte sua, il capo della Casa Bianca ha lodato il lavoro e il patriottismo dei diplomatici e ha promesso di colpire i responsabili dell'attacco. "Porteremo davanti alla giustizia coloro che ci hanno strappato i nostri compagni. Agiremo con velocità contro la violenza e continueremo a fare di tutto per proteggere gli americani all'estero", ha detto Obama. I leader dei Paesi dove si stanno verificando le proteste, ha incalzato, devono garantire la sicurezza, incalza poi Obama invitandoli a "parlare contro le violenze". Malgrado l'alto prezzo che l'America paga costantemente, "gli Stati Uniti non si ritireranno mai dal mondo, perché questa è l'essenza della leadership americana - ha aggiunto - Anche nel nostro più duro momento di sconforto, resteremo determinati perché siamo americani e andremo a testa alta".
Allerta anche in Italia. A seguito delle proteste nei Paesi islamici, l'allerta è massima anche in Italia. In una circolare indirizzata ai questori si raccomanda di intensificare la vigilanza sugli obiettivi sensibili, in particolare le sedi diplomatiche Usa e israeliane.
Condanna del film su Maometto. Ricevendo il collega egiziano Mohamed Morsi, il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano lo ha definito "un'offesa a qualsiasi credo religioso" e ha invitato a rafforzare la cooperazione "per sgombrare il campo dai pericoli di risposte terroristiche irrazionali". Morsi, da parte sua, ha ribadito di non poter accettare "aggressioni" come quella avvenute a Bengasi e ha avvertito che le violenze "non portano nulla di buono e servono solo a distogliere l'attenzione dai veri problemi come il conflitto in Siria, la sorte dei palestinesi e la mancanza di stabilità in Medio Oriente". Morsi ha ricordato che anche gli americani "respingono i perniciosi tentativi di offendere il Profeta Maometto".

Il Papa in Libano sfida l'integralismo: "Falsifica la fede"

Non ha rinunciato alla visita e nemmeno alla scelta del giorno più difficile: il venerdì di preghiera che si è trasformato in furia in tutto il Medio Oriente.
Il papa Benedetto XVI in visita a Beirut
Ma Benedetto XVI, accolto ieri a Beirut in un clima di festa, ha fatto di tutto per trasformarlo in giorno di dialogo. Anche il Libano è coinvolto nella tempesta scatenata dal film anti islam: nel Nord del Paese una persona è morta durante gli scontri mentre un fast food della catena americana KFC, è stato dato alle fiamme.Per Benedetto XVI, «pellegrino di pace" la visita era «necessaria», viste le fiamme nuovamente divampate in Medio Oriente e la mancata cessazione delle violenze in Siria. Serviva «dare questo segno di fraternità, di incoraggiamento, di solidarietà: invitare al dialogo, alla pace, essere contro la violenza, trovare la soluzione dei problemi». Questo il senso della tappa nel Paese dei Cedri, ha spiegato il Pontefice.Papa Benedetto ha definito la primavera araba «positiva», ma ha dato una strigliata agli estremismi: «Il fondamentalismo è sempre una falsificazione delle religioni». Con questa frase, dettata in aereo, è atterrato. E ad accoglierlo c'erano le massime autorità politiche del Paese con un governo targato Hezbollah: 19 ministri su 30. Gli Stati Uniti considerano il Partito di Dio un movimento terroristico, ma non l'Unione europea. Padre Federico Lombardi, portavoce della Santa Sede, in merito ha glissato: «Non ho da dirvi una posizione della Santa Sede su Hezbollah», ha spiegato alla vigilia.Il presidente Michel Suleiman, cristiano maronita, ha accolto il Papa come «portatore di pace in una terra di martirio, ma anche di convivenza tra le comunità». In Libano la presenza di cristiani è infatti massiccia, se rapportata agli altri Stati musulmani, ma sono sempre meno inseriti nei gangli del potere politico. Via dunque al secondo richiamo papale: «I cristiani del Medio Oriente devono poter applicare, sia nel matrimonio che altrove, il proprio diritto, senza restrizioni». Hezbollah ha risposto con calore e intelligenza politica, senza incidenti né manifestazioni di dissenso. Il movimento islamico non ha mai rinunciato alla sua ala militare indipendente, le milizie che operano soprattutto a Beirut e nel Sud del Paese al di fuori dei regolamenti delle forze ufficiali libanesi (Laf). Benedetto XVI ha definito «peccato grave» il mercato delle armi (che riguarda tanto la Siria quanto il Libano). La condanna dell'import-export è stato un messaggio per tutti, anche per Hezbollah.A fine agosto, il quotidiano al Joumhouria, descriveva infatti un nuovo schieramento intorno ai villaggi del sud, un'esercitazione di tre giorni con 10 mila militari in previsione di un'offensiva dell'esercito israeliano come ipotetica risposta ai recenti sconfinamenti libanesi. I vertici militari di Hezbollah avrebbero simulato incursioni oltre il confine. Per parte della stampa israeliana, con lo scopo di studiare l'occupazione della Galilea. Benedetto XVI si è dunque rivolto a tutte le religioni: «Dio invita a creare pace nel mondo, e compito delle fedi nel mondo è creare la pace». Nell'Esortazione Apostolica firmata a Beirut, Benedetto XVI ha inoltrato anche un altro richiamo: «Le donne devono impegnarsi ed essere coinvolte nella vita pubblica ed ecclesiale». Anche nei tribunali ecclesiastici, «alla pari dell'uomo e senza ingiustizie».


Non dobbiamo scusarci o vinceranno i fanatici
Le ambasciate americane bruciano in tutto il Medio Oriente e oltre. L'islam jihadista morde la mano che l'ha aiutato nelle rivoluzioni. È ridicolo sposare la tesi che la rabbia omicida di massa sia colpa di un ignorabile filmetto su Maometto sul web. Non si tratta mai solo di vignette, film, affermazioni: l'analisi di quanto sia cara la figura di Maometto all'islam potrebbe essere comparata a quanto sia cara la figura di Gesù a un cristiano. Ma solo dei cristiani pazzi si avventurerebbero, di fronte a eventuali offese, in omicidi e incendi. La tv salafita egiziana ha acceso il fuoco mostrando la misera performance in internet dopo un anno che il film esisteva: un gesto di provocazione. E la folla aveva armi anche pesanti quando si è avventata sull'ambasciata. Non proprio un gesto spontaneo, dunque.È autolesionistico che Hillary Clinton invece di tuonare, come compete a un ministro degli Esteri per la perdita del suo ambasciatore, si sia sbrigata a dichiarare «ripugnante» lo stupido filmetto, come se ciò comportasse conseguenze violente. È pesante che Obama, il difensore designato (...)(...) delle libertà, non abbia colto l'occasione per spiegare che da noi, in Occidente, la libertà di pensiero si estende a tutti i temi. Poteva fare l'esempio di quando la Corte Suprema americana, già nel 1940, assolse un certo Newton Cantwell e i suoi due figli, accusati per la diffusione di materiali anticattolici che avevano provocato reazioni violente (lo ricorda Seth Frantzman sul Jerusalem Post).Tanti casi di liceità delle opinioni estreme si sono susseguiti nella nostra storia. Certo non ci schiereremmo mai con chi bruciava gli eretici per motivi di ordine pubblico. Ci si può scusare e poi ribadire con terribile grandezza che gli ambasciatori sono sacri, sacro è il diritto di opinione, che guai a chi li tocca, e che neppure il più idiota e ignoto degli esibizionisti da noi verrà tacitato. La verità è che vogliamo, senza speranza, essere accettati dagli islamici. Accettiamo qualsiasi equivoco sperando che sorgerà per loro la stella della democrazia, e tutto andrà bene.George Bush pensava che rimuovendo Saddam Hussein l'Irak potesse diventare un'occasione per sciiti e sunniti di sedersi insieme al banchetto della libertà, e ne ha ricavato biasimo mondiale, mentre i morti tribali, religiosi, etnici seguitano a contarsi a migliaia. Obama avrà la stessa sorte. Ha voluto essere l'apprendista stregone delle rivoluzioni arabe, come Carter fu quello della rivoluzione khomeinista: la sua acquiescenza verso l'islam gli ha regalato un'immagine di debolezza in un mondo in cui essa viene considerata sinonimo di stupidaggine e promessa di vittoria vicina per l'islamismo. Kartoum, Tunisi, Gerusalemme, il Libano, oltre a Bengasi e al Cairo sono preda di manifestazioni di odio che sono già costate la vita a svariate persone. L'assassinio di Chris Stevens sarebbe dovuto diventare l'occasione di un altolà decisivo. L'ambasciatore è una figura istituzionalmente intoccabile, eppure Stevens era il meno tutelato, ma il più coraggioso fra i cinquantenni americani alti e biondi che la mattina fanno jogging (e lui lo faceva), sicuro che gli bastassero un paio di persone ai fianchi nel fiato afoso del Medio Oriente. Ma come poteva Stevens ignorare che la Libia è una caldaia ribollente d'odio? È impossibile che non sapesse che nel novembre 2011, quando cadde il regime, le forze ribelli issarono la bandiera di Al Qaida sulla Corte di Giustizia di Bengasi. Molte bande, che si chiamino Al Qaida o quant'altro, le formazioni jihadiste di ogni tipo chiedono quella giustizia, la sharia. La loro scontentezza odierna è legata al fatto che di jihadismo, oltre che di pane, i nuovi governi non ne hanno dato abbastanza; la colpa è sempre degli Usa e di Israele, l'odio è sempre volto all'Occidente. Non c'è in questo niente di personale, dunque niente che possa essere sanato, ed è assurdo non legare concettualmente le nuove rivoluzioni all'ideologia che sembra dominarle, lo jihadismo. È la promessa dell'islam di piegare il mondo alla sottomissione. È onestamente ridicolo il tentativo specialistico di descrivere Al Qaida come un'organizzazione in declino. Non importa se Al Qaida è sbandata, divisa, impoverita. È come quando si dice che da Gaza non è stato Hamas a sparare i missili, e si sa che alla fine i piccoli gruppi non si muovono senza il suo permesso. Gli attacchi sono la grande voce dello jihadismo, in cui Al Qaida ha rinomato spazio. La spontanea suddivisione in rami autonomi non ne fa in alcun modo un'organizzazione debole. Si è fatta un variegato partito combattente dalla Libia alla Siria al Sinai.Ma Obama non vuole riconoscere che esista un pericolo jihadista, l'America ha preferito l'idea che si tratti di un evento minoritario frutto del fanatismo e colpa di un idiota che posta un filmino, e quindi che gli assassini abbiano qualche ragione. Così si creano nuove rivendicazioni, e nuove provocazioni: lo sceicco Yusuf Al Qaradawi, mentre il Papa parte per il Libano, gli chiede in un messaggio ironico e aggressivo le scuse per quel che disse nel 2006 sull'islam politico. Fomenta l'odio contro i cristiani e dice che la colpa è tutta dei cristiani stessi. Stile americano.

Fiamma Nirenstein


Nessun commento:

Posta un commento