Con una punta di simpatica ironia Lucio Caracciolo, nel suo articolo di presentazione all'ultimo numero di "Limes", osserva che poiché essendo nei paesi arabi le primavere molto brevi, le opinioni pubbliche europee sembrano repentinamente passate dall'esaltazione lirica delle rivoluzioni alla stagione autunnale dominata dalla depressione economica, dall'emergenza sociale e dall'insicurezza geopolitica che sembra investire lo spazio geografico che si affaccia sul Mediterraneo.
Probabilmente hanno contribuito a questo cambiamento d'umore i tornado e gli tsunami provocati nei paesi europei affacciati sul Mediterraneo dalle crisi finanziarie che hanno ridotto la Grecia a una condizione di permanente pre-fallimento, il Portogallo a qualcosa che gli somiglia, la Spagna all'imperversare di una disoccupazione soprattutto giovanile che supera il 30% e l'Italia che oltre all'instabilità politica, si è quasi rotta l'osso del collo a causa degli assalti della speculazione finanziaria (che ha approfittato del disastroso debito pubblico che grava come un macigno sulla nostra economia: e ci asteniamo dal formulare giudizi sulla qualità della classe politica perché se lo facessimo sarebbe come sparare sulla Croce Rossa).
Per quanto riguarda la sponda sud del Mediterraneo credo si possa dire che l'eccessiva enfatizzazione è stata provocata dal carattere improvviso dei sommovimenti avvenuti, che hanno interessato praticamente l'intera fascia che va dal Marocco ai confini dell'Iran. Lasciamo fuori dall'analisi riassuntiva che vogliamo fare del quadro il Pakistan e l'Afghanistan, la cui crisi dura ormai da 40 anni, ne accenna a risolversi e anzi sembra presentare sintomi gravi di aggravamento:
I - Il 22 Giugno il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, ha pronunciato il più importante discorso della sua presidenza: poca retorica e un fermo proposito..."America, è tempo di concentrarsi sulla ricostruzione della nazione in casa nostra". Di qui la decisione di ritirarsi dall'Afghanistan entro il 2014 e dall'Iraq entro l'anno. E' sotto inteso che il Pakistan deve arrangiarsi con i propri mezzi a risolvere lo stato permanente di crisi sociale che l'attanaglia. Il discorso di Obama, comunque, rappresenta la presa d'atto di un paese indebitato fino al collo che non può sperperare 1000 miliardi di dollari in dieci anni di illusoria "guerra al terrore" per ridursi "a fumare il calumet della pace con il mullah Omar" dato per morto più di una decina di volte. Anche rispetto alla Libia Obama ha affermato che l'America può limitarsi "ad aggregare l'azione internazionale" senza schierare un solo soldato. in altri termini la NATO deve coprire la ritirata americana, sopportandone costi e rischi, ma senza metter bocca nelle scelte di Washington. C'è solo da sperare che con questi propositi non si dia corso a una strana politica in cui si decide di ritirarsi dal globo sperando di dominarlo.
II - Rimossi i dittatori tunisino ed egiziano, le aspirazione alla libertà e alla democrazia sono rese incerte dalle reazioni dei poteri tradizionali, militari in testa: anche se, per la verità a parte qualche manifestazione che periodicamente riempie Piazza Tahir al Cairo, i due paesi sembrano disporre dei requisiti per costruire due compagini statali finalmente avviate sulla strada di una modernità vera e propria: che, se lo levino dalla testa gli islamofobi di tutto il mondo, non potrà che tener conto delle strade attraverso le quali nella civiltà araba si costruiscono le strutture del potere: la Umma coranica, l'importanza delle strutture tribali, la rete tutt'ora robusta delle fedeltà genealogiche. Pensare che dei paesi islamici diventeranno democratici cessando di essere musulmani è una grossa scemenza.
III - La serie di rivoluzioni e controrivoluzioni che coinvolge il medio oriente, dalla Siria allo Yemen passando per il Bahrin sembra profilarsi come l'espansione di instabilità prodotta dall'esaurirsi della Guerra Fredda, anche perché la superpotenza residua non può non concentrare le sue risorse nel golfo a scapito dell'Europa e del Mediterraneo. Si tenga conto che le sabbie mobili che stanno inghiottendo la Siria e lo Yemen potrebbero presto minacciare la monarchia saudita e cioè il serbatoio energetico mondiale. E allora sarebbe inverno gelido per tutti. Fortunatamente a stabilizzare l'area della Mezzaluna Fertile concorre finalmente la sempre crescente forza della Turchia, in grado di concorrere in questo campo con tre soggetti di sicura solidità, Germania, Russia e Cina.
IV - La guerra di Libia si presenta sempre più come qualcosa che ha poco da dividere con gli eventi tunisini egiziani e medio orientali. Essa sembra piuttosto l'esplosione di una guerra secessionista che somiglia molto a quella che ha finito col portare alla creazione dei due stati in Sudan e al caos che da decenni regna in Somalia. Uno scontro all'ultimo sangue tra Tripolitania e Cirenaica può aver avuto come punto di partenza il carattere tirannico del colonnello Gheddafi, ma le sue radici sono molto più antiche e molto più profonde. Ad aggravare il conflitto, comunque, ha contribuito non poco l'ansia di Sarkozy di recuperare un pò della faccia perduta con le figuracce fatte davanti agli eventi tunisini ed egiziani.
Nel nord del mondo quasi tutti i capi di stato e di governo tifano in segreto per i "controrivoluzionari arabi" al cui vertici stanno i reali sauditi, da cui hanno preso saggiamente le distanze gli altri re esistenti nel mondo arabo quello di Giordania e, soprattutto, quello del Marocco. E tuttavia sarebbe bene che i governanti dell'occidente tengano presente che ricacciare il genio delle rivoluzioni e dei sommovimenti in una immaginaria "lampada di Aladino" non è possibile. Nei territori investiti dal vento di rivolta si è aperta una finestra di opportunità i cui esiti non sono scritti; e si tenga conto che in questione non c'è solo il carattere che assumeranno i regimi del medio oriente e del golfo, ma i nuovi rapporti di forza tra i protagonisti della grande area: Arabia Saudita, Israele, Turchia, Iran e sicuramente, il Pakistan.
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