lunedì 27 febbraio 2012

SIRIA

Siria, referendum sotto le bombe ma Damasco va alle urne per Assad

DAMASCO - Il rito surreale della democrazia promessa mentre il Paese sfiora la guerra civile si consuma a mezzogiorno nella piazza delle Sette Fontane, sotto ad un gigantesco ritratto di Bashar al-Assad calato sulla facciata della Banca centrale. Mancano ancora sette ore alla chiusura delle urne nel referendum popolare sulla nuova Costituzione che dovrebbe traghettare la Siria sulle sponde della democrazia parlamentare. Ma per le migliaia di sostenitori del rais convenuti in questo angolo della capitale dove abitualmente il regime celebra se stesso, non c´è bisogno di aspettare i risultati: la vittoria dei Sì è certa. Canti, danze e sventolio di bandiere. La Siria sta per aprire una pagina completamente nuova della sua storia all´ombra della dinastia che la guida da oltre 40 anni.
Anche Assad sembra voler anticipare gli eventi sfoderando una sorta di bellicoso ottimismo, subito dopo aver votato assieme alla moglie Asma, in un seggio vicino all´edificio della tv di Stato. Per anni, questo medico prestato alla politica per ubbidire alla legge della successione in vigore (forse, ma non è certo, soltanto fino alla Primavera araba) nelle cosiddette "repubbliche ereditarie" del Medio Oriente, aveva lasciato trasparire una certa ritrosia nel dover indossare i panni del rais. Ma quello che parla alle telecamere, è l´ultimo Assad, il condottiero che ha promesso di schiacciare la rivolta presentandola come un complotto internazionale. «Sul terreno siamo noi i più forti», dice rassicurante. «Contro di noi – spiega, allungando la lista dei suoi nemici - c´è un attacco da parte dei media. Loro possono essere più forti nella blogosfera. Ma noi vogliamo vincere sia sul terreno che nella blogosfera».
Altrove, nel Paese, la scommessa lanciata da Assad con questo referendum, che, dopo 50 anni di partito unico, dovrebbe portare all´instaurazione del pluralismo democratico e alla celebrazione di libere elezioni entro 90 giorni, è stata respinta con sdegno. «Per cosa dovremmo votare, qui a Homs - ha detto sulle onde di Skype, Walid Fares, un abitante del quartiere Khalidiya a Homs –, se essere uccisi da una bomba di mortaio o da un singolo proiettile? Da 23 giorni siamo intrappolati nelle nostre case. Scuole e mercati sono chiusi. Manca l´acqua e per 18 ore al giorno manca anche la luce. Nessuno andrà a votare in queste condizioni».
Anche ieri, denuncia l´opposizione, Bab Amro, il quartiere di Homs da quasi 4 settimane martoriato dall´artiglieria, ha subito bombardamenti che avrebbero provocato nove morti. Quattro militari delle truppe lealiste sarebbero stati uccisi, poi, in scontri con i disertori del Libero esercito siriano. Altri dieci civili e otto militari sarebbero caduti in altre province. In totale, le vittime di ieri sarebbero 31. Ma è impossibile sapere in che misura questi incidenti, il clima d´insicurezza che domina nel Paese, e l´ordine di boicottare le urne impartito dalle centrali dell´opposizione abbiano inciso sull´andamento del voto. Si sa soltanto che, improvvisamente, la durata della giornata elettorale che avrebbe dovuto chiudersi alle 7 di sera è stata estesa fino alle 22. Se per far fronte ad un eccesso, o a una carenza di affluenza, questo è tutto da vedere.
Quello cui abbiamo potuto assistere in alcuni seggi di Damasco, che il ministero dell´Informazione ha aperto ai giornalisti, è stata, tuttavia, una mobilitazione straordinaria, seppure sotto gli occhi delle telecamere. E per noi l´occasione di sondare l´animo dei votanti. Nella scuola superiore femminile "Bassam Hamsho", nel quartiere borghese di Tijara, molti elettori ostentano qualcosa di simile a un elementare sentimento di difesa nazionale. «Voterò Sì alla nuova Costituzione perché amo la Siria – dice Badi Abdel Nour, traduttore che il rapido decadimento della situazione economica a causa delle sanzioni rischia di ridurre senza lavoro: niente turisti e niente più compagnie straniere -, mentre quelli che combattono a Homs sono gente cattiva che spera soltanto di poter profittare del caos».
Ma non tutti sono disposti ad assecondare questa sorta di schematismo, di contrapposizione politica e morale che minaccia la società. Rami, un giovane bancario che ha avuto dal capufficio mezz´ora di permesso per votare, ammette: «Ci sono buone ragioni per quello che sta succedendo a Homs, e buone ragioni per quello che succede qua. Molte promesse sono state fatte in passato e non sono state mantenute. Ovunque, a Homs e qui, c´è bisogno di cambiamenti. Dovremmo condividere questo momento di democrazia».
Sicuramente a Damasco, la fedelissima, quasi una bolla di tranquillità, mentre la rivolta è arrivata nei sobborghi della capitale (anche oggi ci sarebbero stati incidenti gravi) il regime ha attivato per l´occasione tutte le sue risorse umane, i suoi sostenitori. Ma sarebbe un errore guardare alla gente che è andata a votare per la nuova Costituzione come una massa inerte totalmente manipolata. In mezzo a questa folla, che l´economista e politologo indipendente (merce rarissima, da queste parti) Nabil Samman definisce «la maggioranza timorosa», c´è di tutto, «anche i moderati che vorrebbero vedere realizzati quei cambiamenti e quelle riforme indispensabili al rinnovamento del Paese ma senza rischiare di perdere il loro status».
La domanda conseguente è se questo, per Assad, fosse il momento opportuno per lanciare la sua scommessa. Se i tifosi del regime non hanno dubbi, per l´opposizione s´è trattato soltanto di un atto d´arroganza: «Non si può celebrare un referendum in un Paese quasi in stato di guerra, con una larga percentuale di elettori che, o non può votare, o non può raggiungere neanche i seggi», spiega Aref Dalila, che ha speso otto anni in carcere ed è stato liberato recentemente. «Ho paura che con la nuova Costituzione, come è successo con l´abolizione della legge sullo stato d´emergenza, attuata soltanto sulla carta, si sia voluto creare un´attesa e nulla più».

Alberto Stabile


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