mercoledì 8 febbraio 2012

SIRIA

Battaglia alle porte di Damasco

GERUSALEMME - Incurante degli appelli dell´Onu, della Lega araba e dell´Occidente, la macchina repressiva del regime siriano di Bashar Assad va avanti verso il suo destino, segnato da dieci mesi di rivolta delle piazze sfociata ormai in una guerra civile. Ieri c´è stata battaglia in decine di città, anche alle porte di Damasco, mentre la Lega Araba ha "congelato" sabato notte la missione dei suoi osservatori proprio per l´escalation della repressione. Il segretario generale della Lega, l´egiziano Nabil Al Arabi, è arrivato a New York dove da giorni si discute di una risoluzione di condanna della Siria, paralizzata dal veto della Russia e l´indifferenza della Cina, nella speranza di poter sbloccare l´impasse e fermare il bagno di sangue. Con Al Arabi c´è Burhan Ghaliun, capo del Consiglio nazionale siriano (Cns).
Ieri il bilancio degli scontri fra disertori e reparti dell´esercito fedeli ad Assad è stato particolarmente sanguinoso con 66 persone uccise, e fra loro 26 civili, portando il bilancio di questi ultimi tre giorni a quasi duecento morti. C´è stata battaglia anche nelle città nelle vicinanze di Damasco, a Ain Tarma e Kafar Batna, i più duri combattimenti dall´inizio della rivolta. Finora la capitale era stata relativamente risparmiata dalla rivolta contro il regime dove finora – secondo le Nazioni Unite – sono state uccise oltre 5.400 persone. «Il regime nelle ultime 24 ore ha lanciato un´offensiva senza precedenti», dice il comandante Maher Noueimi, portavoce del Libero esercito siriano, la formazione militare sotto cui combattono tutti i disertori, «contro diverse località nei pressi della capitale». Noueimi denuncia anche le atrocità commesse contro i civili durante i rastrellamenti. «A Homs è in corso una campagna di terrore per punire la città che non risparmia né donne né bambini». Sedici cadaveri, denuncia l´Osservatorio per i diritti umani, sono stati abbandonati nelle strade, tutti avevano la mani legate dietro la schiena.
Damasco sente che la pressione internazionale sta divenendo man mano insostenibile. La sospensione della missione della Lega è stata criticata dalla Siria che, attraverso una fonte ufficiale, ha detto di ritenere lo stop un modo per «esercitare pressione sul Consiglio di sicurezza» al fine di «chiedere un intervento internazionale». Prima di partire per New York dove oggi perorerà la proposta della Lega Araba al Consiglio di sicurezza dell´Onu – che aspira a una transizione pacifica dei poteri a Damasco - El Arabi riferendosi a Russia e Cina ha detto di sperare in «un cambiamento di posizione di questi due Paesi sulla bozza di risoluzione che dovrebbe adottare il piano arabo». Il piano - ha sostenuto il premier del Qatar, lo sceicco Hamad Ben Jassem Al-Thani che accompagna Al Arabi a New York - assicurerà una «partenza pacifica» del regime siriano, cioè l´esilio in Arabia saudita o in Iran per Assad e i suoi. Il Qatar è pronto a riportare sul tavolo la proposta di far intervenire «soldati arabi» per difendere la popolazione civile, che aprirebbe la strada all´intervento internazionale.

Fabio Scuto, 30/01/2012

Damasco, assedio al bastione di Assad "Contro di noi il grande gioco degli Usa"

DAMASCO - «Ma chi sono questi soldati del Libero esercito siriano?», si chiede Khadri Jamil, il segretario del vecchio partito comunista siriano, un tempo in rotta con il regime degli Assad, messo fuorilegge, ma oggi fautore di opposizione dialogante e di una transizione morbida alla democrazia. «Sono come i Contras - risponde sdegnato - . Denaro e sostegni dall´esterno. Pronti a innescare una guerra civile che è un progetto degli Stati Uniti, dopo che due mesi fa ci avevano dato garanzie che non avrebbero subito interferenze straniere».
E così, dopo aver liquidato i militari che hanno voltato le spalle all´esercito siriano per unirsi alla protesta contro Bashar Al Assad, paragonandoli ai controrivoluzionari che combatterono contro il governo sandinista del Nicaragua al soldo degli Stati Uniti, Jamil si dice pronto a giurare che «non andranno da nessuna parte perché non hanno l´appoggio né della gente, né dei Comitati di resistenza popolare". Le ultime notizie dal fronte interno, però, lo smentiscono.
Mai i disertori del Libero esercito avevano osato tanto come nella scorsa settimana. Partiti dalle province al confine con la Turchia, dove è basato il loro quartier generale, guidato dal colonnello Riad Al Asaad, sfruttando la loro mobilità e l´evidente simpatia di alcuni settori del popolo degli insorti, i soldati ribelli si sono rapidamente avvicinati a Damasco, il santuario e al tempo stesso il principale bastione a difesa del regime, da quando, oltre dieci mesi fa è esplosa la protesta.
Prima Duma, 20 chilometri dalla capitale, poi Amourieh, 8 chilometri da Damasco. Quindi Saqba. Alla fine, per riprender in mano la situazione l´esercito siriano è dovuto ricorrere ai carri armati, in violazione del piano di pace della Lega araba.
Intendiamoci, la capitale non sembra risentire di questo avanzamento del fronte dei combattimenti. Come ogni venerdì, anche alla vigilia di questo fine settimana i fedelissimi del Presidente si sono dati convegno nella centralissima piazza Saba Bakrat, per gridare slogan e cantare canzoni a sostegno del regime. Ma non tanti come all´inizio della protesta. «Perché - mi dice Fahad, traduttore e amico - la gente comincia ad avere paura degli attentati e delle sparatorie». Borghesia, burocrati, rampolli di famiglie benestanti con le loro jeep nere dalle cromature scintillanti e con la bandiera nazionale. Ma Damasco ha perso anche il suo spirito. I ristoranti sono aperti, ma vuoti. Il traffico è intenso soltanto nelle ore diurne, all´imbrunire le strade si svuotano. I commercianti lamentano un´impressionante caduta degli affari. 
E in questo clima che evoca pericoli sempre più immediati e stringenti (secondo le organizzazioni umanitarie le vittime della tenaglia protesta-repressione hanno superato quota seimila, un dato che il governo siriano contesta, preferendo sottolineare la perdita di oltre duemila tra soldati e agenti degli apparati di sicurezza) il sangue reale che scorre per le strade della Siria si confonde con le battaglie virtuali della guerra mediatica.
Alla categoria delle false notizie date di proposito in pasto alla folla degli internauti, e dunque destinata a moltiplicare geometricamente i suoi effetti, a prescindere dalla realtà, appartiene la storia delle presunta fuga della moglie di Assad, Asma, con i loro figli e, in seconda battuta, dello stesso presidente, fuga interrotta proprio dagli uomini del Libero esercito, sulla strada dalla capitale all´aeroporto di Damasco. "Una bufala", come l´ha definita lo stesso twitter che l´aveva propagata. Una "bufala" evidente sin dall´inizio perché se le forze lealiste avessero perso il controllo dell´aeroporto, per il regime sarebbe già suonata la campana a morto. Ma non è così.
Non le voci incontrollate che circolano sui social forum, ma l´inarrestabile deterioramento della situazione (nelle ultime 48 ore i morti sarebbero stati più di 60 in tutto il Paese) sembra aver riscosso dal lungo sonno la diplomazia internazionale. Fermamente decisa a rispettare il suo patto d´onore con gli Assad, ma sentendosi al tempo stesso scomoda nella posizione di protettore ad oltranza del regime siriano contro le decisioni che possono sortire dal Consiglio di sicurezza dell´Onu che si riunisce oggi, la Russia ha deciso di giocare la carta del dialogo contro l´ipotesi di un intervento esterno di tipo militare.
Ma se Damasco ha risposto prontamente e positivamente all´invito dei governanti russi, il Consiglio nazionale siriano, una delle maggiori organizzazioni della rivolta, quella che raccoglie soprattutto i dissidenti all´estero, ha respinto al mittente la richiesta di intavolare trattative. E senza il Consiglio nazionale siriano non c´è negoziato che tenga. La prospettiva, quindi, è che davanti all´attivismo della Francia decisa ad ottenere la condanna della Siria per "gravi delitti contro l´umanità", la Russia non potrà che far valere il suo potere di veto.
«Le grandi potenze occidentali stanno sbagliando tutto», commenta Khadi Jamil, sicuro di sé. «Non ci potrà essere nessun cambiamento di regime se non ci sarà prima una pacificazione fra il popolo siriano. A meno che gli Stati Uniti, la Francia e Israele non vogliano fare della Siria un´altra Libia».

Alberto Stabile, 31/01/2012

Hillary: "Una farsa il voto all´Onu sulla Siria"

NEW YORK - L´America non permetterà che il vergognoso stallo alle Nazioni Unite lasci affogare nel sangue le proteste che infiammano la Siria: ma l´America è pronta a sostenere anche il Libero Esercito di Siria che sta trasformando la rivolta in guerra aperta al regime di Bashar Al Assad?
La tragica escalation della repressione sta accelerando gli sforzi diplomatici del mondo libero e il segretario di Stato Hillary Clinton ha rotto gli indugi lanciando la coalizione degli «amici della Siria democratica». La comunità internazionale ha il dovere di fermare il bagno di sangue e «quello che è accaduto alle Nazioni Unite è una farsa» ha detto da Sofia il capo della diplomazia americana. Hillary è ancora furioso per il no di Russia e Cina alla risoluzione Onu che avrebbe aperto la strada al piano preparato dalla Lega araba: e che prevedeva il passaggio del potere da Assad al suo vicepresidente e la formazione di un governo di unità nazionale. Pechino e Mosca temono che la caduta di Damasco sia l´ultimo tassello dell´«americanizzazione» del Medio Oriente portata dal vento della Primavera Araba: e temono naturalmente che quel vento possa soffiare presto anche sulle loro ex piazze rosse. Ma la Clinton non si arrende. «Di fronte alla neutralità del Consiglio di Sicurezza doppia raddoppiare gli sforzi al di fuori delle Nazioni Unite con i nostri alleati e partner che sostengono il diritto del popolo siriano a un futuro migliore».
Ma come funzionerebbe la coalizione degli amici? Il «disgustoso» voto al Consiglio di Sicurezza - il copyright è dell´ambasciatore Usa all´Onu Susan Rice - ha ridato baldanza al regime all´indomani della strage che ha Homs ha fatto più di 200 morti.
Un giornale di Damasco ha salutato la decisione del Palazzo di Vetro confermando che il governo va avanti nella sua politica di rimettere ordine nel paese: un modo ipocrito per dire che i massacri andranno avanti. La Clinton l´ha detto al collega russo Sergey Lavorov: «Bloccare questa risoluzione vuol dire assumersi la responsabilità di questi orrori». Ma il piano B avanzato dagli americani è ancora ambiguo.
Anche Radwan Ziadeh, uno dei leader dell´opposzione del Syrian National Council, invoca la creazione di una «coalizione internazionale» guidata da Francia, Usa e paesi arabi «il cui scopo sia quello di sostenere la rivoluzione attraverso aiuti politici ed economici». Il precedente più vicino è quello del Gruppo di Contatto che ha sostenuto l´opposizione libica. Ma lì c´era dietro una risoluzione dell´Onu e quel Gruppo era incaricato di gestire anche le operazioni militari della Nato autorizzate dalle Nazioni Unite. Hillary ieri ha fatto la voce grossa giurando che l´America «lavorerà per denunciare gli stati che stanno ancora finanziando il regime e fornendo le armi che vengono usate contro i siriani senza difese, comprese donne e bambini». Il riferimento all´orso russo è evidente. Ma nessuno - e tantomeno il presidente Barack Obama che si prepara a una difficile rielezione - intravede per ora la possibilità di un intervento internazionale: tanto più in un area che già ribolle per le minacce dell´Iran e la tentazione di Israele di colpire preventivamente Teheran.
Un passo in avanti sarebbe appunto quello di sostenere il Libero Esercito di Siria formato dai fuoriusciti del regime. Ma con che tipo di aiuti? E nel nome di chi? Davvero senza le insegne dell´Onu la «coalizione di amici» sarebbe pronta a tanto?
Nell´attesa la Siria brucia. E in tutto il mondo - da Londra all´Australia passando per il Cairo - si scatenano le azioni di protesta con gli assalti alle ambasciate di Assad: finora l´unico sfogo tangibile di tante rabbia e indignazione.

Angelo Aquaro, 06/02/2012

Siria, gli Usa chiudono l´ambasciata Mosca: in Occidente reazioni isteriche

Volano parole grosse fra America, Russia e Cina dopo il fallimento delle rispettive diplomazie nell´approvare una risoluzione al Consiglio di sicurezza per disinnescare la crisi siriana. Il doppio veto di Mosca e Pechino alla richiesta di un cambiamento di regime a Damasco tinge di invettive gli scambi verbali: «È una pagliacciata», perde le staffe Hillary Clinton, in seguito al «disgusto» espresso dalla sua ambasciatrice Rice. La Francia fa di più per bocca del ministro della Difesa Longuet: «Certe culture politiche meritano un calcio nel c... lo». Il britannico Hague si trattiene: il veto «è un grave errore di giudizio». In Italia il ministro Terzi istruisce il segretario generale Giampiero Massolo affinché trasmetta all´ambasciatore siriano a Roma «la più ferma condanna e lo sdegno per le inaccettabili violenze perpetrate dal regime di Damasco nei confronti della popolazione civile».
Di rimbalzo, la Russia taccia di «isterismo» le reazioni americane e di parte dell´Europa. Sergei Lavrov, il ministro degli Esteri, dice: «Approvare la risoluzione equivale a una scelta di campo in una guerra civile. Sostenere gruppi estremisti armati avrebbe come unico risultato un numero maggiore di vittime». Lavrov oggi vola a Damasco: proporrà ad Assad la mediazione di Mosca nel dialogo con l´opposizione, e la necessità di dare corpo, in fretta, alle riforme finora ventilate. La Russia si è esposta. Vuole risultati. Se no Damasco perderà l´ultimo bastione. È d´accordo la Cina: «Sostenere solo una delle due parti spargerebbe i semi del disastro». 
Su questo sfondo, la diplomazia internazionale arranca verso una nuova strategia. Con il Consiglio di sicurezza «castrato», nelle parole di Hillary Clinton, servono «nuove misure»: «sanzioni più dure». Sanzioni tuttavia difficili da far valere, se manca l´imprimatur dell´Onu. Washington chiude l´ambasciata a Damasco «per questioni di sicurezza». Londra richiama il proprio inviato.
Ma lo spiraglio di un´azione diplomatica si fa più stretto. Infatti, mentre Obama dichiara alla rete NBC l´importanza «di una soluzione senza un intervento militare esterno», certo che il regime di Assad abbia le ore contate, e con la promessa di «raddoppiare l´impegno» per scalzarlo dal potere, dalla Casa Bianca gli esperti prevedono che «si debba fare di più: quanto meno, dare la tacita approvazione ad armare l´opposizione siriana». Con tutti i rischi che questo comporta, sia nell´infiammare una guerra civile, sia nello spalancare il campo a una «guerra per procura» con la Russia, la Cina e l´Iran al fianco della Siria, e con l´America, parte della Ue, la Turchia e gli Stati del Golfo a sostegno dei ribelli.
Già il leader dell´Esercito libero siriano, Riad al Asaad dalla sua base in Turchia dice al New York Times: «Sul tavolo è rimasta soltanto l´opzione militare: quella politica è fallita». Parole che si riverberano sul terreno, a Homs come a Zabadani e a Idlib, dove gli scontri fanno nuovi morti: almeno 43, secondo gli attivisti, nel bombardamento da parte dell´esercito; quattro sabotaggi di gasdotti, tre edifici vuoti bombardati e 14 soldati uccisi, secondo l´agenzia di Stato, dati impossibili da confermare nella guerra mediatica che si sovrappone al sangue vero che scorre nel Paese. Così emerge una guerra d´attrito, senza possibilità d´intesa fra le parti. «S´inizia a intravedere un po´ di Afghanistan» in Siria, dice Robert Malley, ex consigliere di Clinton, esperto all´International Crisis Group, e pensa ai mujahidin appoggiati dagli Usa negli Anni Ottanta contro l´invasione sovietica. «L´America continuerà a premere su Assad, ma questo non modificherà il comportamento del regime siriano. La violenza s´intensificherà, e allora verrà la richiesta di intervenire altrimenti».

Alix Van Buren, 07/02/2012

L´appello della Nobel Karman "Il mondo punisca il regime"

MONACO DI BAVIERA - È stata la Siria di Bashar Assad, sono state Russia e Cina che lo proteggono con il veto alle Nazioni Unite, i protagonisti sul banco dell´accusa nella giornata finale della "Conferenza di difesa" di Monaco. Il veto con cui Mosca e Pechino hanno bloccato all´Onu la condanna dei massacri ordinati da Assad ha dato il via ad un´alleanza inedita fra Stati Uniti, Europa, militanti dei diritti umani, ma anche governi arabi moderati e nuovi governi guidati da partiti islamici come quello tunisino del premier Jebali.
L´appello più forte per il popolo siriano ieri mattina, nel grande salone del Bayerisher Hof , l´ha lanciato la yemenita Tawakkul Karman: «Cina e Russia hanno la responsabilità morale e umana dei massacri in Siria, invito in nome dei ribelli pacifici ad espellere gli ambasciatori siriani dai vostri Paesi», ha detto la giovane donna premio Nobel per la pace per il 2011. «Questo è il minimo che potete fare», diceva la Karman rivolta ai ministri arabi presenti in sala, «dovete punire il regime e difendere il popolo siriano». 
Il ministro degli Esteri egiziano è rimasto silenzioso, in imbarazzo. Ma con la Karman si è schierato innanzitutto il premier tunisino Hamadi Jebali, islamista del partito Hennada: «Dobbiamo espellere gli ambasciatori siriani dai paesi arabi, il popolo siriano non si aspetta da noi dichiarazioni e condanna, si aspetta azioni».
Dopo Jebali è arrivato il ministro degli Esteri della Turchia, quel Ahmet Davutoglu che per mesi e mesi ha provato a convincere Assad a interrompere i massacri, forte del rapporto privilegiato che la Turchia del premier Erdogan aveva costruito col regime siriano. Per Davutoglu, Mosca e Pechino «non hanno votato basandosi sulla realtà di fatto, ma seguendo logiche da Guerra Fredda, assolutamente avulse dalla domanda di libertà che anima il popolo siriano». E infatti lo stesso tunisino Jebali ripete che Russia e Cina «hanno applicato male il diritto di veto, un diritto che alle Nazioni Unte andrebbe cancellato».

Vincenzo Nigro, 06/02/2012




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