venerdì 13 gennaio 2012

AFGHANISTAN

L´oltraggio finale dei soldati Usa ai Taliban uccisi

WASHINGTON - Eccoli "the Few, the Proud, the Marines", "i pochi, gli orgogliosi, i marines", come vuole il loro spot per il reclutamento, che urinano sui cadaveri di tre afgani, forse tre Taliban, appena uccisi. «E una buona giornata anche a te, buddy, amico», ride uno di loro irrorando un caduto. Nello sconfinato catalogo degli orrori che ogni guerra produce senza distinzione di epoca, razza, religione, motivi, uniforme, e al quale gli strateghi da editoriale e da tavolino mai pensano al momento di far partire gli altri per il fronte, questa sequenza variamente definita come «abominevole», «ripugnante», «assolutamente intollerabile» dal ministro della Difesa Leon Panetta è invece un sottoprodotto inevitabile di quella oscenità legalizzata che consiste nello scegliere fra uccidere o essere uccisi. «La profanazione dei cadaveri dei caduti è una violazione della Convenzione di Ginevra» ha detto il generale John Allen, comandante del teatro di guerra afgano, come se quel nobile e patetico documento, sempre citato e sempre ignorato, potesse regolare cavallerescamente le guerre mai dichiarate e asimmetriche fra bande di guerriglieri e truppe regolari, consumate nell´odio razziale e religioso reciproco.
In Afghanistan, come fino a ieri in Iraq o mezzo secolo fa nel Sud Est asiatico, è "the horror", la sola legge che domina su campi di battaglia nei quali il nemico è un demonio da bruciare vivo con il napalm o il fosforo. Un infedele, un comunista, un tagliagole, un imperialista da impalare sulle canne acuminate di bambù, da bombardare con aerei robot senza rischio per piloti con il telecomando, da far saltare in aria anche - e soprattutto - mentre porta medicinali e soccorsi ai villaggi. I marines americani che si sono autofilmati mentre sfogavano il proprio odio, ed esorcizzavano la propria paura, sui cadaveri di tre possibili Taliban, sono l´equivalente, mentre si macchiano di quella vergogna, dei "jihadisti" che a Falluja in Iraq il 4 marzo del 2004 arsero vivi dentro un´automobile quattro civili americani, contractors ausiliari delle forze armate regolari, poi ne trascinarono sull´asfalto i resti carbonizzati prima di appenderli ai pali della luce. E la tradizione di tagliare la testa al nemico ucciso per innalzarla su una picca, o di esibirne lo scalpo, come facevano i cacciatori di indiani americani per incassare la taglia e poi gli indiani entusiasticamente copiarono, non è nata in queste scellerate e fallimentari guerre "preventive" per "cambiare regime".
Ciò che rende specialmente demenziale il gesto oscenamente goliardico dei ragazzi americani con l´uniforme dei tiratori scelti marines - l´unità responsabile degli oltraggi sarebbe stata già identificata - è il disastro propagandistico che esso produce. Guerre come quelle combattute in Vietnam, in Iraq, in Afghanistan non hanno obbiettivi di conquista territoriale né di occupazione coloniale. Proprio i Taliban sanno talmente bene chi stia davvero vincendo la guerra in Afghanistan dopo 10 anni da avere, attraverso il loro portavoce Zabihullah Mujahid, minimizzato lo scandalo, per non deragliare negoziati che porteranno a quello che loro vogliono: all´uscita della Nato dal Paese, che tornerà in mano loro. Il territorio da conquistare sono "i cuori e le menti" della gente e questa clip, già vista milioni di volte come le foto dal carcere orribile di Abu Ghraib, è una Caporetto della propaganda, una grande battaglia perduta e irrecuperabili anche se, e quando, i marines saranno radiati e condannati.
Perché sulle "dottrine" e le "teorie" arrivano sempre gli uomini a farci sopra la pipì. Arrivano i soldati che rischiano la propria vita e sono esseri umani spinti oltre i tabù e i comandamenti e le leggi che la vita civile loro impone. Soltanto chi ha vissuto in prima persona l´odio e la paura verso un nemico ombra, chi ha accompagnato l´agonia del commilitone sbudellato da un ordigno piazzato a tradimento, può capire, senza giustificare, quell´orrendo gioco da maschiacci che, come i bambini, fanno a chi la fa più lontano. Specialmente quando il veleno della incompatibile diversità culturale ed etnica si aggiunge alla dinamica di ogni guerra, casi come questo dei marines diventano inevitabili e molto più frequenti di quanto, occasionalmente, una clip video scivoli nel mare di Internet. Dei cuori e delle menti da convertire, a quei marines con le insegne dei cecchini scelti non potrebbe importare di meno. Ogni soldato, dicono tutte le memorie dal fronte, combatte per il proprio "buddy", per l´amico e il commilitone, non per Dio, Bush, Obama, Patria, Famiglia o Libertà. E infatti proprio "buddy" è, con terribile sarcasmo, l´espressione usata da un marine mentre urina.
Scrivono veterani e reduci ai giornali, come il New York Times ieri, che episodi come questi sono molto più diffusi di quanto il solito ritornello della "mele marce" e delle "esemplari punizioni dopo l´inchiesta" ammettano. Già sul fronte del Pacifico, nella guerra contro i "musi gialli" giapponesi, il comandante supremo Chester Nimitz dovette ordinare ai soldati di non decapitare i morti per portarsi a casa i teschi come souvenir, mentre i "giap" si coprivano di infamie contro i prigionieri americani (protetti dalla Convenzione di Ginevra). Soltanto occasionalmente, per il rimorso di un protagonista, o per le foto che filtrano da carceri come Abu Ghraib a Bagdad, affiorano. Si scopre così che, nel 2010, un gruppo di GI, di soldati dell´Esercito si divertiva a sparare a uccidere civili afgani per sport. Ed è ben noto, già dal caso del villaggio di My Lai in Vietnam e del tenente Calley che fece uccidere 347 persone, che la distinzione fra "civili" e "combattenti" è spesso soltanto fiction per i rapporti ufficiali. «Questi Taliban uccisi - ha scritto un altro reduce al New York Times - erano sicuramente assassini e di bambine» e dunque «si meritano soltanto disprezzo ed escrementi addosso». The Horror, appunto. L´orrore subito e inflitto a bersagli di comodo, a puri simboli disumanizzati, che siano morti come i tre Taliban o vivi come i 2.833 sacrificati nelle Torri Gemelle sull´altare della Guerra santa.

Vittorio Zucconi


L'autore dell'articolo vive da molti anni negli Stati Uniti d'America ed è un profondo e appassionato conoscitore della loro storia. Egli, inoltre, è uno spirito romantico non  privo di un naturale realismo: ciò fa di lui un cronista che difficilmente tradisce i profondi ideali  che ne animano l'attività; e questo spiega perché, come me, è un grande appassionato e tifoso degli Indiani d'America. Questo singolare tratto del suo scrivere lo porta a schierarsi sistematicamente dalla parte di coloro che sono oggettivamente "i più deboli" dal punto di vista militare, ma che hanno dalla loro parte le cause più profonde della libertà e della giustizia. Per questo Vittorio descrive in maniera esemplare le cosiddette "guerre asimmetriche", e cioè le guerre nelle quali la parte più potente, normalmente una potenza imperiale, si trova a combattere contro un nemico infinitamente meno dotato dal punto di vista degli armamenti e della consistenza numerica ed economica.
Quasi tutte le guerre coloniali sono state guerre asimmetriche: per tutto il XIX secolo esse sono state quasi sempre vinte dalla potenza maggiore che ha usato ogni mezzo per venirne a capo, praticando torture, deportazioni, decimazioni, rappresaglie, fino ad arrivare allo sterminio e al genocidio dell'avversario. Quest'ultimo ha potuto contrapporre strumenti che ripugnano al cosiddetto senso dell'onore degli avversari civilizzati, ammantato di grandi ideali, spacciatore delle nobili cause della civiltà e della libertà, ma in realtà
 ipocritamente legato ai più bassi interessi economici e di conquista, con i quali ammantare la ferocia dei mezzi bellici usati contro un nemico tecnologicamente arretrato e definito con termini dispregiativi come "selvaggio", "barbaro", "crudele", "disumano" ecc.ecc.
Nel XX secolo a misura che diminuiva la capacità conquistatrice delle potenze imperiali, i cosiddetti "esseri inferiori" hanno cominciato a vincere. Così è stato nella guerra d'Algeria o in quella del Vietnam e in numerose altre guerre di guerriglia che hanno disseminato la storia degli ultimi decenni. Durante la Seconda Guerra Mondiale, del resto, la parte apparentemente più debole militarmente ha ricevuto una ineguagliabile lezione dalla guerra partigiana che è stata una delle fondamentali cause di vittoria contro le potenze nazi-fasciste.
Gli americani sono diventati la potenza mondiale che conosciamo perché, con la sola eccezione della guerra civile combattuta per 5 anni tra nordisti e sudisti, hanno sempre avuto a che fare con guerre asimmetriche, dove gli avversari destinati per la loro debolezza numerica, per la loro scarsità di forze e a causa di malattie infettive contro le quali non avevano nessuna difesa naturale e nessuna efficace cura medica, a subire un quasi totale sterminio. In conseguenza di ciò la cosiddetta epopea del West è stata una squallida operazione di polizia nella quale i cosiddetti vincitori si sono macchiati dei peggiori delitti e hanno dovuto dispiegare un'arma terribile che non concede tregua: l'Odio Razzista e Genocida di quelli che sono diventati i vincitori. Ad essa i "selvaggi" non hanno potuto opporre che il loro disperato valore, la loro grandezza d'animo e, come scrive uno storico americano, la loro nuda e quasi indifesa umanità. E' tuttavia sul modello delle "guerre indiane" 
(una specie di inferno) che gli Stati Uniti hanno forgiato i loro costumi militari e il loro modo di combattere, fatto di spietati massacri, di non combattenti e di manifestazioni di odio ignobili come quello di cui l'ultima "impresa" di sfregio ai cadaveri dei nemici uccisi è stato una sorta di esempio ineguagliabile. Forse gli americani non lo sanno, ma quando un esercito ultra-armato, ben vestito e ben nutrito è costretto a usare l'odio pieno di disprezzo contro un nemico che ha come unico torto quello di combattere in casa propria, esso è destinato ad una inevitabile sconfitta. Così è stato per i francesi in Algeria, per francesi e americani in Vietnam e per gli americani in Iraq ed ora in Afghanistan. Per fornire un saggio di quale sia lo spirito di quelli che sembrano essere i più forti vogliamo ricordare le parole che furono pronunciate da un colonnello della cavalleria americana, John Chivington alla vigilia di uno dei più efferati massacri compiuti nella storia del West, il massacro di Sand Creek, consumato nel 1864 dal corpo dei volontari del Colorado: "Non fate prigionieri, uccidete tutti comprese le donne e i bambini, perché per distruggere i pidocchi bisogna schiacciare anche le uova". La cavalleria si distinse per aver mutilato in tutti i modi gli uomini e i bambini e per aver scotennato donne di ogni età in tutte le parti del corpo in cui era possibile scotennare. Per completezza di informazione vogliamo invece citare un saggio dei metodi di resistenza che vennero opposti ai "civilizzatori" da uno dei più grandi leader della resistenza (Osheala) che una tribù indiana, i Seminole della Florida, oppose per quasi dieci anni contro forze armate americane venti volte superiori:
"Dove i bianchi sono forti noi siamo deboli. Ma dove noi siamo forti essi sono deboli; ed è li che dobbiamo colpirli. La natura, l'acqua, le paludi, i venti, il fuoco, il veleno delle piante e dei serpenti sono i nostri alleati. Noi mostreremo loro cosa significhi avere la natura come nemico mortale. Gli uccideremo, ed essi con gli occhi sbarrati non vedranno un solo Seminole ucciderli. L'esercito americano è goffo come un procione ben pasciuto. Esso si muove lentamente. Noi saremo rapidi come il lupo e come i cerchi dell'acqua in cui è stata gettata una pietra. Gli attireremo nelle paludi, dove le frecce non trovano ostacoli, ne umidità nell'aria e dove la polvere da sparo diventa inservibile. Distruggeremo le loro scorte e gli spingeremo in bocca agli alligatori, quando si aspetteranno di vedere Seminole. Avranno paura di ogni cespuglio, di ogni ramo, di ogni zolla di terra. Ovunque troveranno trappole mortali. Gli tratteremo come bestie feroci e sanguinarie. Non potranno mai dormire ne essere del tutto svegli. La paura li divorerà lentamente, finché essi non avranno che un pensiero: "Via dalla Florida". L'audacia è una virtù guerriera, ma in questo tipo di lotta essa sarebbe fatale per noi. Li attenderemo invisibili ovunque, negli alberi e nell'acqua, come gli alligatori. Persino quando sentiranno respirare accanto a sé un compagno, non dovranno mai essere sicuri che non sia un Seminole. Le donne e i bambini lavoreranno per la guerra e i loro occhi saranno ovunque. Arriveranno ad usare i cani, ma noi sappiamo come trattarli dai combattimenti con i mercanti di schiavi. Fratelli, noi dobbiamo dimenticare la guerra gloriosa e temeraria e imparare quella insidiosa, vile e mortifera. I bianchi diventeranno rossi per il loro sangue versato, ma noi li faremo annerire al sole e alla pioggia. Se i loro prigionieri chiederanno pietà, noi gli uccideremo come animali nocivi".
I Seminole sono la sola tribù del Nord America che è rimasta nelle sue paludi della Florida e non ha mai firmato un trattato di pace con gli americani. Si calcola che della loro tribù sopravvissero poco più di mille persone da oltre 3000 che erano dall'inizio della guerra. Gli americani ebbero oltre 3000 morti tra i militari, più un numero non preciso di civili. 
Il governo degli Stati Uniti costituì il corpo dei Marine per combattere contro i Seminole. 

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