lunedì 11 febbraio 2013

TURCHIA

Ankara, kamikaze all’ambasciata Usa

In una Turchia sempre più divisa fra Oriente e Occidente mancava solo il ritorno del terrorismo comunista di marca anti-Nato e anti-americana. Ieri mattina un kamikaze si è fatto esplodere presso un ingresso laterale dell’ambasciata Usa ad Ankara, precipitando la capitale nel ricordo degli Anni Settanta, quando la minaccia eversiva di estrema sinistra veniva arginata a suon di interventi dei militari nella vita civile dello Stato e il Paese viveva in una condizione di coprifuoco permanente. Un atto di violenza consumato in uno dei luoghi da sempre ritenuti più sicuri.

L’attentatore, Ecevit Sanli, 30 anni di cui tre passati in galera per altre azioni terroristiche, è un membro del Dhkp/c, il Fronte per la liberazione del popolo rivoluzionario che fa dell’odio verso l’Occidente, gli Stati Uniti e la Nato il suo cardine ma rimane lontano da posizioni islamiche. Fa parte dei quella «terza Turchia» di marca comunista e socialista, con legami più o meno forti, a tratti inesistenti, con gli ambienti eversivi, che i militari riuscirono a cancellare quasi completamente durante i golpe del 1960, 1971 e 1980 e che non si è mai riconosciuta né negli ambienti conservatori, né nei movimenti nazionalisti.

Ecevit è arrivato davanti alla porta della sezione visti convinto che avrebbe fatto una strage. La porta numero due dell’Ambasciata americana infatti è compresa fra la signorile Paris Caddesi e Simsek Sokak. L’accesso in macchina è controllato 24 ore su 24 e chi non è munito dell’apposito contrassegno non può circolare, il posteggio è consentito solo in alcune aree. La zona è disseminata di telecamere. Ma questo non contrasta con la vivacità del luogo, alle spalle dell’Ataturk Bulvari, una delle strade più trafficate della capitale dove si trovano altre rappresentanze diplomatiche, fra cui quella italiana, e di fronte a palazzi dove vive l’Ankara bene, che, fino a ieri, sembravano quasi trarre giovamento dalla sicurezza e tranquillità dall’avere vicini di casa come diplomatici tedeschi o americani.

Paris Caddesi è sempre affollata da studenti e persone che si recano allo sportello visti dell’Ambasciata. Ieri invece, intorno alle 13, le 12 ora italiana, per puro miracolo, non c’era nessuno ed Ecevit si è trovato faccia a faccia con la guardia di sicurezza, che sarebbe poi diventata la sua vittima, nel giro di pochi minuti.

Il giovane ha azionato l’esplosivo che trasportava poco prima di passare dal metal detector. Per Mustafa Akarsu, 36 anni, non c’è stato niente da fare. Il gabbiotto in muratura con vetri anti-proiettili è stato gravemente danneggiato dall’esplosione. I segni della deflagrazione erano ampiamente visibili a cinquanta metri dal luogo dello scoppio, con danni agli edifici circostanti e decine di persone ferite. Fra i più gravi c’è Didem Tuncay, giornalista dell’emittente «Ntv» che adesso lotta fra la vita e la morte.

Nel pomeriggio il nuovo ministro dell’Interno, Muammar Guler, ha dato la notizia che in pochi si aspettavano, ossia che gli autori del gesto non erano né i separatisti curdi del Pkk, né Al Qaeda, ma minacce provenienti dal passato con un’accresciuta capacità di colpire. Washington parla di «atto terroristico», pur riconoscendo di non sapere «il motivo di questo gesto». Il premier islamicomoderato Erdogan ha chiamato all’unità nazionale per combattere il terrorismo, ma l’attacco arriva a pochi giorni dalla visita del nuovo Segretario di Stato americano, John Kerry, per parlare della crisi siriana e il premier adesso si trova ad avere qualcosa in comune con i militari, con cui non è mai stato in sintonia. C’è una parte di Turchia che l’alleanza con gli Usa non la vuole. Che il Paese sia guidato da laici o islamici sembra quasi un particolare.

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