lunedì 12 dicembre 2011

LE PRIMAVERE ARABE - CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE, II Parte

Nelle cronache dedicate dai giornali nostrani alle vicende riassuntivamente comprese sotto la locuzione "Primavere Arabe", un termine si è ripetuto e le ha percorse come un sottile brivido di paura: "Islam", "islamico", "islamismo" e simili.
Poiché sull'Islam corrono le più indecenti mistificazioni e falsificazioni, ci sembra necessario ritornare in maniera più approfondita sugli autentici contenuti del vero Islam. Per questo ricordiamo all'opera di quello che viene considerato il maggiore filosofo dell'Islam moderno con sede in Europa: ci riferiamo a Tarik Ramadan, professore di filosofia in Svizzera e in Germania, e nipote di Mohammed Al-Bannah, fondatore dei Fratelli Musulmani e impiccato dal re egiziano Faruk, lo squallido monarca servo degli inglesi e famoso soprattutto per essere un accanito bevitore di liquori di lusso e collezionista.

A - Il termine ISLAM richiama due significativi strettamente collegati tra loro:
I - Il primo è quello di "atto di sottomissione" e cioè il riconoscimento, attraverso la coscienza umana, di un essere al di là di tutti gli esseri, Creatore uno e Unico cui si riconosce la pre-esistenza su tutte le cose. Egli è Uno e non v'è nessun Dio al di fuori di Lui;
II - Il secondo significato è quello di "accesso alla pace": nella tradizione musulmana si ha l'idea di doversi proteggere e di mettere un limite a tutto ciò che potrebbe turbare l'accesso allo stato di pace interiore. L'uomo, nella sua dimensione essenziale e cioè come essere di cuore e di interiorità, riconoscendo Dio procura a se stesso la pace interiore: "As-Salam".

B - La religione o la religiosità dell'Islam non si identifica ne con un Profeta, ne con una regola dottrinaria. L'Islam si presenta come un atto di fede e come riconoscimento di una sottomissione cosciente all'Essere Supremo. Da ciò deriva l'idea che il riconoscimento dell'Unico libera da tutto ciò che è contingente e fortuito nella vita; riconoscere Dio significa liberarsi da ogni sottomissione rispetto a tutto ciò che egli ha creato: l'influenza degli esseri umani, i modelli, i conflitti personali, emozionali e materiali. L'Islam, in sintesi può definirsi uno stato di riconoscimento di Dio.
Nell'Europa dell'Illuminismo alcuni filosofi come Voltaire cominciarono a interessarsi all'Islam e parlarono di "maomettani". Questo termine è peraltro un grave errore perché fa riferimento per analogia al rapporto tra Cristianesimo e Cristo. Nell'Islam invece si fa appello ad un atto di riconoscimento del Creatore di tutti gli uomini e non ad un essere umano, anche se costui ci ha permesso di avvicinarci a Dio. Questa precisazione ci consente anche di fare delle puntualizzazioni su alcuni equivoci che sono solo fonte di confusione. Così, ad esempio nel linguaggio corrente si usa credere che Allah è il Dio dei musulmani, o degli arabi. In realtà Allah è la traduzione in arabo del termine "Dio, God, Dieu, Allah". La denominazione varia a seconda della lingua che si usa, ma quel che con le diverse parole si designa è l'Unico Dio, lo stesso per ogni tempo e per tutti i popoli. Egli è Colui che ha parlato a Mosè e ha creato Gesù così come ha creato Adamo e ha stabilito il ciclo dei Profeti. Questo Dio è Unico (Tawhid) e con il termine si designa l'esigente monoteismo islamico: ciò segna la fondamentale differenza tra Islam e tradizione cristiana che riconosce a Dio tre ipostasi o persone che fonderebbero il mistero della Trinità. Ma nella tradizione islamica il concetto di Trinità è assolutamente assente: la specificità di Dio sta nel fatto che nulla gli assomiglia. Nulla, a partire dalla nostra intelligenza, dalla nostra immaginazione perché neanche nel sogno potremmo essere capaci di rappresentarlo. Dio è il Sapiente, Colui che comprende tutto ciò che può essere compreso nella sua totalità al di là del nostro intelletto. Dio è Perfetto e Illimitato nella sua perfezione, e ciò lo rende inaccessibile alla nostra intelligenza che è limitata.
La tradizione islamica è molto esigente su questo punto; non si può dire di Dio se non ciò che Egli ha detto di se stesso. Quando Mosè formula la domanda: "Chi sei?", Dio risponde: "Io sono colui che è". L'essere nella dimensione assoluta non può essere compreso totalmente dall'intelligenza umana e ciò deve indurre il cuore e la mente ad un atteggiamento di umiltà in rapporto al Creatore.
Dopo il termine "Allah" il Corano mette in evidenza, in riferimento a Dio il termine "Ar-Rahman", il Misericordioso. Dio ci dà una qualifica che permette alla nostra limitata intelligenza di guidarci verso la comprensione della sua essenza senza per altro che questa possa essere colta lievemente. Se parliamo di Dio non possiamo parlare della sua generosità perché Egli è in realtà il Generoso.
Possiamo citare anche altri nomi di Dio più spesso ripetuti nella recitazione coranica: "Ar-Rahman" è seguito dal termine "Ar-Rahim". I due nomi hanno la stessa radice ma vi è una piccola sfumatura di significato: Egli è il Misericordioso riferendosi alla totalità della misericordia contenuta nel suo essere, ma è anche Colui che distribuisce queste misericordia al di là di ogni generosità immaginabile.
Dio si presenta all'uomo attraverso i suoi nomi per permettervi di avvicinarsi a Lui, senza che abbia la possibilità di raggiungerlo, ne l'orgoglio di definirlo o di guidarlo. Egli è il Creatore (Al-Khaliq), Colui che da forma a tutte le cose (Al-Musawwir), l'Eterno (Al-Baqi), altri nomi ricordano la sua saggezza (Al-Hakim), la sua bontà (Al-Latif), al suo amore (Al-Wadud).
Queste qualità orientano il nostro cuore e superano il nostro intelletto. Non abbiamo la possibilità di conoscere la perfezione; conosciamo solo la possibilità di camminare verso la perfezione senza mai raggiungerla pienamente.

C - La tradizione islamica, come quella ebraica e quella cristiana, da un significato religioso al lato della creazione dell'uomo: è Dio che ha creato Adamo ed Eva, il primo uomo e la prima donna, dai quali discende tutta l'umanità, ma mentre nell'Ebraismo e nel Cristianesimo viene spesso messa in discussione con l'atto della creazione, la religione islamica non la rifiuta, perché in molti testi si ritrova l'idea dell'evoluzione della specie. Questa è una teoria ammissibile purché non si metta in discussione una creazione specifica dell'essere umano, anche perché non esistono ancora risposte definitive sull'origine dell'uomo.
Ogni essere umano, nell'interiorità del suo essere e del suo cuore, possiede un soffio originario, che lo lega alla  trascendenza e alla ricerca di spiritualità. Secondo l'Islam un soffio anima il cuore di ogni essere, e lo spinge a cercare in modo spontaneo e naturale un'espressione di spiritualità: "Qualcosa che è al di là". Questo impulso naturale (Fitra), ovvero questo soffio, è un'aspirazione innata di cui Dio ha dotato l'essere umano, ed è un impulso che sentiamo in noi prima ancora che la nostra stessa coscienza ce ne parli. Questa dimensione è espressa con la luce, "An-Nur", un soffio essenziale che anima gli esseri umani: "Allah è la luce dei cieli e della terra. La sua luce è come quella di una nicchia in cui si trova una lampada, e la lampada è in un cristallo, e il cristallo è come un astro brillante il cui combustibile viene da un albero benedetto, un ulivo ne orientale ne occidentale, il cui olio sembra illuminare senza neppure essere toccato da fuoco. Luce su luce. Allah guida verso la sua luce chi vuole Lui e propone agli uomini metafore luminose perché Egli è Onnisciente".
Questa rivelazione vive in ciascuno di noi e si sviluppa man mano che se ne prende progressivamente coscienza. Dio, attraverso i suoi Angeli, invia una rivelazione che rinforza questo soffio interiore. In tal modo si incontrano due luci, quella del Messaggio rivelato, che incontra e risveglia quel soffio intimo. Abu Hamid Al-Ghazali ha avviato una profonda riflessione intorno ad un versetto coranico che evoca questo aspetto delle due luci complementari: "Nurun Ala Nur", "Luce su Luce".
La luce della profondità originaria incontra quella della coscienza e del cuore. Ognuno dovrebbe cercare di coltivare questo seme e lasciarlo poi sbocciare perché sia testimone della presenza di Dio. Nella visione musulmana la ragione conferma e continua ciò che la fede afferma; il processo è dunque visto al contrario: la fede è innata e la ragione l'arricchisce. Va quindi rovesciata la famosa formula di Pasqal secondo la quale "il cuore ha le sue ragioni che la ragione ignora"; nell'ordine spirituale dell'Islam la formula va espressa dicendo: "Il cuore ha le sue ragioni che la ragione riconoscerà e rafforzerà".
Il soffio precede la ragione e quest'ultima riconosce ciò che esiste nel cuore attraverso una presa di coscienza che matura con i mezzi che Dio ci ha dato per giungere alla sua conoscenza.

Prima del concetto di conoscenza c'è quello di riconoscimento e cioè la consapevolezza che siamo suoi, prima ancora di rendercene conto. Attraverso questa concezione si evidenzia quanto possa essere profondo il concetto di mondo e di ordine naturale stabilito.
Il dibattito sull'Islam appare molto superficiale rispetto a questa formulazioni. Nell'Islam la visione dell'essere originario è estremamente positiva ed ottimista, e l'idea di peccato originale non esiste. Prima che si sviluppi il senso di responsabilità tutto si vive nell'innocenza. Ogni bambino è musulmano (muslim) perché porta nel suo essere in modo naturale il riconoscimento di Dio; ma sono musulmane tutte le altre creature. Un uccello che vola e che batte le ali è musulmano perché sottomesso all'ordine naturale cui egli stesso partecipa. L'albero che cresce, il seme che si spezza per far sbocciare la pianta sono musulmani perché manifestano l'ordine della creazione di Dio, al quale sono sottomessi. Contrariamente a tutto il resto del Creato, l'uomo deve fare uno sforzo che lo rende unico: quello di camminare dall'innocenza verso la responsabilità, e in questo percorso egli si distingue dalle altre creature per la sua libertà.
L'accettazione della presenza di Dio da parte della coscienza dell'uomo è come il volare per gli uccelli, ma l'uomo dovrà sviluppare questa ispirazione attraverso un cammino che lo porterà dall'innocenza alla coscienza.
La tradizione islamica offre diversi punti su cui è necessario riflettere: fino all'età della responsabilità nessuno può essere definito peccatore; il concetto di peccato originale presente nella tradizione giudaico-cristiana, è assente in quella islamica; nell'Islam nessuno può pagare per ciò che non ha commesso e nessuno deve sopportare il peso degli errori altrui.
Nel Corano il racconto di Adamo ed Eva (sura II) presenta due aspetti che è necessario sottolineare. Il primo è che fu Adamo a commettere il peccato e non Eva, e ciò assolve Eva da ogni colpa, anche perché Dio perdonò entrambi del loro errore. Il secondo è che ognuno è responsabile unico e diretto delle sue azioni e non deve rispondere dell'altro e quindi i figli di Adamo ed Eva non portano il peccato dei loro progenitori. Da tutto ciò deriva una visione dell'uomo profondamente ottimista, perché si basa sul principio dell'innocenza originaria. Nella vita l'uomo passa da una fase di innocenza che fa di lui un musulmano per natura, ad una fase di responsabilità che lo rende musulmano per coscienza in base alla testimonianza di fede: "Non c'è Dio al di fuori di Allah e Muhammad è il Messaggero di Allah".

L'uomo attesta in piena coscienza esercitando la libertà di scelta che lo caratterizza. E' attraverso questo cammino che passa dall'ordine originario del cuore che ci spinge verso Dio, all'ordine della coscienza, confermata dalla ragione. Con la Shahada il musulmano testimonia che Dio è Uno e che non vi è altro Dio al di fuori di Lui. In tal modo si passa dall'innocenza alla responsabilità, dall'impulso del cuore alla conferma della ragione, perché la fede può essere completa solo se è confermata da una ragione attiva e ragionante. Nell'Islam non vi è contraddizione tra cuore e ragione, tra liberazione e intelligenza: l'uomo ha bisogno della fede come soffio e della ragione come radicamento, e vi è bisogno di entrambe le dimensioni per trovare l'equilibrio del proprio essere.
La tradizione musulmana evoca la fede come un soffio che precede una ragione che rinforza e conferma la certezza intima che ha nel profondo del cuore umano. Esiste una formula coranica che ritorna in modo sistematico sul tema delle responsabilità dell'uomo, tra l'innocenza che diventa responsabilità e la ragione che conferma l'ispirazione fondamentale: "Nessuno porterà il peso di un altro" (Cor XVII, 17).
Ci si deve a questo punto interrogare sulla reale autonomia dell'individuo presso le comunità musulmane, tenendo presente il grande radicato peso della "Umma". I musulmani debbono vivere in una dimensione collettiva ma con una coscienza spirituale ben sviluppata. La comunità permette di alleggerire il peso dell'individualità in modo costante; essa è lo spazio propizio per la dignità degli individui, ma mai per l'individualismo. Questa concezione della Umma permette lo sbocciare della propria individualità senza mai cadere negli eccessi dell'egocentrismo.

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