domenica 15 gennaio 2012

IL SENSO DELLA VITA NELL'ISLAM

Riprendiamo la pubblicazione del saggio di Tariq Ramadan "A proposito dell'Islam" dal punto in cui l'avevamo interrotta per soffermarci sui tragici fatti di Firenze.
"Bisogna ora porsi la domanda di dove si collochi la sfida della vita per l'essere umano per cercare di scoprire quale sia il senso della sua prova: Dio ha creato la morte e la vita per mettere alla prova chi di voi meglio opera" (Cor. LXVII, 2).
Nel cuore di ogni essere umano coesistono sia il soffio originale sia l'amore per il bene ("Allah vi ha fatto amare la fede e l'ha resa bella ai vostri occhi", sura XLIX, 7).
Tutti gli esseri, nella dimensione della fede, e nella pace della loro interiorità col Creatore sentono questo soffio e in esso trovano il benessere spirituale. In ogni essere umano, quando dice la verità si stabilisce uno stato di pace interiore che egli avverte come una profonda serenità. Dio ha fatto si che gli esseri umani amino questo sentimento di armonia con se stessi che scaturisce quando si vive nella trasparenza del cuore, dell'anima e delle azioni. Dio ha infuso nell'uomo l'amore e la ricerca di questo stato.
Il peccato è un turbamento ed un ostacolo a questa pace. In un hadith è riportato che un uomo che andò dal Profeta per interrogarlo sul peccato, il Profeta disse: "E' ciò che sta nel tuo cuore, che lo agita, e che tu non vorresti che gli altri conoscessero".
Ogni persona porta nel suo essere segreti più o meno confessabili, cose di cui non è fiero e che vorrebbe nascondere, cose che lo agitano e lo mettono a disagio anche con se stesso, perché egli sa che ciò che ha fatto non è in armonia con la profondità del suo essere e che così agendo è entrato in contraddizione con la sua "Fitra"  che è la sua natura umana originaria: "Il cuore dell'uomo contiene il seme delle doti migliori e nello stesso tempo i loro opposti difetti".
L'uomo prende forma in questa ricerca innata dell'amore e della pace, ma nello stesso tempo è agitato dai conflitti e subisce inclinazioni e tentazioni negative. Questo non significa che l'uomo sia peccatore per natura, ma che deve intraprendere una lotta e fare uno sforzo su se stesso per non cedere al peccato. Nell'Islam l'essere umano non viene considerato né totalmente buono, né totalmente malvagio; egli può compiere il bene ma può compiere anche il male. Nel suo cuore convivono il seme delle qualità migliori e i difetti loro opposti. Ogni individuo deve saper gestire la propria interiorità cercando di trovare un equilibrio personale. Il Corano da un importante esempio di tale conflitto: "Non portare la mano al collo ma non distenderla neppure con troppa larghezza, perché ti ritroveresti biasimato e ridotto in povertà" (Cor. XVII, 29).
Bisogna quindi saper provare il giusto equilibrio nel gestire le doti che Dio ha profuso in noi badando a non trascurarci, restando generosi e sapendo far godere anche agli altri le nostre qualità e le nostre ricchezze.

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Spesso, quando ci sentiamo al centro del mondo, siamo portati ad avere tendenze egoistiche e l'ego può tendere ad occupare una posizione esclusiva. Quando l'ego si manifesta troppo, esso si traduce in orgoglio e, nella vanità espressa dalla cupidigia e dall'amore per il possesso, ma anche nella violenza. Non siamo non violenti per natura e ogni persona che sia a contatto con i bambini lo sa. Intorno al tema della non violenza oggi ci sono molte riflessioni che spesso ci portano a guardare ai bambini come se fossero anormali. Nella normalità dell'essere, invece, c'è una certa violenza innata ed è lavoro della coscienza controllarla per giungere al suo superamento.
La prova dell'uomo è quindi in questa battaglia tra l'amore per la trasparenza e l'attrazione verso le tentazioni negative come la violenza, la cupidigia e l'amore per il proprio io. La vanità e l'orgoglio negano Dio e si allontanano dal Creatore per lasciare posto esclusivamente all'ego. L'essere umano deve bilanciare continuamente i due stati del suo essere, il poeta francese Baudelaire ha scritto: "Restare in armonia con se stessi rispettando la Creazione e rispondere alle tentazioni che sconvolgono l'equilibrio del nostro essere".
Nella tradizione islamica, quando il Creatore ordinò agli angeli di prosternarsi davanti all'uomo per mostrare il proprio rispetto davanti al sapere e alla libertà che lo rendevano unico, tutti obbedirono tranne Iblis che si ribellò affermando: "Io sono migliore di lui". Se Dio ha chiesto agli Angeli di prosternarsi è stato per mettere in evidenza che l'uomo ha il potere di accedere alla conoscenza e ha la capacità di compiere delle scelte, mentre gli Angeli sono stati creati nell'obbedienza assoluta.
La dimensione della scelta è fondamentale nell'Islam perché permette all'uomo di elevarsi o viceversa di degradarsi fino a sprofondare sotto lo stato animale. L'uomo si trova tra queste due strade. Il Corano paragona coloro che mangiano in misura esagerata a esseri peggiori delle bestie: essi hanno dimenticato sia il significato del nutrirsi, sia il perché si nutrono, ma si ingozzano ignorando che il loro potrebbe essere un gesto di adorazione se fosse fatto nel rispetto e nel buon senso. Nell'Islam si afferma che dimenticare Dio è come dimenticare se stessi: "Non siate come coloro che dimenticano Allah e cui Dio fece dimenticare se stessi" (Cor. LIX, 19).
Quando ci si dimentica di Dio si finisce per vivere solo per se stessi e si finisce nella prigione del proprio ego. L'essere umano è sempre in bilico tra l'oblio e il ricordo perché ha una propensione naturale a dimenticarsi di Dio.
Il senso della nostra esistenza sta nel compiere uno sforzo continuo su noi stessi per passare da uno stato di negligenza allo stato di dignità del ricordo (Adh dhikr). Nell'Islam il ricordo ha una grande importanza: il ricordo di Dio esige costanza e necessità di un lavoro intenso di meditazione interiore, di educazione spirituale del proprio essere. Invece di mangiare nell'oblio, il musulmano si ricorderà di Dio cominciando a mangiare con l'invocazione del suo nome, e lo ringrazierà dopo ogni pasto. Ogni azione umana dovrebbe cominciare con le parole "Bismillah Ar Rahman Ar Rahim" (Nel nome di Dio, il Compassionevole e il Misericordioso), ricordando che ogni azione si svolge alla luce e sotto la protezione della trascendenza.

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Saper trovare un equilibrio tra ciò che dovrebbe essere e ciò che noi siamo è certamente la battaglia più difficile e lodevole dell'essere umano, ed è ciò che nella tradizione musulmana viene chiamato Jihad:
"Il Jihad è anzitutto lo sforzo spirituale che ci eleva a una maggiore umanità davanti a Dio". In lingua araba Jihad An-Nafs significa lo sforzo che ogni uomo deve compiere su se stesso per essere degno della sua umanità, lottando contro la propria violenza, la collera, la cupidigia e l'egoismo.
Le crociate erano considerate guerre sante sia dai crociati, sia dai musulmani. I musulmani, che erano stati aggrediti usavano il termine Jihad nel senso di sforzo a resistere contro le aggressioni e gli assedi; e in questo modo si è finito per tradurre la parola Jihad con guerra santa trasponendo il senso delle crociate come era nell'orizzonte cristiano. Se la parola Jihad può voler dire guerra di resistenza essa ha però un significato molto più importante e più ampio e rappresenta verbalmente il combattimento che si attua nel nostro essere tra il soffio che ci richiama a Dio e tutto ciò che vorrebbe farci dimenticare il Creatore.
Da questo concetto di sforzo si sviluppano due punti fondamentali:
I - Il primo è che non si può ignorare il concetto di rigore che esiste presso i musulmani. Il rigore del cuore e quello della coscienza sono due dimensioni fondamentali della vita quotidiana. Il richiamo al rigore si traduce in un profondo senso di responsabilità e in un impegno costante. Bisogna vivere nel mondo e nella società come attori e non come spettatori. Il musulmano è responsabile di un'etica da rispettare, di un messaggio da trasmettere: egli ha un dovere, una missione, un impegno attivo nella società in cui vive e deve saper farsi carico delle esigenze della sua comunità religiosa e, più in generale della comunità di tutti gli esseri umani;
II - Il secondo punto esige un cammino inverso, perché si tratta di consacrare il proprio essere alla vita interiore e all'autodisciplina. L'Islam, contrariamente ad alcune culture che non accettano una simile prospettiva, lo rivendica, come nella tradizione induista e buddhista o come nello yoga.
Nell'Islam questa disciplina si attua nella pratica della preghiera, nel Ramadan, nell'obbligo dell'elemosina (Zakat) e del pellegrinaggio.
Ognuno di questi pilastri della fede esige un controllo del proprio corpo, del proprio denaro e del proprio tempo, e prima ancora del proprio essere. Ciò che l'uomo fa del suo essere rivela il suo modo di essere davanti a Dio.

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