"Quattrocento bimbi uccisi in Siria"
Il russo Sergei Lavrov arriva a Damasco in un tripudio di folla. Latore di un messaggio confidenziale del Cremlino - probabilmente un ultimatum perché cessino le violenze e s´affrettino le riforme, o si spalancherà la via a un intervento militare esterno - Lavrov si candida alla parte del paciere «in extremis». Questo, dopo lo sgambetto di Russia e Cina al Consiglio di sicurezza dell´Onu col veto alla risoluzione in sostegno di un cambiamento di regime in Siria. Il ministro degli Esteri di Mosca, accompagnato dal capo dell´Intelligence Mikhail Fradkov, è salutato da schiere di manifestanti filo-regime al grido di "Russia! Russia!" in un revival di aria da Guerra fredda. Su uno sfondo del tutto contrastante, a 162 chilometri di distanza, a Homs continua l´offensiva che da quattro giorni insanguina la città ribelle, e dall´estero una nuova sfilza di Paesi ritira i propri ambasciatori.
Dopo Washington e Londra, anche Italia, Francia, Belgio, Olanda, Spagna e le nazioni del Golfo richiamano i propri inviati. Non è il passo definitivo - la rottura dei rapporti diplomatici - ma la misura approfondisce l´isolamento della Siria, o meglio la spaccatura fra due fronti internazionali: America, parte dell´Europa, Turchia e sovrani arabi da un lato; Russia, Cina e parte dei Paesi emergenti dall´altro.
La visita di Lavrov coincide con nuovi scontri a Homs: stando agli attivisti, si contano oltre 90 vittime da lunedì, mentre il governo calcola 30 morti fra le forze dell´ordine. Il ministro dell´Interno dice che «le operazioni contro i gruppi terroristi continueranno finché la legge e l´ordine saranno ristabiliti». L´Unicef denuncia «un bagno di sangue che ha coinvolto oltre 400 bambini» con notizie di minorenni «arrestati arbitrariamente, torturati, abusati sessualmente». «Tutto questo deve finire. Anche un solo bambino morto in una violenza è una morte in più che non possiamo permettere», dice il direttore generale Anthony Lake. L´Onu ferma il computo a 5400 vittime «nell´impossibilità di confermarne il numero»; il regime ne conta oltre 2000 dei suoi. In queste cifre c´è necessariamente un elemento di congettura. Come in ogni guerra, la manipolazione dei dati è evidente.
Bersaglio delle ire occidentali, Lavrov si mostra accomodante. La missione a Damasco, dice, «è stata molto produttiva». Sostiene il piano arabo del novembre 2011, fondato sui tre pilastri della fine delle violenze, il dialogo con tutte le parti, il "no" fermo a un intervento militare esterno. Assad ha assicurato - dice ancora il russo - che verrà indetto un referendum sulla nuova Carta costituzionale «finita di stilare ieri». Abolito il monopolio del Ba´ath - ripete - seguiranno elezioni generali. Una notizia non confermata riferisce l´apertura del Consiglio nazionale siriano a un eventuale dialogo con il regime. La "fabbrica dei rumori" di Damasco fa il nome di uno dei più coraggiosi e aspri dissidenti, Haytham Manna, disposto a tracciare una transizione pacifica verso la democrazia.
Il senso più profondo della visita di Lavrov, però, è forse nelle parole consegnate ad Assad: il monito che «ciascun leader di ogni Paese deve assumersi le propria responsabilità», e Assad «sa quali sono le sue». «È nostro interesse che le nazioni arabe vivano in pace». I russi sanno, e la storia lo insegna, che senza la Siria non si controlla il Medio Oriente. Dal 1973, dalla sconfitta dell´Egitto e l´abbraccio di Sadat all´America, Damasco è il perno della Russia nella regione. Se l´Occidente promuove la democrazia, il Cremlino vede una questione di geopolitica, il sospetto di un progetto americano nello sfilare all´Iran l´unico alleato arabo. In breve: se la Russia perde la Siria, perde il Medio Oriente.
Dopo Washington e Londra, anche Italia, Francia, Belgio, Olanda, Spagna e le nazioni del Golfo richiamano i propri inviati. Non è il passo definitivo - la rottura dei rapporti diplomatici - ma la misura approfondisce l´isolamento della Siria, o meglio la spaccatura fra due fronti internazionali: America, parte dell´Europa, Turchia e sovrani arabi da un lato; Russia, Cina e parte dei Paesi emergenti dall´altro.
La visita di Lavrov coincide con nuovi scontri a Homs: stando agli attivisti, si contano oltre 90 vittime da lunedì, mentre il governo calcola 30 morti fra le forze dell´ordine. Il ministro dell´Interno dice che «le operazioni contro i gruppi terroristi continueranno finché la legge e l´ordine saranno ristabiliti». L´Unicef denuncia «un bagno di sangue che ha coinvolto oltre 400 bambini» con notizie di minorenni «arrestati arbitrariamente, torturati, abusati sessualmente». «Tutto questo deve finire. Anche un solo bambino morto in una violenza è una morte in più che non possiamo permettere», dice il direttore generale Anthony Lake. L´Onu ferma il computo a 5400 vittime «nell´impossibilità di confermarne il numero»; il regime ne conta oltre 2000 dei suoi. In queste cifre c´è necessariamente un elemento di congettura. Come in ogni guerra, la manipolazione dei dati è evidente.
Bersaglio delle ire occidentali, Lavrov si mostra accomodante. La missione a Damasco, dice, «è stata molto produttiva». Sostiene il piano arabo del novembre 2011, fondato sui tre pilastri della fine delle violenze, il dialogo con tutte le parti, il "no" fermo a un intervento militare esterno. Assad ha assicurato - dice ancora il russo - che verrà indetto un referendum sulla nuova Carta costituzionale «finita di stilare ieri». Abolito il monopolio del Ba´ath - ripete - seguiranno elezioni generali. Una notizia non confermata riferisce l´apertura del Consiglio nazionale siriano a un eventuale dialogo con il regime. La "fabbrica dei rumori" di Damasco fa il nome di uno dei più coraggiosi e aspri dissidenti, Haytham Manna, disposto a tracciare una transizione pacifica verso la democrazia.
Il senso più profondo della visita di Lavrov, però, è forse nelle parole consegnate ad Assad: il monito che «ciascun leader di ogni Paese deve assumersi le propria responsabilità», e Assad «sa quali sono le sue». «È nostro interesse che le nazioni arabe vivano in pace». I russi sanno, e la storia lo insegna, che senza la Siria non si controlla il Medio Oriente. Dal 1973, dalla sconfitta dell´Egitto e l´abbraccio di Sadat all´America, Damasco è il perno della Russia nella regione. Se l´Occidente promuove la democrazia, il Cremlino vede una questione di geopolitica, il sospetto di un progetto americano nello sfilare all´Iran l´unico alleato arabo. In breve: se la Russia perde la Siria, perde il Medio Oriente.
Alix Van Buren
Intervento militare in Siria, no della Ue
NEW YORK - L´ombra tragica del massacro si allunga sulla città martire di Homs mentre al Pentagono i generali allertati da Barack Obama calano la carta dell´intervento. Nessuno scalpita per scendere in armi in quel fazzoletto di Medio Oriente dove Israele sta già meditando l´attacco preventivo all´Iran che si arma dell´atomica. Ma il portavoce di Barack Obama conferma: «Nessuna opzione è esclusa». Dopo l´impasse all´Onu che il segretario di Stato Hillary Clinton ha definito una «farsa» - col niet alla risoluzione anti-Siria di Mosca e Pechino - anche i russi ora temono lo scatto di forza. Il presidente Dimitri Medvedev telefona al collega francese, Nicolas Sarkozy, avvertendolo di evitare «misure bilaterali precipitose». «Non dobbiamo agire come un toro in un negozio di cineserie», rincara verso gli Usa il premier russo Vladimir Putin. Come se il toro scatenato e accecato dal sangue non fosse invece Bashar Al Assad. Medici Senza Frontiere racconta che in Siria i feriti non possono più neppure essere trasportati negli ospedali. Sono arrestati insieme ai medici che tentano di salvarli: «Anche la medicina è usata come arma di persecuzione».
È l´ultima vergogna. La Cnn rilancia l´appello dei resistenti. "Danny" continua a implorare via Skype l´intervento dell´Occidente e mostra in tv le bombe scaricate sui ribelli di Homs. La città è al quinto giorno di assedio. Ma la tela che sta tessendo Putin, che ha spedito a Damasco il ministro degli esteri Sergey Lavrov, sembra quella di Penelope: serve solo a far prendere altro tempo. I russi dicono che il vice del presidente-dittatore vuole riaprire il dialogo con l´opposizione e chiede all´Occidente e ai paesi arabi di «cominciare il dialogo». Ci crede solo Recep Tayyp Erdogan che alza il telefono per chiamare il vicino di Damasco: ma dopo 11 mesi di rivolta Assad non sembra avere intenzione di passare la mano.
Prendere tempo invece sì. Come ha fatto poco più di un mese fa alla tv americana Abc. Gli hacker di Anonymous, quelli già protagonisti della guerriglia informatica in difesa di WikiLeaks e Occupy Wall Street, sono riusciti a entrare nel fortino elettronico del regime: per la verità protetto da un´intelligence da babbei visto che la password era "12345". Lo scandalo è nell´ammissione delle montagne di falsità che Assad si preparava a riversare alla conduttrice Barbara Walters. A consigliarlo erano Sheherazad Jaafari, figlia dell´ambasciatore siriano all´Onu Bashar Jaafari, e Luna Chebel, ex giornalista di Al Jazeera poi mica per niente cooptata nello staff di Assad. «È molto importante e vale la pena menzionare che all´inizio della crisi sono stati fatti alcuni "errori" perché non c´era una "forza di polizia" all´altezza», si legge nelle email secondo la ricostruzione del giornale israeliano Haaretz. «La psiche degli americani può essere facilmente manipolata se messa di fronte alla parola "errore commesso". Varrebbe anche la pena menzionare cosa sta succedendo adesso a Wall Street e il modo con cui la polizia Usa ha soppresso le manifestazioni con i cani e con la forza».
È il solito giochetto delle sinistre e destre estreme di tutto il mondo: il vero cattivo è lo Zio Sam. Che invece stavolta non vuole starsene con le mani in mano. È sempre la Cnn a raccogliere le confidenze di «due alti ufficiali» che confermano: il Pentagono «sta cominciando a vedere cosa si può fare». Ponte aereo con i resistenti? No-fly zone come quella che impedì i massacri di Muhammar Gheddafi? La Clinton ha già lanciato l´idea di una «coalizione di amici» dopo il flop all´Onu. «Ma la Siria non è la Libia», avvertono fonti Ue contrarie a ogni tipo di azione militare. Il ministro italiano Giulio Terzi, che proprio oggi vede a Washington Hillary, esprime «irritazione» per il massacro in Siria: l´Italia ha già richiamato l´ambasciatore e intanto studia i piani di evacuazione dei nostri concittadini. Ci si prepara già al peggio: ma il peggio per i siriani, che contano ormai più di cinquemila vittime, è cominciato da un pezzo.
È l´ultima vergogna. La Cnn rilancia l´appello dei resistenti. "Danny" continua a implorare via Skype l´intervento dell´Occidente e mostra in tv le bombe scaricate sui ribelli di Homs. La città è al quinto giorno di assedio. Ma la tela che sta tessendo Putin, che ha spedito a Damasco il ministro degli esteri Sergey Lavrov, sembra quella di Penelope: serve solo a far prendere altro tempo. I russi dicono che il vice del presidente-dittatore vuole riaprire il dialogo con l´opposizione e chiede all´Occidente e ai paesi arabi di «cominciare il dialogo». Ci crede solo Recep Tayyp Erdogan che alza il telefono per chiamare il vicino di Damasco: ma dopo 11 mesi di rivolta Assad non sembra avere intenzione di passare la mano.
Prendere tempo invece sì. Come ha fatto poco più di un mese fa alla tv americana Abc. Gli hacker di Anonymous, quelli già protagonisti della guerriglia informatica in difesa di WikiLeaks e Occupy Wall Street, sono riusciti a entrare nel fortino elettronico del regime: per la verità protetto da un´intelligence da babbei visto che la password era "12345". Lo scandalo è nell´ammissione delle montagne di falsità che Assad si preparava a riversare alla conduttrice Barbara Walters. A consigliarlo erano Sheherazad Jaafari, figlia dell´ambasciatore siriano all´Onu Bashar Jaafari, e Luna Chebel, ex giornalista di Al Jazeera poi mica per niente cooptata nello staff di Assad. «È molto importante e vale la pena menzionare che all´inizio della crisi sono stati fatti alcuni "errori" perché non c´era una "forza di polizia" all´altezza», si legge nelle email secondo la ricostruzione del giornale israeliano Haaretz. «La psiche degli americani può essere facilmente manipolata se messa di fronte alla parola "errore commesso". Varrebbe anche la pena menzionare cosa sta succedendo adesso a Wall Street e il modo con cui la polizia Usa ha soppresso le manifestazioni con i cani e con la forza».
È il solito giochetto delle sinistre e destre estreme di tutto il mondo: il vero cattivo è lo Zio Sam. Che invece stavolta non vuole starsene con le mani in mano. È sempre la Cnn a raccogliere le confidenze di «due alti ufficiali» che confermano: il Pentagono «sta cominciando a vedere cosa si può fare». Ponte aereo con i resistenti? No-fly zone come quella che impedì i massacri di Muhammar Gheddafi? La Clinton ha già lanciato l´idea di una «coalizione di amici» dopo il flop all´Onu. «Ma la Siria non è la Libia», avvertono fonti Ue contrarie a ogni tipo di azione militare. Il ministro italiano Giulio Terzi, che proprio oggi vede a Washington Hillary, esprime «irritazione» per il massacro in Siria: l´Italia ha già richiamato l´ambasciatore e intanto studia i piani di evacuazione dei nostri concittadini. Ci si prepara già al peggio: ma il peggio per i siriani, che contano ormai più di cinquemila vittime, è cominciato da un pezzo.
Angelo Aquaro
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