mercoledì 8 febbraio 2012

EGITTO

Egitto, tra gli ultrà della protesta "Ci stanno rubando la rivoluzione"

CAIRO - Brucia come una pira il Palazzo delle Tasse lungo la Mohamed Mahmoud, la strada che da Piazza Tahrir porta verso l´odiato Ministero dell´Interno, la "mano nera" del potere egiziano, prima con il raìs Hosni Mubarak e ora con la Giunta militare che gli è succeduta. Nemmeno durante la rivoluzione di gennaio la rabbia, l´odio, il risentimento, aveva portato la guerriglia così dentro la cittadella del potere egiziano. In fondo alla strada, illuminate dalle molotov che esplodono a terra, colonne di blindati con il motore acceso. Da dietro questi mezzi militari partono decine e decine di lacrimogeni, un gas semi-letale come dimostrano le tre persone morte per un blocco respiratorio, millecinquecento i feriti portati via braccia per essere trasportati negli ospedali della capitale. 
«Questa strada dovrebbe cambiare nome subito e chiamarsi via dei Martiri, solo a novembre qui sono morti quaranta ragazzi quando chiedevamo, allora come oggi, la stessa cosa: i generali se ne devono andare». Ashraf, tifoso dell´Al-Ahly con la bandiera appoggiata a mo´ di mantello sulle spalle e la maschera antigas "Made in China" sul viso, sta sull´angolo fra Piazza Tahrir e "Via dei martiri". Perché nel luogo simbolo della primavera egiziana, della contestazione prima contro il raìs e poi contro la Giunta guidata dal generale Tantawi, non ci sono più solo i tricolori con l´aquila di Saladino in mezzo. In piazza per quel che si vede tra i fumi degli incendi e quello gas sparati dalla polizia sventolano le bandiere dell´Al-Ahly e dello Zamalek, le squadre di calcio della capitale. Le tifoserie dopo la strage di Port Said di mercoledì, messo da parte un odio atavico, hanno fatto da due giorni fronte contro il nemico comune: la polizia. Sui muri attorno alla Piazza sono comparse scritte che uniscono gli ultras di tutto il mondo: ACAB (All Cops are Bastards). Ma sono tornati in strada anche i "ragazzi di gennaio", 28 tra gruppi e movimenti protagonisti della rivoluzione che ha cacciato un anno fa l´ultimo Faraone, hanno chiesto alla gente in tutto il Paese di tornare nelle piazze, perché «qualcuno sta rubando la rivoluzione». Invito raccolto a Alexandria, a Suez e in molte altre città d´Egitto con un´unica richiesta: l´immediata uscita di scena della Giunta militare e il passaggio dei poteri ai civili. 
«Guarda amico, guarda come sanno proteggere bene i palazzi del potere questi str…, ma uno stadio di calcio no? La verità che è che ci hanno voluto punire, perché noi siano stati in prima fila contro di loro quando prendevano gli ordini da Mubarak», urla Hassan mentre un´altra ambulanza cerca di fendere la folla, perché nonostante la battaglia su via Mansour, Piazza Tahir è stracolma. Dal palo di un semaforo oscilla un fantoccio impiccato che simboleggia il maresciallo Tantawi.
Con Ashraf sul motorino sfrecciamo via dalla Piazza, verso il Ponte 6 ottobre, verso Gezira, la grande isola in mezzo al Nilo dove abita l´upper class del Cairo. Ville con giardino, Palazzetti liberty, sporting club, circoli del tennis. Qui, proprio di fronte al Teatro dell´Opera, c´è il Quartier Generale dell´Al-Ahly che è un po´ il Real Madrid d´Egitto, la sua storia calcistica si intreccia con quella del Paese dal 1907, uno dei team più blasonati al mondo con cinquanta milioni di tifosi. Sette egiziani su dieci tifano per questa maglia rossa. Il grande complesso sportivo - che ospita il Museo con i quasi cento trofei vinti e anche gli studi della tv che segue ogni passo della squadra - è semideserto, qualche migliaio di tifosi presidia l´ingresso principale. Lo shock per quanto i calciatori hanno visto mercoledì notte a Port Said è stato fortissimo. Una delle stelle del team Mohammed Abu Trika, raggiunto quasi per caso, dice: «Ho preso una decisione e non intendo tornare indietro, non giocherò mai più al calcio». Il suo compagno Mohamed Barakat in lacrime l´ha appena annunciato davanti alle telecamere: «Dopo mercoledì il calcio non esiste più in Egitto».
Sherif Hassan, giornalista sportivo ed esperto di gruppi ultras era a Port Said mercoledì notte, a commentare la "partita maledetta" per Al-Nahar Tv. «Ho visto migliaia di partite nella mia vita e so cos´è la violenza nel calcio, ma ciò che è accaduto mercoledì sera…». Anche Bothaina Kamel era una giornalista tv prima che venisse licenziata per le sue posizioni liberali ed è anche l´unica donna che si è candidata alle prossime (?) elezioni presidenziali egiziane come indipendente. «E´ stata una strage premeditata», dice secca, «ogni volta che sta scadere lo stato d´emergenza succede sempre qualcosa, e i generali lo rinnovano». 
E´ questa l´accusa che fa tremare adesso Tantawi e i palazzi del potere egiziano, quella di aver orchestrato la violenza per mantenere l´Egitto sotto leggi che lasciano mano libera a esercito e polizia. L´intero Egitto è stato traumatizzato dalle immagini di mercoledì sera - rilanciate ieri da tutte le reti tv - dove si vedono i reparti della polizia anti-sommossa immobili mentre centinaia di supporter dell´Al-Masry invadevano il campo e poi davano l´assalto agli spalti dove c´erano i tifosi dell´Al-Ahly. «Non è stata una partita quella, è stata una guerra», dice Ashraf fermando il motorino davanti al mio albergo, «la nostra prima guerra del fùtbol».

Fabio Scuto, 04/02/2012

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