La Notte del 27 agosto 1981 percorrevo in macchina la strada che attraversa il deserto dell'Arizona e congiunge Tucson a Phoenix, capitale dello stato, dove mi trovavo durante uno dei miei viaggi di studio dedicati alle tribù superstiti degli Indiani del Nordamerica. Ero in compagnia di quattro Pastori battisti, che avevo conosciuto nell'albergo di Phoenix dove dimoravo da una settimana e dove era in corso un congresso nazionale dei Pastori statunitensi. Mi aveva invitato ad unirmi alla piccola comitiva un Pastore di New York, un gigantesco italiano che, mi raccontò, era figlio di un componente dell'orchestra sinfonica del teatro La Fenice di Venezia, e che, dopo lunghi anni passati da emigrante, era riuscito a diventare vescovo della Chiesa Battista statunitense.
Passata la mezzanotte, la nostra attenzione ci venne attratta dalla straordinaria luminosità del deserto e del cielo. All'orizzonte si intravedevano i Superstition Mountains. L'autista, un meticcio di padre messicano e di madre apache, fermò la macchina e noi scendemmo per ammirare il paesaggio. Nessuno è in grado di immaginare quale sia lo splendore di una notte stellata del deserto: l'aria vi è cristallina e sorprendentemente fresca, milioni di stelle brillano intensamente e illuminano l'oscurità del cielo dando ad essa un colore quasi blu. Si resta attoniti, quasi spaventati dalla sensazione di "sacralità" nella quale sei immerso come in un mare. Il silenzio era rotto dalla voce di milioni di grilli, eppure tutto sembrava silenzioso e carico di mistero. Non mi riuscì di fare a meno di pensare alle parole che Kant ha voluto scritte sulla sua tomba: "Il cielo stellato sopra di me, la legge morale dentro di me". Ma a rendere ancor più straordinario lo spettacolo una sottile falce di luna sormontata da una stella (quasi sicuramente, dato il periodo, il pianeta Marte).
Uno dei miei compagni di viaggio esclamò: "Pensate, fratelli! Millequattocento anni fa, in una notte come questa, nei deserti di Arabia, il profeta Maometto ricevette una visione come questa e l'Arcangelo Gabriele gli consegnò il Corano, il libro sacro dell'Islam!".
Restammo silenziosi ed immobili, ed eravamo sinceramente commossi. A me tornarono alla mente le splendide parole della seconda "canzone a ballo" del "Così parlò Zarathustra" di Nietzsche: "Sento intorno a me la presenza di un essere ignoto che mi guarda pensoso". L'autista meticcio si inginocchiò e noi trovammo assolutamente ovvio imitarlo, rimanendo per lunghi minuti in silenziosa preghiera.
Per tutto il resto del viaggio di ritorno non dicemmò più una parola. Nella mia mente sentivo affiorare le parole che avevo imparato gridando in decine di manifestazioni a cui avevo partecipato per la libertà dell'Algeria e per il popolo palestinese: "Allah-u Akbar!" "Allah è il più grande!".
Più tardi, dopo essermi ripreso da una specie di inspiegabile sgomento, mi soffermai su una riflessione. "Sono nato e cresciuto nella città che viene considerata il centro della Chiesa Cattolica e non sapevo quel che invece aveva dimostrato di sapere un Pastore battista statunitense: e cioè che un profeta arabo di nome Maometto aveva ricevuto il Corano dall'Arcangelo Gabriele".
Da quel giorno cominciai a leggere con accanimento tutte le Sacre Scritture, la Bibbia ebraica e i Vangeli cristiani, compresi quelli apocrifi e alla fine, quasi perseguitato periodicamente dal cielo del deserto di Arizona e dalla falce di luna che si scagliava in mezzo a milioni di stelle, decisi di affrontare la lettura del Corano in un'edizione che era introdotta da un testo essenziale della mistica islamica "Le illuminazioni della Mecca" del grande filosofo arabo-andaluso Ibn Arabi:
"Tuffati nell'oceano del Corano, che non ha paragoni se sei dotato di un ampio respiro. Altrimenti, limitati allo studio dei libri, dei commentatori, del significato esteriore delle parole; non tuffarti perchè rischieresti di perire, perchè il mare oceanico del Corano è infinitamente profondo. Se il tuffatore non avesse visto i luoghi vicini alla riva, non sarebbe mai risalito in superficie per voi uomini. I Profeti e i loro eredi, custodi della scienza profetica, sono coloro che si recano in quei luoghi per misericordia dell'universo".
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