mercoledì 6 luglio 2011

I NODI DI SREBRENICA VENGONO AL PETTINE

A Srebrenica per chi non lo ricordasse, vennero massacrati 8852 bosniaci di religione musulmana, 3 volte le vittime dell'11 Settembre. Autori del massacro furono i servo bosniaci personalmente guidati dal generale Ratko Mladic: in un clima festoso assistettero all'eccidio i caschi blu olandesi che si erano assunti il compito di difendere gli sterminati. Ora il tema torna di attualità, e alla luce di esso possiamo meglio giudicare le insulse e criminali scemenze del leader del terzo partito olandese (24% alle ultime elezioni).

La Repubblica, 06/07/2011


Srebrenica, l'Olanda condannata
"Consegnò musulmani alla morte"

Un tribunale francese ha dato ragione alle vittime del massacro e ha condannato L'Aja per aver consentito la morte di almeno tre musulmani consegnandoli alle milizie di Ratko Mladic. La sentenza a sedici anni dalla strage: "I militari olandesi sapevano"


L'AJA - Una tribunale olandese ha dato ragione alle vittime del massacro di Srebrenica e ha condannato l'Aja per aver permesso la morte di almeno tre musulmani consegnandoli alle milizie di Ratko Mladic 1. Giunta sedici anni dopo la strage, la sentenza di una corte d'appello, dal contenuto assolutamente inaspettato, ha affermato che i militari olandesi che avrebbero dovuto garantire la sicurezza dell'enclave sapevano cosa sarebbe accaduto ai musulmani consegnati a Mladic, perché avevano già visto la barbarie di cui era capace il generale serbo-bosniaco.
Il tribunale ha accolto la richiesta di risarcimento presentata dai familiari dell'elettricista Rizo Mustafic, che assisteva il contingente olandese e perse la vita nella carneficina, e quella dell'ex interprete dei caschi blu, Hasan Nuhanovic, che nella mattanza vide uccisi il padre e il fratello. "I caschi blu olandesi dell'Onu non avrebbero dovuto consegnarli alle truppe serbo bosniache", ha spiegato un portavoce della Corte.
Nel 2008 i giudici negarono ogni responsabilità del governo olandese dell'epoca nella vicenda, adducendo a motivazione che il battaglione olandese non aveva il supporto dell'aviazione e non era armato. Sei anni prima un rapporto ufficiale aveva costretto il governo alle dimissioni: vi si affermava che l'esecutivo dell'epoca e le stesse Nazioni Unite avevano organizzato una missione impossibile, con soldati mal 
equipaggiati e impreparati. La nuova sentenza, che stabilisce come il governo avesse il "pieno controllo" delle proprie truppe, diventa un importante precedente, vista anche la battaglia legale già avviata davanti alla Corte Suprema olandese dalle cosidette Madri di Srebrenica, ovvero le mogli e le madri degli 8.000 musulmani morti nel massacro. I caschi blu avevano il compito di garantire la sicurezza dell'area, istituita come zona protetta su mandato dell'Onu. Nel luglio del 1995 l'esercito serbo-bosniaco guidato da Mladic, ora alla sbarra al Tribunale per l'ex Jugoslavia dell'Aja, entrò nell'enclave musulmana senza incontrare alcuna resistenza. Migliaia di musulmani , da 4.000 a 5.000, furono accolti nella base olandese. Atri, dai 15.000 ai 20.000, rimasero fuori. Due giorni più tardi gli olandesi cominciarono a cacciare via i rifugiati dalla base, ubbidendo a un ordine dei serbo bosniaci.

"Il battaglione" - afferma la sentenza, che riprende il contenuto di un rapporto ufficiale che costrinse il governo in carica nel 2002 a dimettersi - "è stato testimone di diversi episodi in cui i bosniaci musulmani erano stati torturati o uccisi fuori dalla base. Gli olandesi sapevano che quegli uomini avrebbero corso un grande rischio lasciando la base", Così, accadde che Rizo Mustafic, appena lasciato il compound, fu separato dalla moglie e portato via dai serbo-bosniaci. Di lui non si seppe più nulla. Ad Hasan Nuhanovic, invece, fu permesso di restare nella base, ma vide partire i suoi familiari: "Sapevo, sapevano tutti", ha spiegato in dibattimento, "che equivaleva a una condanna a morte".


Corriere della Sera, 06/07/2011, Luigi Offeddu 

Olanda condannata per Srebrenica
I caschi blu complici del massacro


BRUXELLES - «Ce ne torniamo a casa», cantano. Nei filmati girati allora, a Srebrenica, in Bosnia, i soldati olandesi in calzoncini corti ballano e tracannano birra mentre i serbi applaudono divertiti. E un biondino accetta regali di addio dal generale Ratko Mladic, quello poi processato all'Aja. Il biondino è il colonnello Thom Karremans, comandante del Dutchbat III, il battaglione olandese che nel 1995 le Nazioni Unite avevano inviato a Srebrenica per proteggere la popolazione civile dall'assalto serbo: i caschi blu olandesi andarono, poi si ritirarono; nei tre giorni seguenti morirono in ottomila, quasi tutti i maschi musulmani della città. E per la prima volta ora, dopo 16 anni, lo Stato olandese riconosce che per almeno tre di quelle vittime la colpa fu dei suoi soldati, di ciò che non fecero o non fecero abbastanza. Le famiglie di Rizo Mustavic, di Mohamed Nuhanovic e del padre, avevano fatto causa, e nel 2008 il tribunale di prima istanza aveva escluso ogni responsabilità del governo.
Ieri, però, una Corte d'appello di Amsterdam ha accolto le richieste di risarcimento. Non è stata precisata alcuna somma, e qui si parla di tre morti su ottomila, ma è il principio che conta. Perché quegli uomini lavoravano per il contingente olandese o a questo si erano affidati: la loro sicurezza - come quella dei loro concittadini - era garantita dalla prima safe area, «zona sicura», istituita in Europa dalle Nazioni Unite. Invece proprio lì, nella safe area, l'Europa conobbe il primo massacro di massa dai tempi della Seconda Guerra Mondiale: i serbi entrarono a Srebrenica senza quasi incontrare resistenza, i caschi blu si giustificarono poi dicendo che il mandato Onu non permetteva un loro intervento armato, e che avevano chiesto più volte l'intervento dell'aviazione. Ma resta il fatto che il loro ritiro, prezzo pagato per non finire loro sotto il fuoco serbo, precedette di poche ore la carneficina dei civili, dall'11 al 14 luglio 1995. I tre uomini di cui si è parlato erano arrivati con le loro famiglie ai cancelli del battaglione, chiedendo protezione come altri 4-5 mila: ma furono consapevolmente lasciati nelle mani dei loro boia, cacciati dall'area protetta. E il verdetto non lascia dubbi sulla responsabilità dei caschi blu: «Il battaglione Dutchbat era stato testimone di svariati incidenti in cui i serbi avevano maltrattato o ucciso profughi maschi all'esterno degli acquartieramenti. Gli olandesi perciò sapevano... che quegli uomini sarebbero stati in grande pericolo se avessero lasciato gli stessi acquartieramenti».
È vero che il mandato dell'Onu poneva limiti all'intervento militare, spiega ancora il tribunale, ma dopo la caduta di Srebrenica la situazione in quell'area era «fuori dell'ordinario»: e il battaglione olandese era già pesantemente coinvolto, perciò ormai responsabile di quanto accadeva intorno. Rizo Mustavic era un elettricista. Invece Mohamed Nuhanovic, un ragazzo sui 17 anni, era il fratello di Hasan, l'interprete del battaglione che ne ha raccontato la storia e che cercò di salvarlo, inserendo il suo nome nelle «liste della salvezza» prima del ritiro degli olandesi, attribuendogli la qualifica di inserviente delle pulizie, mimetizzandolo fra i dipendenti bosniaci che il Dutchbat chiedeva di portare con sé. Nulla, servì. Secondo il racconto di Hasan, l'ufficiale olandese incaricato di controllare le liste indicò il nome di Mohamed: «E questo chi è?». «Quello delle pulizie», rispose l'altro. Ma l'ufficiale non gli credette e - sempre secondo il racconto di Hasan - cancellò quel nome con un pennarello rosa. Il corpo del ragazzo è stato ritrovato poco tempo fa, in una fossa comune, ed è fra quei 700 che verranno risepolti a Srebrenica lunedì prossimo, nell'anniversario del massacro. Un'altra causa contro lo Stato olandese è in corso davanti alla Corte suprema: l'ha intentata l'associazione «Madri di Srebenica», con gli stessi principi affermati da Hasan e dagli altri davanti al tribunale di Amsterdam. Sedici anni dopo, c'è ancora chi non riesce a dimenticare quei balli e quei brindisi alla birra davanti al sorriso compiaciuto di Ratko Mladic.

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