sabato 28 luglio 2012

SIRIA

Tra la gente di Aleppo assediata dai tank “Molti scappano, temiamo un massacro”

ALEPPO — Aleppo, la seconda città più importante della Siria, si prepara alla controffensiva da parte dei soldati governativi dopo un’altra giornata sotto i colpi d’artiglieria o sparati dagli elicotteri contro i quartieri presi dagli insorti. Le forze speciali siriane sono state dispiegate intorno alla città e altri soldati dovrebbero arrivare per l’attacco, previsto oggi o sabato: lo ha riferito all’Afp una fonte della sicurezza siriana. Si dice che anche i circa 2mila ribelli già ad Aleppo abbiano ricevuto rinforzi, pari a circa 1500-2000 uomini appena arrivati. La Francia sollecita le Nazioni Unite a intervenire per fermare il “bagno di sangue” , mentre Ban Ki-moon, il segretario generale dell’Onu, ammonisce le potenze mondiali a non ripetere gli errori commessi in Bosnia. «Non voglio che nessuno dei miei successori visiti la Siria tra vent’anni e si ritrovi a dover chiedere scusa per quello che avremmo potuto fare per proteggere i civili in Siria e che non stiamo facendo».
Ad Aleppo Abu Firas, il portavoce del consiglio rivoluzionario cittadino dice che nella zona occidente è arrivata una colonna di carri armati e di veicoli blindati, mentre colpi di artiglieria o sparati dagli elicotteri prendono di mira i quartieri degli insorti. I testimoni affermano di aver contato fino a 80 carri armati.
Dentro la città l’atmosfera è di tensione e preoccupazione, e uno degli abitanti ci dice: «Abbiamo la brutta e spiacevole sensazione che la situazione possa degenerare in una catastrofe, con i rinforzi dell’esercito già qui. Il regime prende saltuariamente di mira aree densamente popolate, e provoca molte vittime. Gli ospedali non riescono a star dietro al numero dei feriti. Pane e carburante sono introvabili. Molte famiglie sono sfollate, vagano in strada o si accampano nei parchi o in rifugi nelle scuole,
ma restano esposte e vulnerabili. La popolazione sta preparandosi al peggio».
Violenti scontri si sono verificati tra l’Esercito libero siriano (Els) e le forze governative lungo le strade che a Nord e a Ovest portano ad Aleppo. I residenti scappati dagli scontri raccontano di sette famiglie sterminate martedì notte nel quartiere di Salaheddin, dopo che le loro case nei pressi di una clinica sono state distrutte a colpi di mortaio. Un residente fuggito oltre la frontiera turca confida agli amici di voler tornare ad Aleppo e spiega: «Sento il bisogno di tornare indietro e morire a casa mia».
Mohammad Issa, un comandante dell’Els, dice che il convoglio di carri armati arrivato ad Aleppo è partito dalla vicina cittadina di Idlib. Il regime non ha ancora il controllo su questo centro, ma teoricamente ha perso il controllo delle zone circostanti. Il convoglio ha impiegato più giorni per arrivare ad Aleppo, tenuto conto della presenza di numerosi combattenti dell’opposizione che hanno teso loro agguati. «Li abbiamo attaccati in
piena campagna, cercando di coinvolgere meno possibile la popolazione civile negli scontri », dice Isa, aggiungendo che le sue milizie hanno preso prigionieri e accolto parecchie decine di disertori.
Secondo Amir, un fiancheggiatore degli insorti ad Aleppo, le forze anti-Assad al momento hanno il controllo del 40 per cento
della città in una fascia a semicerchio che si allarga da Est verso Dud. «L’Els è arrivato venerdì e si è spinto fino alle aree che riteneva che non sarebbero state ostili. Le forze governative a quel punto se la sono data a gambe. Aleppo è una città complicata: c’è chi appoggia il regime, chi ha paura, chi è favorevole alla rivoluzione. La classe media e i ricchi
non vogliono che i ribelli abbiano la meglio. Vogliono che tutto continui come al solito. Nessuno può prevedere che cosa accadrà di qui a poco, ma permane molta tristezza per il fatto che gli insorti abbiano attirato su Aleppo tutta quella potenza di fuoco».
Si parla di combattimenti a fuoco anche a Damasco, con colpi sparati dai carri armati e dagli
elicotteri, e continua a girare voce di violenti scontri tra i disertori e le forze del regime a Hajar al-Aswad, uno degli ultimi quartieri in mano ai ribelli in città, e nel campo profughi palestinese di Yarmuk. Gli attivisti hanno riferito di almeno cinque civili uccisi e di 25 feriti. I cecchini erano appostati sui tetti degli edifici e secondo quanto ha affermato un abitante della città hanno preso di mira chiunque si sia azzardato a scendere in strada.
Luglio sta per concludersi e diventerà di fatto il mese più cruento finora dell’insurrezione siriana. Il bilancio dei morti nel Paese è stimato in oltre cento al giorno, secondo l’Osservatorio siriano per i diritti umani con sede in Gran Bretagna. Gli attivisti parlano di 19mila morti dal marzo 2001 a oggi, e Medici senza frontiere calcola gli sfollati dal paese in oltre 120mila persone.

LUKE HARDING E IAN BLACK


Tra i ribelli della battaglia di Aleppo Vinceremo, noi abbiamo Dio e loro no
ALEPPO - Nella moschea si sentono grida di «Dio è grande!». Un ritratto incorniciato mostra un uomo giovane in posa solenne e marziale, con un berretto rosso scuro. I funerali sono per Ahmad al-Fij, comandante 28enne dell' Esercito libero siriano, ucciso venerdì nella battaglia per Aleppo. La cerimonia è frettolosa, l' esercito siriano potrebbe riprendere i bombardamenti da un momento all' altro. «Mio figlio era onesto e rispettabile, un patriota», dice Abdul-Rahman, il padre. «Questo regime sta usando il fuoco contro gli esseri umani, gli alberi, tutto». Ma potrà essere sconfitto? «Assolutamente sì», risponde. «Noi abbiamo Dio, loro no». Sarebbe avventato prevedere una rapida conclusione del sanguinoso conflitto siriano. I volontari delle milizie sono armati di kalashnikov, pistole di fabbricazione ceca e coltelli da caccia. Contro di loro è schierato uno Stato militare armato di elicotteri da guerra, carri armati russi e pezzi d' artiglieria. Eppure la sensazione è che i ribelli stiano vincendo, lentamente e inesorabilmente. La battaglia per la città più grande di tutta la Siria, Aleppo, è drammaticamente in bilico. I ribelli stanno combattendo strada per strada, contro un nemico che vomita morte dai cieli. L' Esercito libero siriano registra meticolosamente gli attacchi con i telefoni cellulari: la guerra di Siria è trasmessa in diretta streaming per la generazione di YouTube. «La vittoria è prossima. Quasi metà di Aleppo ormai è controllata dall' Esercito libero siriano», dice spavaldo Abdul Gabbar Kaidi, il colonnello che guida i ribelli nella battaglia. Kaidi è seduto nel suo quartier generale, un' ex scuola. «Loro (il regime, ndr) sono deboli. Non credono in se stessi», dice Kaidi. «Uccidono, stuprano le donne, distruggono il Paese. Noi stiamo combattendo per difendere la gente». L' esercito libero siriano sostiene di controllare circa l' 80 per cento della Siria. Probabilmenteè un' esagerazione, ma l' apparato militare di Damasco, duramente scosso dall' attentato della settimana scorsa, deve fronteggiare rivolte ovunque: Homs, Hama, Aleppo, Deir el-Zour. I ribelli sono riusciti a ritagliarsi un impero rurale, che abbraccia gran parte delle compagne e le aree di frontiera con la Turchia, a Nord e a Est. Qui c' è un paesaggio biblico di uliveti argentati, montagne brune e rocciose e ragazzini che portano a pascolare le pecore. Qui la situazione è relativamente calma. Nel villaggio di Atma, vicino al confine con la Turchia, i civili siriani si spostano lentamente di notte, sotto un cielo stellato, oltrepassando di nascosto il confine. Nell' altra direzione affluiscono volontari. Un sergente barbuto dell' Esercito libero siriano registra i nuovi arrivati, ingannando il tempo, nei momenti di pausa, con la lettura del Corano. «Sono tornato per vendicare mio padre», spiega un volontario 22enne, Ahmed Syri. Syri è cresciuto a Copenaghen. Suo padre lasciò il Paese nel 1982, quando Hafez al-Assad, il padre di Bashar, schiacciò un' insurrezione dei Fratelli musulmani uccidendo migliaia di persone. L' Esercito libero siriano ha assunto l' amministrazione di Atma a ottobre dell' anno scorso. Da quel momento ha conquistato sempre più territorio, impadronendosi delle province di Idlib e Aleppo, anche se le città capoluogo rimangono nelle mani del regime, come gran parte delle altre città siriane. Oggi Atareb, città «liberata», è un campo di macerie. Solo qualche abitante è tornato. Il vecchio suq era un letale covo di cecchini durante i combattimenti, oraè un intrico di vetri rotti e negozi distrutti. La bandiera rivoluzionaria sventola dall' alto della cittadella, con i suoi 2000 anni di storia. I ribelli stanno facendo progressi sul piano tattico, ma non sembrano esserci segnali di massicci rifornimenti di armi pesanti dall' esterno. Soldati in divisa cachi cercano di mettere in moto a spinta la malconcia auto di Kaidi. Altri, radunati per andare a combattere ad Aleppo, stipano sacchi di plastica e granate per lanciarazzi nel bagagliaio di una berlina, poi partono per il fronte come se andassero a una gita fuori porta. Il morale è alto, ma la paura è tanta. Abdullah, un ingegnere civile, colto e che parla inglese, prevede che la guerra si trascinerà per mesi: «L' Esercito libero siriano sta diventando più forte. Ma il prezzo da pagare sarà molto alto, senza un aiuto da parte dell' Occidente». Abdullah è fuggito da Damasco giovedì scorso, il giorno dopo che Assad aveva preso la drastica decisione di bombardare la sua stessa capitale. Lui e la sua famiglia sono partiti a bordo di tre macchine in direzione nord, verso la zona controllata dai ribelli, passando numerosi posti di blocco, del Governo e dell' opposizione. «Il regime insiste che tutto è normale. Ma la rivoluzione è come un' enorme palla di neve che può distruggere tutto». Come molti siriani, Abdullah teme per il futuro del suo Paese: «Ora stiamo finendo in un buco nero. Nessuno sa che cosa succederà. Il regime comincia a cadere. La rivoluzione diventa sempre più forte. Ma mi chiedo: sono uniti?».

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