venerdì 29 luglio 2011




Egregio Dottor. Augias,
nella sua risposta alla lettrice Francesca Ribeiro, e facendo riferimento ai diritti delle donne islamiche soffocati dall'islamismo che come tutte le religioni fortemente centrate sul possesso in esclusiva della "Verità", la signoria vostra sembra ascrivere l'assassinio di sei donne musulmane (in realtà sono state tre pakistane e una marocchina nell'arco di un biennio) alla condizione di oppressione e di sottomissione che le donne islamiche vivono, nonostante il salutare soggiorno come emigranti in Europa: e specialmente in Italia dove l'articolo 19 della Costituzione sulla libertà religiosa è per i musulmani totalmente disapplicato; e non vogliamo parlare troppo a lungo dei leghisti e di Borghezio.
Poiché sono svariate centinaia le donne italiane che ogni anno vengono ammazzate nei modi più svariati dai mariti, dai fidanzati, dagli ex mariti, ex fidanzati, ex amanti e qualche volta dai fratelli, vorrei sapere da lei ai dogmi di quale religione si rifanno gli autori di tali misfatti e quale visione della donna gli ispira. Già che ci sono mi chiedo a quale principi etici si rifanno quei genitori che gioiscono e considerano una fortuna se la loro figliola, magari minorenne riesce a mandare sua figlia in un letto mercenario con un vecchio di 75 anni, ben fornito di soldi e di potere. Poiché la signoria vostra sembra ignorare completamente i contenuti della religione islamica relativi alla donna e al matrimonio ribadendo frusti luoghi comuni che confondono i principi religiosi con le cattive abitudini e i costumi barbarici che sopravvivono purtroppo ai principi religiosi veri e propri (debbo ricordarle l'omicidio per causa d'onore che sopravvissuto nel codice penale italiano, ha ispirato il bel film di Gerni "Divorzio all'italiana"), mi limito a citarle quello che il Corano, unico testo sacro dell'Islam, talmente dogmatico da affermare che "Non può esservi costrizione nella religione", scrive a proposito della donna e del matrimonio:
I - "Dio creò l'uomo e la donna da un unico corpo e dette ad essi gli stessi diritti e gli stessi doveri...Mandandoli sulla terra disse loro: "Creerete una innumerevole progenie con diverse tribù, nazioni e popoli, diversi per lingua e per colore di pelle, ma tutti e eguali davanti ai miei occhi"";
II - Il matrimonio nell'Islam è un contratto che regola l'uso della sessualità e della fecondità e anche se non appartiene agli atti di culto, esso è metà della fede: "Nessun rapporto è più gradito a Dio di quello che esiste tra i coniugi, non quello che esiste tra genitori e figli e quello tra fratelli: all'affetto e alla reciproca misericordia si aggiunge infatti la possibilità di scambiarsi nel talamo il piacere naturale. E sia allora l'uomo il vestito della donna e la donna il vestito dell'uomo";
III - Per la validità del matrimonio occorrono alcuni elementi. Secondo il Corano non può essere esercitata sugli sposi nessuna costrizione e nessuno ha il diritto di maritare gli impuberi perché per la validità del contratto si richiede sempre il consenso dei due sposi in età di ragione e capaci di intendere di volere. La pratica del matrimonio coartato dal padre o combinato per i fanciulli da chi esercita potestà su di essi non trova riconoscimento quindi ne nel Corano ne nella Sharia coranica, ma è un retaggio di costumi preislamici, diffusi soprattutto in India. I vari codi moderni fissano l'età minima matrimoniale maschile tra i sedici e i ventuno anni, mentre quella femminile oscilla tra i 15 e i 18 anni.

Non è un caso che tre  dei quattro fatti di sangue da lei ricordati abbiano avuto per vittime ragazze pakistane. Il Pakistan, infatti, ha subito molto l'influenza dei costumi dell'India dove oltre al matrimonio degli impuberi esiste il divieto per 35 milioni di donne vedove di risposarsi per motivi religiosi: per vivere le poverette sono costrette a farsi ospitare in un postribolo. Però dell'India nessuno parla mai e in compenso si inventano sciocchezze sull'Islam. Trovo comunque singolare che un giornalista colto e serio come lei, che non ha dedicato una riga a quel grande evento che sono le rivoluzioni dei giovani musulmani in tutto il nord Africa e nel Medio Oriente abbia dedicato la sua risposta alla lettrice in concomitanza con il delitto dell'anti islamico norvegese che, guarda caso, l'ha motivato sostenendo che non è possibile che l'Europa dia spazio ai musulmani, refrattari ad accettare i principi di civiltà dell'occidente. Posso garantirle, da musulmano italiano, che ho conoscenza diretta di centinaia di casi, a cominciare dalle famiglie, in cui cristiani e musulmani vivono in perfetta armonia, forse perché l'amore e la misericordia come doni di Dio sono più forti dei pregiudizi razzisti, xenofobi e barbarici. 
Alla lettrice autrice della lettera che parla del terribile caso della ragazza pakistana che ha tentato il suicidio avvelenandosi con l'acido e rovinandosi l'intestino per sottrarsi ad un matrimonio imposto dal padre, voglio raccontare una storia di cui sono stato testimone oculare. Tra due colleghi dell'ufficio in cui lavoravo, lui sposato lei nubile, esplose, come spesso capita, un'intensa passione d'amore, alimentata dall'uomo con la promessa che prima o poi avrebbe mollato la moglie. Naturalmente si trattava di una promessa di un Pulcinella e dopo tre anni la ragazza, una brillante professionista di sicuro avvenire è stata come si dice in gergo "mollata". Il prode seduttore si è vantato in giro: "Per me le donne impazziscono". Quando la ragazza l'ha saputo si è rovinata l'apparato digerente ingerendo candeggina. Chissà ai dogmi di quale religione si ispirava quell'illustre signore.
Con cordialità, firmato Dottor Domenico Buffarini.

giovedì 28 luglio 2011

ANCORA SULLA NORVEGIA


La Lega e la sindrome norvegese

di Michele Serra, da Repubblica, 27 luglio 2011


Esiste un Paese europeo nel quale l'esponente di un partito al governo - ripeto: di un partito al governo - dichiara pubblicamente: «Il cento per cento delle idee di Breivik sono buone, in qualche caso ottime. Le posizioni di Breivik collimano con quelle dei movimenti che in Europa ormai ovunque vincono le elezioni».
Questo Paese è l'Italia. L'autore della dichiarazione è l'eurodeputato Mario Borghezio. Il partito al governo è la Lega. Naturalmente è sempre possibile nascondere la cenere sotto il tappeto. Cioè confinare parole come quelle di Borghezio in un limbo eccentrico, attribuirle a una patologia marginale e tutto sommato fisiologica in ogni democrazia, quella (generica) dell'estremismo. Solo che, per compiere questa de-classificazione, che è anche una rimozione, è necessario dimenticare che Borghezio non fa parte di una frangia di esaltati che farnetica sul web, roba che può interessare solo la polizia postale e la Digos. Borghezio è eurodeputato di lungo corso delle Camicie Verdi, e le Camicie Verdi, molto spesso in divisa d'ordinanza, governano con piena legittimità il nostro Paese.
Ben vengano, dunque, le parole di Borghezio, se ci aiutano a inquadrare con un minimo di lucidità e coraggio in più la strage norvegese. Trattata da molti commentatori italiani soprattutto come un caso di imprevedibile follia al prezzo di parecchie omissioni, la più evidente delle quali è il peso quasi nullo dato all'obiettivo, molto specifico, della strage: un raduno giovanile del partito laburista, individuato da Breivik come una sentina del "mondialismo" impuro e corruttore. Ora, se qualcuno irrompe in una sinagoga e fa strage di ebrei; se mette una bomba in una moschea e fa strage di musulmani; se spara alla folla e all'oratrice durante un comizio del Partito democratico americano; nessuno potrà levargli la patente del fanatico paranoide, ma nessuno potrà isolare quel gesto (politico nelle intenzioni e nelle conseguenze) dal contesto ideologico, culturale e sociale nel quale è nato, ha potuto nutrirsi, attecchire, infine esplodere.
L'ideologia può essere considerata un pretesto, strumentalmente impugnato dall'assassino per dare sbocco al proprio odio individuale, a patto che non offra, al fanatismo, parole di odio non così pretestuose, non così equivocabili. Non per caso una discussione lunga, difficile e dolorosa, ai tempi del terrorismo rosso, animò il nostro e altri Paesi (ad esempio la Germania) attorno al duro nodo dell'odio di classe, del nesso tra teoria e prassi, tra libri e azione, tra parole suggestive e suggestionabilità degli animi più accesi. Perché i fanatici e gli assassini sono sempre una piccola - anche se purtroppo non trascurabile - minoranza. Ma la famosa "acqua in cui nuota" la violenza, quella è una questione che riguarda la società intera, i suoi media, le parole messe in circolo, i suoi giornalisti e i suoi scrittori, i suoi politici, la responsabilità di chi prende la parola in pubblico, soprattutto se ricopre cariche elettive.
E dunque, quando un eurodeputato leghista giudica «buone e in qualche caso ottime le idee di Breivik», è poca cosa - e troppo facile - preoccuparsi o ribellarsi "solo" perché quelle idee sono state espresse da un carnefice che ha macellato decine di ragazzi inermi. Quelle parole erano infami e cariche di sangue anche prima di Breivik e prima della strage (che infatti è stata lungamente coltivata e programmata). Quelle parole sono il veleno pluridecennale dell'odio razziale, del suprematismo bianco, dell'omofobia, dell'antisemitismo, dell'antislamismo, e sono coltivate con cura nelle tante madrasse del razzismo nostrano. Ne sono piene, da anni, giornali, blog, siti Internet: basta cercare, basta leggere, come fanno pochi e coraggiosi ricercatori e giornalisti che hanno imparato a nuotare nel mare tempestoso della nuova destra razzista. E non è solo scavando nei recessi della rete che si capisce che aria tira in certi ambienti e in certe teste: quelle parole circolano anche nelle aule elettive, attraverso dichiarazioni troppo spesso (qui da noi) relegate a folklore, a stravaganza pittoresca, a intemperanza rude ma in fin dei conti bonaria. E ha tragicamente ragione Borghezio, le cosiddette "posizioni" di Breivik «collimano con quelle di movimenti che in Europa ormai ovunque vincono le elezioni», fortunatamente rimanendo quasi ovunque esclusi dal governo (tranne che in Italia), ma quasi ovunque dotati di un potere di ricatto e di condizionamento che fa leva sulla paura del domani raffinata ad arte, come l'eroina, e tradotta in voti.
Il primo ministro norvegese, un socialista a noi sconosciuto che abbiamo imparato ad amare e ammirare in questi giorni terribili, ha detto che «in tragedie come questa dobbiamo dare il meglio di noi: reagiremo con più democrazia». E solo settecento norvegesi - un'inezia - hanno aderito al sito che chiede la pena di morte per Breivik. Tutto, in questa vicenda che gronda sangue, gronda anche di politica. La follia è solo ospite di un teatro, la politica, che come ogni europeo sa bene è carico di tragedia e di morte, ma anche di nobiltà e di gloria. Dovrebbe essere vietato, dico vietato, parlare di Breivik, della Norvegia, dei suoi giovani martiri laburisti, senza parlare di politica. 














mercoledì 27 luglio 2011

ANCORA SULLA NORVEGIA

«Basta silenzi, i politici devono agire C’è troppo odio contro gli immigrati»

BRUXELLES – «Breivik è uno squilibrato, certo. Ma i movimenti populisti e anti integrazione, che creano un clima di odio contro gli immigrati stranieri, stanno guadagnando terreno in diversi Paesi europei. Perciò i capi di governo e di Stato, i leader moderati di centrodestra e centrosinistra, devono alzarsi in piedi e parlare forte. Più forte. È venuta finalmente l’ora di farlo» .
Cecilia Malmström, svedese, commissaria europea agli Affari interni, sta trascorrendo qualche giorno di vacanza in un luogo dove si trovava anche venerdì sera, quando l’incubo è calato su Oslo: «Ho sentito la prima notizia alla radio, poi ho cercato subito altre informazioni e non mi sono più staccata dalla televisione. Ero atterrita» .
Dalla figura di Breivik?
«Ancora una volta: quella è una persona molto malata, non è difficile capirlo. È uno che ha preparato la sua azione per tanto tempo, diceva di voler liberare la Norvegia seguendo le idee di una certa estrema destra. Ma ci sono molti altri come lui: che cioè condividono le sue stesse idee intrise di radicalismo xenofobo. Fortunatamente, pochi le traducono poi nei fatti» .
Un eurodeputato italiano, Mario Borghezio della Lega Nord, ha detto che Breivik è uno squilibrato, un folle, ma che certi suoi concetti sulla necessità di una crociata per difendere i cristiani si possono condividere...
«Conosco la Lega Nord. Non queste dichiarazioni. Ma posso ribadire quello che ho detto: il clima anti immigrazione sta crescendo ovunque, purtroppo. La polizia fa bene il suo mestiere. E i politici condannano tutti la violenza, com’è giusto e naturale fare. Ma tutto ciò non basta, non basta proprio» .
Che cosa ci vuole di più?
«Ecco: bisogna condannare le uccisioni, ma anche spiegare di più i benefici del multiculturalismo, dell’integrazione. Nella quale molti Paesi hanno fallito. Bisogna spiegarli soprattutto ai giovani. Bisogna dire un grande "no"alto e chiaro alle campagne xenofobe. Se non lo si fa, quei gruppi si rafforzano sempre più» .
Accade in Scandinavia più che altrove?
«Può accadere ovunque. Nessun Paese è immune. Neppure la "mia"Svezia. Teoricamente, la Norvegia era esposta su più fronti a sussulti terroristici perché impegnata in Libia e in Afghanistan. Però il pericolo vale per tutti» .
Ma quando parla di leader troppo timidi nel condannare le idee alla Breivik, avrà pure in mente qualche Paese particolare…
«Guardi, il ventaglio degli esempi in Europa è oggi molto ampio: ci sono Paesi dove l’estrema destra è già nel governo; altri, in cui al governo è molto vicina; altri ancora, in cui è fuori e tuttavia mantiene una posizione di influenza decisiva, nella politica e nella società» .
Molti dicono che è semplicemente un problema di paura. In certe nazioni, si percepisce come una minaccia culturale ma anche economica l’immigrazione che cresce. A Oslo, c’è chi parla ormai di un 10%di immigrati su meno di 5 milioni di abitanti. E chi dice: prima o poi bisognerà pur tracciare una linea, un limite…
«No, non si può tracciare una linea. O fissare una percentuale di immigrati da non superare: basta guardare agli Stati Uniti e alla loro storia, per capirlo» .
Ma anche gli Stati Uniti hanno avuto i loro problemi in merito. «In un mondo ideale tutti dovrebbero avere la libertà di trasferirsi ovunque, senza barriere, ma poi è chiaro che nella realtà l’immigrazione va gestita: questo spetta però ai singoli Paesi deciderlo, non a Bruxelles» .
 Non pensate a nuove regole, nuove direttive europee?
 «No. Direi che non ce n’è bisogno. Piuttosto, passare subito ai fatti concreti: ogni Stato deve combattere il radicalismo, diffuso soprattutto su Internet; e identificare i giovani che sono a rischio; e pensare a come affrontare al meglio le sfide dell’integrazione» .
Per esempio?
«Noi per esempio, a settembre, lanceremo un network fra istituzioni culturali, religiose e politiche contro la radicalizzazione delle idee. Poi dedicheremo alla lotta alla xenofobia il Consiglio dei ministri europei degli interni, qui a Bruxelles. Ma la cosa più importante è quella detta all’inizio, che parlino forte i capi di Stato e di governo. Anzi, c’è qualcosa di più che possono fare» .
Che cosa? 
«Possono dimostrare proprio in questo la loro leadership. Lo dicevo già a giugno, prima del loro vertice: "Abbiamo bisogno di più solidarietà, tolleranza e responsabilità nelle politiche migratorie, poi di tradurre questi principi in azioni; e sono certa che i leader proveranno la loro leadership in tempi così difficili". Oggi, dopo Oslo, è ancor più vero».
La Repubblica, 27/07/2011, Luigi Offeddu


NOTE: 
I - Il giornalista britannico Roger Cohen scrive sull'International Herald Tribune: "L'islamofobia che porta con se posizione anti immigrati è un'ideologia diffusa su entrambe le sponde dell'Atlantico. Quello che è apparso chiaro in Norvegia è che il delirante odio anti islamico di destra contro i sostenitori del multiculturalismo può rivelarsi pericoloso quanto il veleno di Al Qaeda contro gli infedeli".
II - Grenn Beck, membro della camera dei rappresentanti Usa e leader di spicco del Tea Party (il gruppo estremista repubblicano guidato dalla Palin), ha paragonato il campo giovanile laburista di Utoya con le riunioni della gioventù hitleriana, rivelando inquietanti similitudini: il giudizio assomiglia come una goccia d'acqua alle sparate anti islamiche del politico olandese che ha paragonato il Corano al Mein Kampf di Hitler.


martedì 26 luglio 2011

APPROFONDIAMO QUALCHE QUESTIONE CON I CATTOLICI

Don Gianni Baget Bozzo, prete inquietante e ciarliero, consulente spirituale ufficioso del presidente del consiglio Silvio Berlusconi, in tandem con Giuliano Ferrara, consulente politico, hanno per parecchi anni teorizzato una prassi politica che dall'abbreviazione delle parole che la definivano è stata chiamata "teocon" (teocratici conservatori). Don Gianni, in particolare, amava ricordare che il confine tra Islam e Cattolicesimo è stato sempre un confine di sangue e che quindi, per difendere le radici cristiane dell'Europa, era assolutamente necessario bloccare l'immigrazione musulmana nel nostro continente. Quel che Don Gianni dimenticava di ricordare è che il confine di sangue fu tracciato per la prima volta con le Crociate, indette da numerosi papi e entusiasticamente eseguite dall'aristocrazia feudale europea, ansiosa di saccheggi e di massacri. Sulle Crociate, 200 anni di guerre, rapine e massacri in nome di Dio, alla prima delle quali fu per la prima volta applicata la definizione di "Guerra Santa" (altro che Jihad..) saremo costretti a ritornare, per mostrare in quale scuola si sia forgiato il fondamentalismo cristiano.
Nello stesso periodo in cui Don Gianni sparava dalla televisione di stato le sue deliranti scemenze, il cardinale di Bologna Monsignor Biffi teorizzava più o meno le stesse cose: in un'occasione egli affermò che non trovava nulla di disdicevole nel fatto che nella cattedrale di San Petronio a Bologna fosse in bella mostra un affresco medievale che raffigurava il Profeta Muhammad, squartato in vari modi da un turba di diavoli armati di spada
fiammeggiante; poiché temeva qualche attentato di fondamentalisti islamici chiese per la cattedrale una speciale protezione della polizia. Fingeva di non sapere, o forse non sapeva, che per i musulmani Gesù è spirito di bontà e di carità, Santo Profeta e inviato dell'Altissimo. Recentemente in un paese islamico a Gesù è stato dedicato il minareto più alto del mondo. Io stesso quando nomino Gesù, figlio di Maria, non dimentico mai di dire la formula "Su di lui la pace di Allah".
Monsignor Maggiolini, vescovo di Varese e quindi particolarmente attento alla predicazione del suo conterraneo Umberto Bossi, adoratore tra gli altri di Odino e delle divinità celtiche, sosteneva che con i musulmani occorreva praticare il principio di reciprocità; e visto che nei loro paesi è vietata la costruzione di chiese cattoliche, e la pratica dei culti cristiani, gli stessi comportamenti vanno tenuti con i musulmani che emigrano in Italia: niente moschee e niente preghiere. Maggiolini consigliava anche di seguire le indicazioni del cardinal Biffi: selezionare gli aspiranti immigrati in Italia e tenerne fuori accuratamente quelli di fede musulmana perché non sono in alcun modo assimilabili. I suoi preferiti erano i filippini perché cattolici. Vogliamo concludere questa carrellata di fondamentalismo cristiano anti islamico citando la dichiarazione che il solito Borghezio ha fatto a proposito delle imprese del neo templare norvegese che, dichiarandosi anti marxista, anti islamico e, soprattutto fondamentalista cristiano, ha auspicato che la Norvegia e i paesi scandinavi, seguaci dello scisma luterano contro la chiesa di Roma, dovrebbero tornare sotto il salutare dominio dei papi medievali. "Goering" Borghezio ha dichiarato nella trasmissione "La Zanzara" di Radio24: "Il 100% delle idee di Breivik sono buone, in qualche caso ottime. Esse collimano con quelle dei movimenti che in Europa oramai ovunque vincono le elezioni".
La tesi del pur stimabile giornalista Merlo, che in un articolo odierno de La Repubblica ha sostenuto che il sorriso idiota del criminale norvegese dimostra il suo stato di follia fanatica e il suo isolamento. Su questo punto Merlo ha torto e Borghezio, purtroppo ha ragione. La faccia di Breivik e il suo modo di sogghignare è simile a quello che nel secolo scorso conquistarono l'Europa e praticarono su larga scala i massacri che l'eroe di Borghezio non ha potuto eguagliare; ma di gente come lui, pronta a ripetere le imprese di Hitler ce n'è anche troppa: non solo nei paesi scandinavi ma anche in Italia. A questo punto è lecito porsi altre domande. Il brigatista rosso che spara alla nuca è un pazzo o un criminale politico? L'attentatore fascista che mette una bomba su un treno è un folle o un criminale politico? I seguaci di Al Qaeda che hanno abbattuto le Torri Gemelle sono folli o criminali politici? Nessuno ha mai avuto dubbi in proposito: si tratta di criminali politici con movente politico o religioso e scopi politici. Non si capisce perciò, leggendo molti commenti alla strage norvegese perché il massacro di quasi cento ragazzi di sinistra per mano di uno schifoso fanatico di destra che si auto definisce "fondamentalista cristiano" non debba essere inquadrato nella sua ovvia natura di delitto politico, maturato nella pseudo cultura razzista della supremazia della razza ariana, delle radici cristiane brandite come un'arma letale, dell'odio furente contro l'Europa della tolleranza, dell'integrazione e della libertà.
Se non si comprende questo e trattiamo l'orrido personaggio come un paranoico, e le sue azioni come un incidente psichiatrico dalle conseguenze particolarmente gravi, allora non comprendiamo la profondità e la gravità della rottura culturale, politica e umana tra l'estrema destra e la società che cerca con faticoso ordine democratico amministrando l'immigrazione e la globalizzazione. Certo, Hitler era anche un pazzo; ma la pazzia che arriva al governo, scatena la guerra globale e organizza i massacri, è politica allo stato puro e va combattuta senza se e senza ma.

lunedì 25 luglio 2011

TORNIAMO ALLE QUESTIONI COL CRISTIANESIMO

Il Fondamentalismo Cristiano



ANCORA SULLA TRAGEDIA NORVEGESE

I - IL CUORE NERO DELL'EUROPA

Venerdì pomeriggio, la notizia dell'esplosione nel centro di Oslo ha provocato in molti un immediato riflesso condizionato. Si trattava con tutta probabilità di un'autobomba e quindi di terrorismo di origine islamica. Niente di più classico. Esasperante, tragica routine. Poi, col passare delle ore, sono arrivati i dettagli della strage sull'isolotto di Utoya ed è emerso quel giovane biondo, con lo sguardo azzurrino. Alla certezza iniziale sulla natura jihadista dell'attentato è succeduto un momento di incredulità. Il terrorista era un puro scandinavo. Un norvegese aveva ammazzato decine di ragazzi norvegesi a sangue freddo. L'assassino era di incontestata origine europea, era un cristiano e fiero di esserlo. Se il pensiero che si trattasse di un arabo, di un musulmano, era stato un riflesso condizionato, la scoperta che il criminale era "uno dei nostri" ha suscitato sgomento. Il terrorismo può dunque essere europeo. La sorpresa ha stordito non solo i norvegesi.
I primi sospettati, supposti jihadisti nostalgici di Bin Laden, sono via via scomparsi dai telegiornali e dalle prime pagine dei quotidiani (e speriamo che non vi ritornino) ed è affiorata la tesi dell'attentato neo nazista, poiché il giovane biondo, identificato come Anders Behring Breivik, 32 anni, di professione agricoltore, è subito risultato "anti marxista, anti Islam, anti multiculturale".
 La polemica delle attribuzioni contrapposte, tra chi sosteneva la natura islamica dell'attentato e chi sosteneva quella 
di un'azione concertata di estrema destra, non ha avuto il tempo di svilupparsi, perché (con la riserva che nel corso delle indagini emergano complici e con loro una qualche organizzazione), il giovane biondo con gli occhi azzurrini appare sempre più un assassino solitario, un uomo psichicamente anormale, un individuo affetto da paranoia.Ma anche se questa diagnosi venisse confermata, essa non ridurrebbe comunque la strage norvegese a un'azione compiuta da un pazzo, quindi a un affare di competenza dei soli psichiatri. Anders Behring Breivik è un tumore annidatosi e sviluppatosi nella nostra società europea, dove la crescita dei gruppi di estrema destra ha creato un'atmosfera che può spingere persone psichicamente disturbate a gesti di illimitata violenza. Lo sostiene Hajo Funke, professore alla Libera Università di Berlino e studioso dei fenomeni di estrema destra. E con lui sono d'accordo non pochi altri esperti nella materia.
Non c'è del resto bisogno di ricorrere agli specialisti per rendersi conto che l'opposizione all'immigrazione, in particolare a quella musulmana, alla globalizzazione, al multiculturalismo, e a tutto quello che lo favorisce, Unione Europea inclusa, rafforza i movimenti populisti solerti nel presentarsi come difensori dell'identita nazionale o dei particolarismi regionali. Ed anche se quei partiti non predicano la violenza, essi creano un clima di odio che la favorisce, anche a livello individuale. Una violenza non riservata alla Norvegia, giudicata una contrada, a torto o a ragione, tradizionalmente tollerante, ma anche possibile in tanti altri paesi, con tradizioni meno virtuose.
La lotta al terrorismo di origine islamica è stata e resta giusta, indispensabile, e dopo l'11 settembre non poteva che mobilitare la quasi totalità delle varie intelligences occidentali. Ma si può sostenere, come il New York Times, che probabilmente si è sottovalutato il pericolo del terrorismo di estrema destra. L'attentato alle Torri Gemelle ha fatto ad esempio dimenticare, lo ricorda sempre il Nyt, quello avvenuto sei anni prima, nel 1995, a Oklahoma City, dove un estremista di destra uccise 168 persone con un ordigno a base di fertilizzanti, come quello piazzato nel centro di Oslo da Anders Behring Breivik.
È stato dato, ad esempio, scarso rilievo a quel che è accaduto lo scorso novembre nella città svedese di Malmo, dove un uomo è stato arrestato con l'accusa di avere aggredito una dozzina di immigrati. In un caso con esito mortale. Sempre in Svezia un partito di estrema destra, quello dei Democratici svedesi, ha ottenuto il 5,7 % dei voti ed è entrato per la prima volta in Parlamento. In Danimarca il Partito del Popolo danese ha venticinque seggi su 179 e in Olanda il partito di Geert Wilders, il Partito della Libertà, ha ottenuto il 15,5 per cento alle ultime votazioni. Sono nuovi e vistosi coefficienti elettorali che provano la crescita dell'estrema destra nell'Europa del Nord, le cui società sono ritenute aperte, accoglienti con gli immigrati.
Nell'Europa del Sud gli esperti dedicano ovviamente particolare attenzione al Front National francese, del quale Nicolas Sarkozy cerca di contenere la crescita, a un anno dalle elezioni presidenziali, sottraendo non poche idee al limite della xenofobia, a Marina Le Pen, nuovo leader e pericoloso concorrente. La Lega di Umberto Bossi, con una schietta tendenza anti immigrati, è addirittura al governo a Roma. In molti scritti l'assassino norvegese si dichiara difensore della "cultura nordica" e condanna il multiculturalismo, in particolare la contaminazione araba. Con un altro stile, ben inteso, tre grandi leader europei hanno sostenuto tesi identiche. Il primo ministro del paese europeo più rispettoso dei diritti degli immigrati, l'inglese David Cameron, ha condanato il multiculturalismo. E lo stesso ha fatto a chiare lettere Angela Merkel, anche se la cancelliera tedesca non si è poi risparmiata nell'enfatizzare la necessità dell'immigrazione. In quanto al presidente francese ha promosso una campagna sull'identità nazionale, rivelatasi sfortunata. E comunque per Parigi l'assimilazione resta un dogma, e si guarda dall'ammettere il comunitarismo, e quindi il multiculturalismo.
Sarebbe troppo sbrigativo, anzi assurdo, affermare che l'assassino di Oslo e Utoya ha espresso con la bomba e il mitra i propositi di eminenti dirigenti europei. Non mi permetto di dirlo. Né lo penso. Ma l'atmosfera europea risente di quelle idee. Anders Behring Breivik era, a quel che sembra, un cane sciolto negli ultimi tempi. L'estrema destra norvegese non ha un vero leader, è un mosaico di tanti gruppi, sempre più numerosi, i quali traducono in discorsi fanatici, i normali propositi della società politica democratica. E Breivik si abbeverava a quelle fonti.

La Repubblica, 25/07/2011, Bernardo Valli


II - L'INFINITA IDIOZIA DEL MALE

Finché non emergeranno inoppugnabili - per ora altamente improbabili - prove di una cospirazione terroristica, l'inaudito massacro norvegese va considerato un fatto di cronaca nera, ancorché di immani proporzioni. Esistono certo nel mondo tante e antitetiche associazioni terroristiche capaci di qualsiasi efferatezza, ma esiste anche il crimine - ancor più misterioso e più inquietante proprio perché spesso apparentemente immotivato - che nasce,
si organizza e si consuma nella mente di un solo individuo, all'infuori di ogni pur delirante progetto politico.
Come ha scritto sul Corriere Pierluigi Battista, cercare sempre il complotto (a suo modo razionale pur nella sua perversità), la spiegazione politica e sociologica, un preciso disegno collettivo, è un modo inconsapevole di rassicurarsi, identificando un ordine pur abbietto; un modo di abbandonarsi a fantasticherie su trame enigmatiche, fondamentalmente paurose ma anche involontariamente gratificanti, come è spesso gratificante soffermarsi sulle vaghe immagini dell'incubo, dell'orrore e della paura. Interpretare o cercare di interpretare dà sempre conforto, quando non addirittura supponente compiacimento; dinnanzi a tanti delitti ancora insoluti i pareri sulle loro più o meno nascoste motivazioni sembrano più importanti (e occupano più spazio nei giornali) delle indagini, che invece sono in quel momento la prima e forse l'unica cosa che conti.
Detto questo, resta una netta differenza tra il gesto individuale di una persona e un progetto, collettivo anche se messo in atto individualmente, di un'organizzazione. L'omicida norvegese sembra assimilabile, con alta probabilità, ai Landru o a Jack lo Squartatore - pure essi, come tutti, figli del loro tempo - piuttosto che agli assassini dell'Italicus o di Piazza Fontana. Sarebbe infame usarlo per infangare l'uno o l'altro movimento politico. Il suo gesto atroce mostra la continua latenza del male, la sua possibilità di scatenarsi in qualsiasi inatteso momento; rivela la nostra convivenza quotidiana, gomito a gomito, con il male, sempre in agguato e talora spaventosamente in azione. Quella macelleria di esseri umani mostra pure l'infinita banalità e idiozia del male e della violenza, che tante volte ci vengono invece mostrati quasi avvolti di seduzione, espressioni di chissà quali infere ma profonde verità; il coltello di Jack lo Squartatore sembra aver affascinato come la spada di un angelo diabolico tante persone, anche se non certo il ventre squarciato e le sofferenze delle donne da lui uccise, le uniche, vere protagoniste di quella tragica storia, in cui lui è una sia pur sciagurata comparsa. È una vergogna, pur inevitabile, mandare a memoria il nome dell'assassino norvegese e non quelli delle sue vittime.
Quel meccanico e ripetuto premere il grilletto fa assomigliare quell'assassino al meccanismo di una mostruosa catena di montaggio. Naturalmente anch'egli è un uomo la cui umanità non si esaurisce nei suoi crimini, uomo che va perseguito ma anche tutelato secondo la legge uguale per tutti, anche per gli efferati assassini; un uomo che probabilmente avrà avuto le sue ossessioni, le sue sofferenze, le sue paure. Si può e si deve avere rispetto - a parte la qualificazione giuridica dei suoi atti e la pena da essi richiesta - perfino per lui, ma non - secondo la banale retorica del male - perché è un assassino, bensì nonostante sia un assassino. Il suo delitto è la cosa non solo più orrenda, ma anche più stupida, più meccanica, più ottusa della sua vita. L'omicida di oltre 90 persone pare si sia definito «un fondamentalista cristiano», termine privo di qualsiasi senso. Spesso, fra l'altro, si identifica erroneamente il fondamentalismo con l'integralismo, specialmente religioso, di una o di un'altra fede (oggi soprattutto quella islamica), e in generale con una forma particolarmente intollerante di tradizionalismo religioso. Il fondamentalismo ha poco o nulla a che fare con la tradizione, anche con quella più gelosamente custode dell'osservanza e dell'immobilità di un credo. Il fondamentalismo non è un fenomeno tradizionale, radicato nel passato, ma è un fenomeno squisitamente moderno, caratteristico delle società di massa e della globalizzazione, così come - per fare un esempio - il fascismo è un fenomeno totalitario moderno radicalmente diverso dagli autoritarismi del passato.
Quel dito meccanicamente omicida non dovrebbe indurre a riflessioni sulle società ricche e tranquille come quella norvegese o a disquisizioni del genere. Altre forme del male - queste sì politiche, sociali, collettive - giungono non solo da società arretrate e barbariche, bensì pure da società aperte e civili, considerate modelli di democrazia quali ad esempio l'Olanda o certi Paesi scandinavi in cui avanzano aggressivi movimenti xenofobi in aperto contrasto con la tradizione dei loro Paesi. Se la xenofobia è più forte in Olanda che in Spagna, ciò deriva forse dal fatto che la cultura di quest'ultima, come di altri Paesi, ha conservato più a fondo quel senso sacro della vita che distingue fortemente i molti, moltissimi valori che devono essere messi in discussione da quei due o tre valori essenziali (per esempio l'uguaglianza di tutti i cittadini a prescindere dall'appartenenza sessuale, etnica, religiosa o di altro genere) che dobbiamo considerare come assoluti, non più discutibili e non più negoziabili. Molto, quasi tutto, deve essere optional , ma non tutto. Quando «tutto è possibile», come scriveva con orrore Dostoevskij, il mondo diventa orribile. Ma non si può fare di questo una colpa all'assassino norvegese, né fondamentalista né cristiano; è sufficiente addebitargli oltre 90 omicidi.
Certamente, come diceva uno strombazzato e spesso pappagallesco ma veritiero slogan sessantottesco, «tutto è politico». Nessun individuo arriva dalla luna. Ognuno è intessuto del mondo in cui vive, sia egli un solitario misantropo o il più socievole degli uomini; vive nel mondo e almeno in parte lo assorbe, mescola al proprio dna ciò che penetra consapevolmente o inconsapevolmente in lui dalla realtà esterna. Non c'è idea, passione, abitudine, desiderio, paura, comportamento che sia unicamente nostro; è vero che, come dicevano i filosofi Scolastici, l'individuo è ineffabile o almeno che c'è in ognuno qualcosa di ineffabile, ma anche questa imprendibile e mobile ombra del nostro cuore è intessuta di socialità.
Corriere della Sera, 25/07/2011, Claudio Magris





domenica 24 luglio 2011

Un Killer, novanta morti, una strage

Pubblichiamo numerosi articoli sulla terribile tragedia che ha visto l'uccisione a sangue freddo di quasi 100 giovani tra i 15 e i 20 anni, colpevoli di essere nati in un paese che pratica la tolleranza, la libertà di culto e di religione e che non considera i musulmani una massa di assassini. E' interessante notare come in numerosi giornali italiani per la prima volta si parla di "fondamentalismo cristiano". Ne parleremo diffusamente nei prossimi post

I - "CHIEDEVAMO PIETA' E LUI SPARAVA" TRA I RAGAZZI DELL'ISOLA DELLA MORTE


SUNDVOLLEN. «È stata una scena terrificante. Quel poliziotto che urlava "venite più vicini", poi gli spari, il sangue, le grida "non ucciderci". Siamo scappati in preda al panico, qualcuno si buttava in acqua, io mi sono nascosta nei cespugli. Mi sembrava un incubo ma era tutto vero». Hana ha 18 anni, i capelli biondi e fatica a parlare. La voce è flebile, un mormorio, gli occhi terrorizzati di chi ha visto la morte in faccia.
Davanti al Sudvollen Hotel lei ed altri ragazzi scampati alla strage raccontano quel maledetto venerdì pomeriggio, quando una festa di adolescenti in un´isoletta in mezzo ai fiordi si trasformata nel male assoluto sotto le sembianze di un finto poliziotto.
L´isola maledetta è lì davanti, poche centinaia di metri da questo agglomerato di case, due hotel e un supermercato che è diventato il rifugio degli scampati, il quartier generale della polizia, il parcheggio delle ambulanze. Sembra un paradiso terrestere Utoya, con i suoi pini che scendono fino all´acqua, le macchie di roccia e qualche striscia di sabbia, è bella anche sotto la pioggia battente e il cielo sempre più nero, un´oasi baciata dalla natura che solo la lucida follia di un pluriomicida ha potuto trasformare nel giro di un´ora nell´isola della morte.
«Mi spiace, non ci potete proprio andare». Il poliziotto è gentile ma fermo, anche un paio di barche locali partite per avvicinarsi vengono fatte tornare indietro. «Stiamo cercando altri superstiti, non sappiamo esattamente quanti fossero i giovani presenti, di quelli cercati dai genitori ne mancano ancora cinque o sei. No, non posso dirle niente. Sì, era vestito da poliziotto, questa cosa mi fa stare ancora più male, ci ha usato per uccidere, non è umano, è un mostro». Tra gli agenti qualcuno cede alla commozione, i più solo alla rabbia. Da ore stanno cercando nuovi superstiti - al momento i morti accertati sono 85 - ogni ora che passa la speranza diminuisce. Usano anche un piccolo sottomarino, girano senza sosta attorno all´isola, consolano i ragazzi che hanno perso un amico, telefonano ai genitori che ancora non sono arrivati.
Thor i genitori lo hanno trovato. Ha i pantaloni di tuta grigia e una maglietta azzurra, racconta anche lui quell´ora d´inferno che non dimenticherà mai. «Ci siamo fidati, era la polizia, era lì per difenderci, che altro potevamo pensare? Quando ha iniziato a sparare ho sentito le urla, mi sono messo a correre come un pazzo, eravamo in tre, ci siamo buttati in mare, io mi sono nascosto in una specie di caverna tra le rocce, l´acqua fino alla gola, poi quando sono arrivate le barche ho nuotato, nuotato fino a quando mi hanno raccolto. Devo la vita alla gente di questo posto, non saprò mai come ringraziarli». Il padre lo stringe sulle spalle, la madre lo accarezza e non riesce a nascondere la commozione, vanno via scortati da un paio di poliziotti, tornano a casa, «proveremo a dimenticare».
Come Hana, come Thor, anche i racconti degli altri superstiti - i pochi che ancora sono a Sundvollen in attesa dei papà e delle mamme - narrano il terrore, il panico, la morte. «Ha cominciato a sparare sull´isola, contro quelli che aveva raggruppati, poi ha sparato contro chi era fuggito in acqua, contro chi nuotava, sparava per uccidere», dice Elise che si è nascosta «proprio sotto la roccia» dove l´omicida sparava all´impazzata con la sua arma automatica. Racconta di come sia riuscita a telefonare ai genitori che hanno cercato di tranquillizzarla, che le hanno consigliato di «levarsi la giacchetta dai colori sgargianti» per non attirare l´attenzione.
«Come ha potuto, come ha potuto», ripete singhiozzando un ragazzo dalla carnagione mediterranea, figlio di uno dei tanti emigranti che la Norvegia ha accolto a braccia aperte, a cui ha dato una casa, un lavoro e una vita pacifica. «Come ha potuto sparare a chi era a terra, finire con un colpo di grazia chi non era ancora morto, come ha fatto ad uccidere così tante persone. Dove stava la polizia, perché non lo hanno ammazzato?». Una ragazza gli tende la mano, si abbracciano, anche lei ha visto in faccia l´orrore: «C´erano giovani a terra, c´era sangue, qualcuno faceva finta di essere morto, forse sperava di salvarsi. Io ero nascosta dietro un albero, c´erano tanti cespugli, ero paralizzata dalla paura. Poi ho alzato lo sguardo e ho visto che sparava ancora, proprio su quelli a terra. A quel punto ho chiuso gli occhi».
Erik ha solo quindici anni e si è salvato nuotando il più velocemente possibile. «Eravamo in tanti, non so, una decina forse, qualcuno non ce l´ha fatta. Sentivo gli spari, avevo capito che stava mirando verso di noi, ho continuato a nuotare fino a quando ho sentito delle braccia che mi tiravano su. Non so se ce l´avrei fatta ad arrivare fino a riva, qualcuno credo che ci sia riuscito, altri sono scomparsi in mezzo al fiordo». Si appoggia alla tenda gialla e verde che qualcuno ha lasciato in piedi proprio sulla riva che fronteggia l´isolotto, cerca di calcolare le distanze, «non sembra troppo lunga, ma non eravamo lì per fare un bagno».
Lì accanto uno dei locali, uno dei tanti che appena ha capito cosa stesse succedendo si lanciato in mare con la sua barchetta contribuendo a salvare molte vite, scuote la testa. «Se uno guarda da qui, magari pensa, sì, a nuoto si può anche fare. Ma quelli erano ragazzi in campeggio, avevano mangiato, magari anche bevuto qualche birra, e l´acqua qui è ghiacciata, non siamo mica su una spiaggia del Mediterraneo. E poi erano terrorizzati, c´era uno che gli sparava addosso. Quanti ne ho raccolti? Non ricordo bene, tutti quelli che ho potuto mettere in questa barchetta, sette, otto, non so, non ho avuto tempo per ragionare».
E´ durata un´ora e mezza la strage degli innocenti, decine di minuti lunghissimi che nel ricordo di chi li ha vissuti non sembravano finire mai. Un´ora e mezza di caccia all´uomo, sparando per uccidere, senza che nessuno sia riuscito ad intervenire per fermare quell´assassinio di massa. Quasi tutte le testimonianze concordano, un poliziotto (finto) che invitava i giovani a raggrupparsi, che all´improvviso tirava fuori da un borsone l´automatica e iniziava a sparare. C´è anche però chi parla di complici, chi ha sentito altri spari, da altre parti. Forse è solo suggestione e la polizia insiste sull´azione isolata.
Il giorno dopo è quello del cordoglio, dei pianti, della commozione e degli abbracci. Di polemiche non è ancora tempo, ma prima o poi, a mente fredda, qualcuno dovrà provare a spiegare come tutto ciò sia stato possibile, come un uomo travestito da poliziotto abbia potuto andare avanti per novanta minuti a compiere la peggiore carneficina che la Norvegia di oggi ricordi.


La Repubblica, 24/07/2011, Alberto Flores D'Arcais




II - IL NORVEGESE CHE AMAVA KAFKA E ODIAVA L'ISLAM 


ASTA (Est NORVEGIA)
Sulla riva del fiume Glomma, fra gli abeti dell´Hedmark, facce nere o gialle se ne vedono poche. Forse era per questo che Anders Behring Breivik si era rifugiato da queste parti.
QUI, nel cuore agricolo della Norvegia, ben lontano da Oslo e dalla sua odiata promiscuità culturale. O forse il motivo del trasloco era la pace: la possibilità di miscelare tranquillamente le sei tonnellate di fertilizzante a base di nitrato d´ammonio con gli altri ingredienti necessari per la bomba. La polizia norvegese ne è convinta: l´autobomba che ha straziato il centro di Oslo era carica di esplosivo fatto in casa, con tutta probabilità fra il granaio e la residenza in legno bianco della fattoria Breivik Geofarm.
Gli ultimi cinque sacchi da 600 chili sono ancora lì, a lato del vialetto, bianchi con il simbolo della fabbrica chimica Yara, una piccola nave vichinga su fondo blu. Breivik aveva ordinato per telefono il fertilizzante, forse per non apparire nei negozi. «Non possiamo venderli a tutti, ma solo agli agricoltori. Se però uno è registrato come tale, nessuno gli chiede niente. E sei tonnellate è una quantità normalissima», spiegano i commessi del vicino emporio Felleskjopet, a Rena.
Nella pace della casetta di legno, Breivik si tormentava sul futuro della sua Norvegia, minacciata dalla modernità. Difficile credere che la sua preoccupazione fosse la ricchezza del raccolto: basta guardare i campi trascurati. «Forse allevava api, ci sono delle arnie, sotto», dice il comandante dei poliziotti che controllano la fattoria. O più probabilmente, stava pianificando il massacro dei ragazzi nel campeggio di Utoya, dettaglio per dettaglio, dalla barca necessaria per arrivare all´isola, fino all´uniforme della polizia, utile per non allarmare i ragazzi, radunarli in pace e ucciderli uno per uno.
Ha confessato, Anders Behring Breivik: quanto meno ha confessato di essere l´assassino dei piccoli laburisti, non di essere l´organizzatore dell´attentato di Oslo. E la sua confessione, assieme al racconto dei sopravvissuti, serve a delineare il personaggio. «Le mie azioni sono state atroci - ha riconosciuto al suo avvocato - ma necessarie». Persino l´abbottonatissimo poliziotto di guardia alla fattoria si stupisce dell´epilogo: «In genere chi commette massacri del genere, poi si toglie la vita».
Breivik invece no. Si è arreso alle forze speciali della polizia dopo un´ora e mezzo di sparatoria tranquilla e metodica sui ragazzi. Le testimonianze dei sopravvissuti parlano di un assassino «calmissimo», che si assicurava di aver fatto un buon lavoro con un secondo colpo in testa per ogni caso dubbio. Freddo, professionale. D´altronde non era uomo da riferimenti modesti. Nei mesi scorsi aveva postato su Twitter una citazione di John Stuart Mills: «Una persona con una fede ha la forza di 100.000 che hanno solo interessi».
Attorno alla casa bianca di legno, oltre i nastri stesi dagli agenti e marchiati "Politi", il terreno è incolto. Nello spiazzo fra la casa e il granaio il furgoncino degli investigatori è aperto, due tecnici forensi con la mascherina sul viso fanno la spola fra gli edifici e la vettura. Per ora gli investigatori non parlano: non si sa se era nella pace della campagna che Breivik ha concepito e pubblicato il suo profilo Facebook, sparito da internet ma reso pubblico dalla stampa norvegese.
Celibe, cristiano e conservatore, si definiva lui sulla pagina del social network. La scelta delle informazioni pubblicate e le sue foto in posa, levigatissime, fanno quasi pensare a un progetto narcisista, lucido pur nella follia. Era orgoglioso di far conoscere la sua passione per videogiochi come World of Warcraft o Modern Warfare, per libri come "1984" di George Orwell, "Il processo" di Franz Kafka e "Il principe" di Niccolò Machiavelli. Fra i suoi interessi, la caccia, il body building e la massoneria. Il ritratto di una persona tradizionalista, con interessi culturali. Ma oltre alle foto, la nota stonata è nella voce "amici", completamente vuota. E no, non era solo la necessità di privacy, la legittima voglia di star da solo, nella pace della terra delle alci. Se la versione recuperata dalla stampa norvegese è corretta, più che uno strumento per le relazioni sociali, quel profilo sembra quasi una specie di "testamento", lasciato forse in previsione di gesti clamorosi.
Sul social network, Breivik non parlava delle armi: la stampa norvegese ha scoperto la sua affiliazione in un gruppo di tiro, che gli permetteva di tenere armi legalmente registrate. Per la polizia il 32 enne non era conosciuto come estremista, ma gli amici ricordano il passato nel Partito del Progresso, fortemente conservatore. Le idee «anti-islamiche» e «fortemente nazionaliste» vengono fuori dai messaggi nei forum su internet, in cui Breivik si opponeva all´idea della convivenza fra diverse culture. Fra le ombre degli abeti, anche Gro Harlem Brundtlandt, storica premier laburista negli anni 1981-1996, era vista come «l´assassina del paese», perché aveva applicato le sue politiche libertarie e antirazziste.


La Repubblica, 24/07/2011, Giampaolo Cadalanu




Alcune citazioni dal pensiero dell'eroe ariano assassino Anders Behring Breivik: "I bambini norvegesi hanno difficoltà quando devono andare a scuola e stare tra i banchi con questi odiosi musulmani"..."E' inaccettabile che i laburisti finanzino i gruppi estremisti marxisti e islamici, che controllano anche i servizi segreti".


III - CROCI CELTICHE, ODINO E ROCK METAL IL PANTHEON NERO CHE AVVELENA        IL PAESE


Per raccontare la tenebra da cui è uscito Anders Behring Breivik e che altri come lui incuba, per definire il bolo di odio che avvelena la Norvegia e un pezzo di Europa, bisogna dimenticare la storia del Novecento e le sue categorie politiche.
E convincersi che persino parole come "Destra", "Fascismo", "Nazismo" possono risultare vuote, quantomeno inadatte. Bisogna immaginare una subcultura nazionalista contagiosa, cresciuta all´ombra di un Pantheon impazzito che tiene insieme la Bibbia e il rock Black Metal, il Compasso e le Crociate, il "paganesimo Odinista" con le sue reminiscenze di miti nibelungici. Tolkien con John Stuart Mill. Che ha in odio i religiosamente diversi - musulmani ed ebrei - i socialmente assistiti, i padroni della globalizzazione mercatista (le banche), la solidarietà marxista e laburista. Ugo Maria Tassinari, tra i più attenti studiosi dell´evoluzione delle destre in Italia e in Europa, spiega: «Lo sterminio di Oslo è l´espressione di un integralismo nero da terzo Millennio. Che esalta l´identità, nell´odio della modernità. E che ha rimesso al centro la Croce. Si badi bene, non il cattolicesimo. Ma un cristianesimo declinato in chiave ideologicamente violenta, intollerante».
Non è storia di ieri. Ma di almeno un decennio, ormai. Almeno in Norvegia. Dove a metà degli anni ‘90 si fa strada un uomo che organizza "conferenze antisioniste", parla con l´enfasi del messia e la violenza verbale dell´angelo vendicatore: Alfred Olsen. Il tipo, descritto come "mentalmente instabile" e che ha per altro legami di nascita con l´Italia, battezza il "Movimento di Resistenza Popolare. L´alternativa Cristiana". Ne definisce il manifesto. Dove, tra l´altro, si legge: «È necessario lottare contro il capitalismo di stato marxista, iI capitalismo liberale, la massoneria e altre idee anti-cristiane. Combattere l´infiltrazione di agenti stranieri nel nostro governo. Opporre la disseminazione di propaganda razzista-sionista in occidente, propaganda tesa a influenzare i cittadini contro la tradizione cristiana. Svelare e combattere la propaganda sovversiva nella scuola, nella stampa, nella radio, nella televisione, nel cinema e nella educazione in genere». Sono parole che trovano terreno fertile, soprattutto che suonano familiari, perché incrociano una subcultura giovanile nera che, in Norvegia, proprio in quegli anni, la metà dei ‘90, e di lì in avanti, si divide tra forme di neointegralismo cristiano e un neopaganesimo satanista che pesca a piene mani nel mito della fratellanza di sangue tra i popoli di origine germanica.
Di questa seconda "famiglia nera" è massimo interprete Varg Vikernes, cantante di "black metal". Nel 1991 ha fondato il progetto musicale "Burzum" (termine che significa "tenebra" e che Vikernes mutua dal "Signore degli anelli" di Tolkien) e ha assunto il nome d´arte di "Conte Grishnackh" (anche questo ispirato alla letteratura di Tolkien). Il "Neo-Volkish Heaten Front", formazione neonazi, lo adotta e ne succhia la popolarità. Anche da galeotto, perché Vikernes finisce in carcere per aver ucciso Oystein Aarseth, suo compagno di band. Dietro le sbarre, "il Conte" si fa filosofo e comincia a mettere mano a un manifesto che battezza "Vargsmal", "il discorso del lupo", dove il mito di Odino incrocia le fondamenta ideologiche del Nazismo, l´abbraccio ai temi dell´eugenetica diventa appassionato e il Paganesimo viene declinato in pochi e riconoscibili valori: «lealtà, coraggio, saggezza, disciplina, amore, onestà, intelligenza, bellezza, responsabilità, salute, forza». Vikernes finisce di scontare la pena nel maggio di due anni fa, ma appena sei anni prima, durante un breve permesso di uscita dal carcere, si fa sorprendere in fuga su un´auto rubata dove la polizia trova un fucile semiautomatico da guerra, una pistola, numerosi coltelli, maschere antigas, un sistema di rilevamento di posizione gps e tute mimetiche.
Tutto ciò che si muove fuori da questo perimetro "iniziatico" e "suprematista" bianco (da questo punto di vista c´è più di un´assonanza tra l´orrore di Oslo e la strage di Oklaoma City di Timothy Mc Veigh, 19 aprile 1995, 168 i morti), sia nella sua declinazione "cristiana", che in quella "pagana", non ha diritto di cittadinanza politica. Neppure se si tratta di partiti di destra come il "Fremskritt Partiet", il Partito del Progresso. Colpevoli di una "correttezza politica" che ne snatura l´afflato ideologico e mistico. «Evidentemente c´è uno specifico nord-europeo in quel che è accaduto e accade in Norvegia - spiega ancora Tassinari - ma non c´è dubbio che una parte almeno di questa eco nera che in generale definirei scandinava, ha in questi anni contagiato buona parte dell´Europa, dove assistiamo a dinamiche molto simili con il progressivo distacco e polverizzazione di culture di destra xenofobe che assumono quasi il tratto di sette, esercitando una forte attrazione su chi, i più giovani, vive lo smarrimento di un tempo difficile, socialmente ed economicamente». Qualche sigla. In Italia, con "Militia Christi" e "Forza Nuova". In Inghilterra, con l´English Defence League (EDL). In Olanda, con il movimento xenofobo "Partito della Libertà" guidato da Geert Wilders e la "Dutch defence league". In Francia, con la "Ligue Francaise de Defence". Per non dire dei Paesi dell´ex Blocco sovietico e della ex Yugoslavia, dove la pressione nazionalistica resta fortissima e diventa un significativo moltiplicatore di ricerca identitaria.
Quella cui il "Conte" Vikernes, dal carcere, invitava i suoi adepti. Con queste parole: «È giunto il momento di bandire il fantasma nazista che per 60 anni ha spaventato l´Europa, per cominciare a occuparci delle cose che ci sono care».



La Repubblica, 24/07/2011, Carlo Bonini




IV - "LA VERA EMERGENZA E' IL TERRORISMO NEO-NAZISTA"


L´esperto Marcus Buck: "I simpatizzanti di questi movimenti non sono tanti ma hanno un impatto devastante
«La carneficina ci ha fatto scoprire quel che sapevamo da sempre, e cioè che ogni atto di violenza in Norvegia  
 dalla Seconda guerra mondiale a oggi, reca la firma dell´estrema destra». Marcus Buck, studioso norvegese 
 di terrorismo, docente all´Università di Tromsø, è l´esperto forse più ascoltato in queste ore. «E i servizi di 
 sicurezza ne sono perfettamente consapevoli».
 Allora cosa non ha funzionato, professore Buck, nella prevenzione dell´attentato?
«Il fatto è che i gruppuscoli neonazisti sono disorganizzati, fluidi: è difficile monitorarli. Questo, malgrado essi 
 siano radicati nella storia dei Paesi nordici, dove il fascismo e il nazismo contavano su un buon numero di
 simpatizzanti».Quanto seguito hanno i neonazisti in Norvegia?
«Non più dell´1 per cento. Si tratta di una cinquantina di individui, ma dall´impatto devastante, come s'è  
 visto».Che cosa li muove?
«I fattori di malcontento sono due: il primo riguarda l´immigrazione, la società multiculturale, l´avversione 
 all´islamismo: è un sentimento comune al 20 per cento dei norvegesi. Il secondo fattore è di natura       
 economica».Cioè a dire?
«Che la Norvegia è un Paese estremamente ricco, privo di disoccupazione, con un enorme surplus investito 
 all´estero, anziché in patria. Fino al 50 per cento degli elettori è contrario alla politica del governo: pretende                                
 che il fondo petrolifero, il più danaroso al mondo, venga reinvestito in casa per migliorare i servizi pubblici e 
 diminuire le tasse».Perciò lei è certo che l´obiettivo fosse il governo?
«Dall´attimo in cui s´è saputo della sparatoria all´isola di Utoya, era chiaro che si trattava di una questione   
 interna: quel luogo è carico di simboli solo per i norvegesi. I 100 morti hanno fatto naufragare l´adagio del   
 "tutti i terroristi sono musulmani". È riaffiorata la verità: che l´Europa ha un problema di terrorismo proprio. 
Nei Paesi nordici quello viene dalla destra».


La Repubblica, 24/07/2011, Alix Van Buren




V - SCHEGGE NELLA GALASSIA NEONAZI


Si poteva prevedere l’imprevedibile? Si poteva comprendere l’incomprensibile? Si potevano anticipare le intenzioni stragiste di Anders Behring Breivik, che hanno squarciato il quartiere dell’Aker Brygge e seminato la morte tra i fiordi? In molti ora citano Stieg Larsson.
Lo scrittore di gialli svedese negli anni Novanta aveva messo in guardia dalla deriva violenta dei gruppi di estrema destra in Scandinavia. L’autore della trilogia Millennium aveva visto lontano nella sua rivista Expo e aveva pagato subendo attentati e minacce. Eppure anche lui si era illuso. Perché tutti ci facevamo abbagliare dall’innocenza norvegese, dall’apertura di una società che sembrava immune al virus dell’intolleranza. Fu Larsson a rivelare che la Svezia è la più grande produttrice di White Power Music e di altra spazzatura razzista, teatro di un movimento neonazi sempre più tracotante. Ma quanto alla Norvegia, anche un agitatore di coscienze come Larsson descriveva i suoi estremisti di destra come disorganizzati e caotici, gruppuscoli di gentaglia confusa e incoerente, che arrivava quasi sempre ubriaca ai raduni al confine. C’è quindi poco da stupirsi, se l’illusione si è perpetuata. Vero, sono passati tre lustri. 
L’ultradestra norvegese, ci dicono adesso, ha costruito legami criminali più forti con altri sodali esteri, in Europa, in Russia, perfino negli Stati Uniti. Eppure, ancora nel marzo scorso, il rapporto annuale del Pst, il servizio di sicurezza della polizia norvegese, segnalava sì «un più alto livello di attivismo dei gruppi antislamici» e un «incremento dell’attività dei circoli di estrema destra» nel 2010. Ma la valutazione conclusiva dello studio era stata che gruppi o individui dell’ultra-destra «non avrebbero costituito un pericolo grave per la società» . 
«Nessuno ha visto l’incubo arrivare» , ammette Kari Helene Partapouli, del Centro norvegese contro il razzismo. E spiega che c’erano molte ragioni ad alimentare l’illusione dell’immunità. La galassia xenofoba, nazionalista e antislamica non ha trovato infatti in Norvegia forti espressioni politiche organizzate e soprattutto leader carismatici. Qui il massimo dell’opzione populista è il Partito del progresso di Siv Jensen, che chiede di rendere più severa la legge sull’immigrazione. Breivik ne ha fatto parte dal 2004 al 2006. Poi se n’è chiamato fuori, evidentemente insoddisfatto della sua moderazione. Ma nulla a che vedere con la marea montante dei nuovi populisti europei, come i cosiddetti democratici svedesi di Jimmie Akesson. Men che meno con il Partito del popolo danese di Pia Kjærsgaard o il Puv olandese dell’ossigenato e abilissimo Geert Wilders, furiosamente antislamici e tutti ormai divenuti «salonfaehig» , cioè degni di stare nel salotto della politica nazionale. 
Anche spingendosi ancora più a destra e varcando la soglia indecente del neonazismo antisemita o antirom, la Norvegia non offre nulla di simile allo Jobbik ungherese di Gabor Voda. «Da noi — dice Partapouli— non ci sono stati i grandi dibattiti sul fallimento del multiculturalismo che si sono svolti in Danimarca o in Olanda» . 
Certo, ora Jonas Gahr Støre, il ministro degli Esteri norvegese, dice che l’estremismo di destra è un «fenomeno che va preso molto seriamente» . E questo fa intuire la militarizzazione di una città, dove finora di regola i politici hanno camminato senza scorte e i reali andavano a passeggio in bicicletta. Il mistero resta chiuso in lui, in Anders Behring Breivik. Il suo solo collegamento internazionale finora reso noto è quello con un blog neonazista svedese di cui è membro: fondato nel 2007, Nordisk conta 22 mila membri e pone in risalto «l’identità, la cultura e le tradizioni storiche nordiche».
Ne fanno parte sia membri del Parlamento svedese, che esponenti neonazisti o xenofobi. Molti sono i commenti sul sito che istigano alla violenza. Sulla rete, Breivik definiva «marxista» chiunque non fosse d’accordo con lui. Nel suo mirino erano soprattutto i socialdemocratici: «Penso che li veda come un partito che favorisce il multiculturalismo e in quanto tale minaccia la Norvegia» , spiega la signora Partepouli. Ma anche nell’apparente chiarezza del disegno, dalle invettive xenofobe a piazzare una bomba assassina o a imbracciare una mitraglietta per falciare decine di adolescenti ridendo, c’è il salto nel buio della follia, ci sono le tenebre di una mente disturbata. E c’è poi il dubbio, che ancora agita autorità, inquirenti e opinioni pubblica: ha veramente agito da solo? Anche dalla risposta a questa domanda, dipendono le ripercussioni che la strage avrà sul Paese e sul resto d’Europa. In gruppo non ci sarebbe più follia. 
Di sicuro, in questo freddo sabato d’estate c’è la fine di un’illusione: di estremismo si muore. Anche nel Paese che dà il Nobel per la Pace.


Corriere della Sera, 24/07/2011, Paolo Valentino




VI - I VOLENTEROSI VICHINGHI DEL FUHRER 


Prima sono stati i libri di Stieg Larsson a raccontare una Svezia in cui fioriscono movimenti nazisti e razzisti. Ora da Oslo arriva la prova che un’altra grande nazione scandinava, anch’essa con un’immagine pacifica e progressista, può ospitare correnti «nere» capaci di esplodere con violenza. Ma forse sbagliamo a stupirci. Andando a curiosare nella storia europea, si scopre con facilità che in tutta l’area che si affaccia sul Baltico e sul Mare del Nord le ideologie totalitarie di estrema destra, basate sul concetto di «supremazia bianca» , hanno potuto contare su un robusto numero di seguaci. Tanto che la guardia pretoriana di Adolf Hitler, le SS, ne arruolò diversi tra i propri ranghi fino a costituire «Legioni» di volontari che combatterono come demoni sul fronte orientale nella Seconda guerra mondiale (1939-1945). Non solo. A difendere la cancelleria di Berlino nell’ultima disperata resistenza contro l’Armata rossa, nell’aprile 1945, furono soprattutto loro: i norvegesi, gli svedesi e i danesi delle divisioni Nordland e Wiking, i fiamminghi della Langemarck e gli olandesi della Nederland, oltre ai francesi della divisione Charlemagne. Era gente che non aveva niente da perdere e lo sapeva: cadere nelle mani dei russi voleva dire morte immediata (nella migliore delle ipotesi). Ma non era solo per quello che combattevano: in realtà lo facevano (e si erano offerti volontari) soprattutto per dare il loro contributo alla crociata contro bolscevismo e sionismo (per loro praticamente sinonimi) e contro quelle che chiamavano le «orde slave» da cui, temevano, tutta l’Europa sarebbe stata sommersa. Come se l’ideologia nazista altro non fosse che l’abito moderno di una paura atavica, che forse risale ai mongoli dell’Orda d’oro. Anche alla fine della Prima guerra mondiale era successa la stessa cosa. 
Dopo la resa tedesca, nel 1918, le frontiere orientali della Germania erano spalancate di fronte a un calderone ribollente di bolscevichi rossi, armate bianche controrivoluzionarie, polacchi. E si formarono i Freikorps, i corpi di volontari antibolscevichi germano-baltici che il generale britannico Ironside definì «gli uomini più marziali che io abbia mai incontrato».


Corriere della Sera, 24/07/2011






















  

sabato 23 luglio 2011

SOLIDARIETA' E CORDOGLIO AL CIVILE E PACIFICO POPOLO NORVEGESE

“Il sogno infranto del Paese disarmato”


La Repubblica, 23/07/2011, Adriano Sofri

Quando arrivò a capo della creazione, Dio si frugò nelle tasche e trovò una manciata di granelli di polvere. Rovesciò le tasche, strofinò i polpastrelli, la polvere cadde e fece la Norvegia, mari e monti, isole e fiordi. Nessun posto del mondo è così bello e così civile. Ieri il primo ministro Jens Stoltenberg, bersaglio lui stesso della guerra scatenata da qualche miserabile farabutto, ha detto: «Non ci toglieranno il nostro modo di vivere». Era la cosa più importante da dire, e tuttavia la Norvegia dopo ieri non sarà più lo stesso Paese, prima di tutto per i norvegesi. Non è più stata quella di prima la Svezia, dopo la sera del 1986 in cui il primo ministro Olof Palme, che tornava a casa da un cinema, a piedi, con sua moglie, fu assassinato.
La convivenza e la semplicità di modi riescono a suscitare un odio speciale. La semplicità senza ostentazione segna la monarchia, il cui erede ha sposato un´ottima ragazza madre, cui si attribuivano trascorsi di droga. Ancora ieri, un poliziotto di Oslo ha detto a chi lo intervistava: «Noi siamo disarmati, e spero che non ci costringano mai ad armarci».
I norvegesi tengono la natura come la cosa più preziosa, e più che rispettarla le appartengono. Senza smancerie, perché è spesso una natura durissima. Averci a che fare è impossibile senza contare sui propri vicini, e questa solidarietà va assieme a un riserbo e una sobrietà leggendari. Si scherza, neanche tanto: se una famigliola norvegese arriva a piantare la tenda sulla sponda di un lago e ne intravede un´altra sulla sponda opposta riparte brontolando: «C´è troppa folla qui». L´individualismo coincide con una sensazione invincibile del proprio diritto: non c´è soggezione all´autorità, sfiderebbe il ridicolo il norvegese che dicesse a un altro: «Lei non sa chi sono io».
Il rispetto per la legge dello Stato vale finché il cittadino senta di condividere la morale dello Stato. Anche ora che è molto più americanizzata, la Norvegia conserva un suo sentimento sdegnosamente fiero. Non c´è hytte che non abbia il pennone per la bandiera, issata a segnalare che in quel momento la casa è abitata: un clamoroso segnale a vantaggio dei ladri, in un paese dove si devono temere molto i ladri.
Fra i paesi scandinavi, la Norvegia era la sorella povera, e anche dopo l´indipendenza, nel 1905, gli svedesi la guardavano con una certa condiscendenza. Poi il petrolio del Mare del Nord l´ha resa improvvisamente ricca, ma senza che se ne dimenticasse. A un armatore oggi ricchissimo fu intentata una causa, con l´accusa di aver comprato la patente nautica. La vinse quando il suo avvocato spiegò che uno che era nato pescatore e a 12 anni col primo paio di scarpe era imbarcato sui pescherecci nell´oceano non avrebbe avuto bisogno di comprarsi patenti.
Il petrolio coincide ovunque con la tirannide e l´oscurantismo (con poche eccezioni, ora il Ghana, forse). Siccome il petrolio finisce, i norvegesi ne hanno fatto una risorsa da accantonare largamente per le generazioni a venire, e hanno selezionato i loro partner economici in modo da escludere dittatori e violatori di diritti umani e corrotti.
Oggi la Norvegia resiste alle pressioni congiunte di Usa Canada e Russia sul petrolio nel mare di Barents, per difendere un modo di estrazione non distruttivo e il futuro della pesca: «Il petrolio finirà e noi mangeremo di nuovo aringhe». Il futuro della pesca del resto è spacciato dovunque, e anche alle Lofoten si moltiplicano le annate in cui la pesca del merluzzo è sospesa.
La Norvegia, che non arriva ai cinque milioni di abitanti, non fa parte dell´Unione Europea - ripetuti referendum hanno respinto l´ingresso - e conserva la sua moneta, la corona. Tiene il primo posto nelle graduatorie sui diritti e sulla qualità della vita. Internazionale ripubblicava ieri il servizio di Le Monde sui padri norvegesi - nove su dieci - che vanno in congedo per stare coi figli neonati. Dal 2006 nei consigli di amministrazione deve sedere per legge il 40 per cento di donne, di fatto sono più numerose. Si immaginarono cortei di uomini: «Non siamo panda».
Tutti i cittadini partecipano degli aiuti al mondo povero, per i quali la Norvegia è di gran lunga al primo posto. Lo è anche per le missioni delle Nazioni Unite. Un lettore o uno spettatore italiano resterebbe stupito di fronte all´estrema sobrietà con cui in Norvegia si dà notizia della morte di militari o volontari norvegesi in zone di guerra o di missione. L´accoglienza agli stranieri, specialmente asiatici - a cominciare dai vietnamiti - è stata molto vasta, e ha sperimentato, prima di altri paesi, le difficoltà e anche i fallimenti di programmi di integrazione troppo fiduciosi. Oslo conosce tensioni e paure, ma niente poteva far immaginare una violenza così sfrenata e feroce, se non proprio l´odio speciale che provocano la calma e la bellezza. Mentre scrivo non so quanti morti è costata la giornata di ieri, nel centro della città e sull´isola dei ragazzi. Mi tornano in mente i cimiteri norvegesi, che somigliano a giardini e si chiamano così. Noi iscriviamo nostri ricordi e saluti sulle tombe dei morti. Là sono i morti a salutare chi è rimasto, con tre monosillabi: «Takk for alt». Grazie di tutto.



La pista islamica e quella interna

La Repubblica, 23/07/2011, Renzo Guolo

C´è una sola firma – finora – sulla giornata di sangue che ha terrorizzato la Norvegia: quella di un gruppo Jihadista che si è manifestato via Internet annunciando che "questo è solo l´inizio". Ma gli inquirenti non sanno ancora se dare peso a questa rivendicazione (peraltro smentita sulla Rete) o se seguire invece altre piste non legate alle organizzazioni internazionali, e di puntare su gruppi sovversivi anti-sistema interni.
L´unico arrestato è infatti un cittadino norvegese, come annunciato dal governo di Oslo. È lui che ha sparato e fatto strage di ragazzi alla convention giovanile laburista nell´isola Utoya. Il fatto lascia la porta aperta all´ipotesi che dietro l´atto terroristico ci sia la mano di gruppi di estrema destra, significativamente presenti e sostenuti da un pezzo della società norvegese. Gruppi ostili al melting pot norvegese. Nessuno di loro, però, si è mai reso finora responsabile di atti di sangue.
L´altra ipotesi è la pista qaedista. E non sarebbe difficile capire perché gli attentatori hanno colpito Oslo, trasformandone strade e edifici in un drammatico fotogramma di Baghdad o Mumbai. Un colpo inatteso per molti norvegesi che, nel corso del tempo, avevano cancellato anche l´ormai sbiadito ricordo del tentato assassinio, nel 1993, dell´editore dei Versetti Satanici di Salman Rushdie, William Nygaard, caso riemerso solo recentemente. In realtà la Norvegia, così come Danimarca e Svezia, è da tempo nel mirino qaedista. Il coinvolgimento militare in Afghanistan, al quale si è aggiunto recentemente quello in Libia, ha confermato agli occhi degli jihadisti il carattere "empio" del regno di Harald V.
Il fattore capace di scatenare la jihad pare vada rintracciato, più che nell´accusa di terrorismo rivolta da un procuratore al Mullah Krekar, il fondatore del gruppo curdo-iracheno Ansar al-Islam che ha reagito con minacce a una sua possibile espulsione, nelle dinamiche militari ed editoriali. Il kombinat vignette-guerra in Afganistan è da sempre un ingrediente micidiale della mobilitazione jihadista. In passato la polizia norvegese ha arrestato, su input americano, un uiguro in contatto con militanti di Al Qaeda in Pakistan. Oslo poi, è diventata un obiettivo di prima grandezza da quando un giornale locale ha riproposto le vignette su Maometto, pubblicate originariamente dal danese Posten: un´onta da lavare con il sangue del Nemico.
E´ presto per dire chi siano gli autori della strage. Cellule locali potrebbero avere avuto contatti con operativi di Al Qaeda in Medioriente o in Asia. Un´operazione che dimostrerebbe la rinnovata capacità operativa del gruppo, duramente provato dal blitz di Abbotabad, e insieme il rilancio della linea del jihad globale a scapito di quella locale. In Norvegia sono presenti gruppi di immigrati che provengono dal Pakistan, dall´Iraq, dalla Somalia, aree di guerra o di conflitto a alto tasso ideologico islamista. Il rancore verso l´Occidente, potrebbe essere maturato, o anche solo innescato, nelle enclave etniche e religiose dell´ormai multietnica Oslo.
Se fosse confermata la natura qaedista dell´attacco, si tratterebbe comunque di un tentativo del fronte del jihad di riprendersi quella centralità divelta dalle rivolte arabe, prima e dopo la morte di Bin Laden. Qualunque sia l´esito della "campagna di Oslo" è un tentativo destinato a fallire. Lo jihadismo può certo riprendersi drammaticamente la scena ma solo per brevi, anche se tragici, momenti. Il pallino è ormai in mano a altri. E ci resterà a lungo.

Lo stesso giornale da cui abbiamo tratto i due articoli pubblicati ne pubblica anche un terzo dal titolo 
"Estrema destra o Jihad islamica, il cuore di tenebra della Norvegia". La polizia norvegese ha impiegato poche ore per capire che il cuore di tenebra era, anche fisicamente un tipico rappresentante della razza "ariana", alto, bello, biondo e con gli occhi azzurri iscritto a un movimento di estrema destra e autoproclamantesi difensore delle radici cristiane dell'Europa e nemico dell'Islam. Molti giornali italiani ci hanno messo più tempo per pubblicare notizie sulle certezze della polizia norvegese, anche perché è difficile che un "fondamentalista islamista" sia biondo con gli occhi azzurri.
Non va invece dimenticato che numerosi gruppi e gruppuscoli di estrema destra norvegesi e non, neo nazisti e non, amano richiamarsi alla mitologia vichinga, che fanno cerimonie in onore del Dio Odino o del Dio Thor (ce ne sono anche in Italia). Non va neppure dimenticato che la Norvegia, fra tutti i paesi occupati militarmente dagli eserciti nazisti (oltre alla Norvegia c'è anche la Danimarca, la Polonia, l'Olanda) è stato il solo che ha potuto contare su una base "indigena" che ha espresso un governo fantoccio presieduto dal signor Quisling che si è adattato a fare il primo ministro di un governo filo nazista norvegese, il cui nome è per altro diventato sinonimo di "traditore". E' evidente che qualche emulo di Quisling ancora circola tra i fiordi. Siamo certi che i norvegesi, profondamente democratici e colti, lo spazzeranno via senza bisogno dell'aiuto di qualcuno.