Quella famiglia divenuta una bandiera
Gaza sotto le bombe piange i suoi 100 morti Israele colpisce il media center e lo stadio. Dalla Striscia pioggia di razzi
GAZA. JAMAL, il patriarca della famiglia Al Dalou, con il volto gonfio di pianto abbraccia i parenti e i vicini di casa che sono venuti a porgergli le condoglianze per il lutto che lo ha colpito. È rimasto solo.
LA SUA famiglia — la moglie, il figlio, la nuora, la sorella e cinque nipoti — sono morti nel crollo della palazzina centrata da un missile domenica scorsa nel quartiere Nasser. In silenzio, stanno seduti sulle delle sedie di plastica bianca prestate da un vicino; a pochi metri di distanza un bulldozer sta scavando fra le rovine. Al tragico appello manca ancora Yara, l’altra figlia. Poi in un clima di grande commozione, una piccola folla sfida i droni armati di missili e i caccia F-16, che come calabroni volano incessantemente, e per la strade deserte di Gaza City lo accompagna nel cimitero di Sheikh Radwan. Vengono sepolti anche i due vicini di casa uccisi dall’esplosione. Secondo l’esercito israeliano nella palazzina, centrata da un missile ad alto potenziale, abitava un certo Yiahia Abayah, identificato come un leader del movimento armato della Jihad islamica. Ma ora nessuno degli abitanti sulla strada della famiglia Al Dalou dice d’avere mai sentito questo nome. Un portavoce della Difesa accenna a «un incidente» ma avvisa che tutto è ancora da chiarire.
Le immagini della strage e dei soccorritori che scavano tra le macerie sono state trasmesse decine di volte da Al Jazeera e dai grandi network. Le hanno viste in tutto il mondo arabo, e rischiano — temono gli israeliani — di diventare la versione palestinese del villaggio libanese di Kafr Qana. Il video che mostrava i risultati del bombardamento israeliano di Kafr Qana, nel luglio del 2006, cambiarono il volto della “seconda guerra in Libano”, spingendo l’opinione pubblica mondiale contro la reazione israeliana all’attacco degli Hezbollah e fermarono quel conflitto. Forse la tragedia della famiglia Al Dalou potrebbe spingere i Paesi arabi, quelli europei, ma soprattutto gli Stati Uniti, a premere su Israele per fermare gli attacchi aerei.
La campagna aerea, le eliminazioni mirate, la distruzione di “arsenali” e commissariati di polizia è proseguita anche ieri — 23 le vittime della giornata, che portano i morti palestinesi a oltre 100 — ma una indicazione che le cose a Gaza per Israele non stanno andando come previsto è l’aumento costante del numero di vittime tra i civili palestinesi. Anche prima della strage della famiglia Al Dalou, i resoconti delle vittime tra i bambini, le donne e gli anziani si sono moltiplicati, mentre il danno causato ai militanti di Hamas o di altre organizzazioni è stato relativamente limitato. Ci sono diverse ragioni per questo: Hamas opera all’interno di una popolazione civile, e nasconde i suoi arsenali in aree edificate. Lo stesso vale per lanciamissili, missili e altre armi ancora. Inoltre, gran parte dei militanti è molto attenta a non rimanere al di sopra del suolo gran parte della giornata. Resta nella rete di gallerie costruite sotto la Striscia negli ultimi anni e certamente è a rischio più basso rispetto alla maggioranza della popolazione di Gaza. Il lancio di un missile poi è estremamente rapido e avviene talvolta tramite telecomando.
Alla sesta giornata il conflitto fra Israele e Hamas, visto da Gaza, offre pochi spiragli visibili di speranza nella direzione di quella tregua che si prova a negoziare al Cairo. L’offerta di Hamas è giudicata inaccettabile dagli israeliani e viceversa, mentre nella Striscia la morte è in agguato ovunque: negli edifici governativi come nelle basi delle milizie; nello stadio di calcio come nel Media Center Al Shuruq; nei campi agricoli vicini al confine. Sulle strade chi cavalca una motocicletta rischia di diventare obiettivo dei droni o dei caccia israeliani; chi esce per strada rischia la vita come chi sta in casa. In giro si avventura soltanto chi non può farne a meno: giornalisti, medici, tecnici della luce o del telefono.
L’attività commerciale è paralizzata. Nel centro di Gaza restano aperte le panetterie e qualche ristorante, per i rari passanti. Il ministero dell’Economia del governo di Hamas assicura che ai negozi sono stati distribuiti generi di prima necessità. Ma le corsie dei supermercati, che aprono 1-2 ore, sono deserte e gli scaffali semivuoti. «Non avvicinatevi ai santuari di Hamas», ha intimato Israele agli abitanti della Striscia, dopo essersi inserito nelle frequenze della radio e della tv di Hamas. Non è così semplice visto che al tempo stesso Israele sostiene che i miliziani di Hamas, le loro installazioni e i loro arsenali, sono nascosti anche nelle scuole, nelle moschee, fra gli impianti sportivi, nei Media center. Ieri quel che restava del grattacielo Al-Shuruq nel quartiere di Rimal — che ospitava fra gli altri gli uffici di Sky news, Al Arabiya, Russia Today, la Press tv iraniana, ma anche due tv vicine a Hamas — è stato distrutto da un secondo attacco nel quale è morto un leader della Jihad islamica con tre miliziani, ma anche due civili.
Chi vive nelle zone più vicine al territorio israeliano cerca rifugi provvisori: ieri l’Unrwa — che assiste 800 mila palestinesi privi di mezzi di sostentamento — ha aperto alcune delle scuole che gestisce, chiuse per motivi di sicurezza, per ospitare i nuovi sfollati. La sera a Gaza non c’è una luce accesa per la strada; la paura cresce, nell’angoscia che la “campagna di terra” promessa da Netanyahu sia imminente.
Fabio Scuto
ALLA GUERRA PRIMA DEL VOTO LA SCOMMESSA DI NETANYAHU APRE IL FRONTE DELLE ELEZIONI
Il Consiglio dei Nove, il gabinetto ristretto che aveva deciso in gran segreto la guerra contro Hamas, s'è ritrovato durante la notte per valutare la tregua. Perfino Avigdor Lieberman, l'ultradestro ministro degli Esteri, dice di preferire a questo punto una "soluzione politica".
MISSILI SU GAZA
L'opinione pubblica comincia a farsi sentire. Gli editorialisti temono che l'operazione di terra non serva che a versare altro sangue e stavolta, inevitabilmente, anche quello dei soldati israeliani. I gruppi pacifisti si mobilitano contro "la guerra elettorale" di Netanyahu. Il premier che s'è vantato di non aver mai mobilitato l'esercito durante il suo mandato comincia a sentire la pressione.
NETANYAHU
Eppure, con l'84% degli israeliani al proprio fianco, secondo un freschissimo sondaggio di
Haaretz, e la totalità della classe politica al seguito, Benyamin Netanyahu potrebbe trasformare il tempo che resta fino alle elezioni del 22 gennaio in una marcia trionfale. Ma c'è un ostacolo assai rischioso sul suo cammino: anche se nelle ultime ore si sono moltiplicate le voci di una tregua imminente, la seconda guerra di Gaza contro Hamas non è finita.
MISSILI SU GAZA
Il Consiglio dei Nove (lui, Barak, Lieberman, il ministro dell'Interno Ishay, quello degli Affari strategici Moshè Yaalon, più il capo di Stato Maggiore Katz e i responsabili dei 3 principali servizi di sicurezza) devono trovare il mondo di uscirne senza dare l'impressione di una precipitosa marcia indietro.
Si contavano i minuti mancanti all'invasione, i carri armati avevano già acceso i motori, ma piuttosto che il campo di battaglia di Gaza, s'è aperto quello che un grande giornalista israeliano, Nahum Barnea, ha definito il "terzo fronte" della guerra: non quello in cui i due nemici si affrontano armi alla mano, né quello interno delle vittime civili, ma il fronte politico, dove le operazioni militari producono i loro effetti e incidono anche sulle fortune personali di chi le ha decise.
MISSILI SU GAZA
«In termini politici - sostiene Barnea - una manovra militare è sempre un rischio. Quello che appare come un'azione gloriosa può trasformarsi in un disastro elettorale». In parole povere, la sua "guerra elettorale" Netanyahu l'ha decisa, ordinando l'uccisione del capo militare di Hamas, Ahmed Jaabari, adesso è costretto a cercare una tregua altrettanto elettorale, possibilmente alzando le dita a V in segno di vittoria. Guerra ed elezioni, dunque, una coincidenza che in un paese come Israele s'è presentata molte volte.
HAMAS
Per restare nell'arco dell'ultima generazione, si potrebbe cominciare citando il caso delle elezioni del giugno 1981 che videro il leader laburista Shimon Peres, l'attuale presidente, sfidare il premier conservatore Menachem Begin. Il voto era stato fissato per la fine di giugno. Peres conduceva nei sondaggi. Tre settimane prima, il 7 giugno Begin ordinò l'Operazione "Babilonia", con cui venne chiamato in codice il bombardamento del reattore nucleare iracheno di Osyrak. Begin stravinse il duello elettorale.
ARIEL SHARON 00512AP
Nel 1996 Shimon Peres, succeduto provvisoriamente a Yitzhak Rabin, ucciso il 5 Novembre dell'anno prima, deve affrontare l'astro nascente del Likud, un Netanyahu che non ha ancora 45 anni. Il paese è sconvolto da un'ondata di attentati suicidi, la strategia di Hamas contro lo Stato ebraico, ma anche contro gli accordi di Oslo firmati da Yasser Arafat. Per tacitare l'opinione pubblica allarmata, l'11 aprile Peres ordina l'operazione "Grapes of Wrath", i frutti dell'ira, contro gli Hezbollah libanesi.
Ecco un esempio di quel fattore di rischio, d'imprevedibilità della guerra di cui parla Barnea. Il 18 Aprile l'artiglieria israeliana bombarda il campo profughi di Cana, gestito dalle Nazioni Unite, muoiono 111 rifugiati, e l'operazione si conclude in un disastro politico-diplomatico. Netanyahu vince per soli 15mila voti.
Neanche il consenso popolare che accompagna, all'inizio, certe operazioni militari può essere considerato una garanzia. All'inizio della Seconda guerra del Libano (luglio-agosto 2006), la decisione presa dal primi ministro del tempo, Ehud Olmert, godeva dell'80% dei consensi. Un mese dopo di quel consenso non c'era più traccia. Pesava, invece, la morte di oltre 100 soldati.
GILAD SHARON FIGLIO DI ARIEL SHARON
Talvolta, la "tenuta" politica non è garantita neanche in caso di vittoria. La prima guerra contro Hamas e contro Gaza, voluta da Ehud Olmert, non segnò certo una sconfitta militare per Israele. Ma i risultati sul piano dell'immagine furono disastrosi. Allora, come ora, i drammi delle vittime civili documentati dalle tv commossero e indignarono l'opinione pubblica. Il governo israeliano dovette acconsentire al una tregua che non ha certo risolto il conflitto, né diminuito la capacità offensiva di Hamas. E da allora la stella di Olmert cominciò a tramontare.
2 - SHARON JR: "RADERE AL SUOLO GAZA COME GLI AMERICANI CON HIROSHIMA"
Da "la Repubblica"
«Radere al suolo Gaza»: è l'unica opzione per sconfiggere Hamas secondo Gilad Sharon, figlio dell'ex premier israeliano Ariel Sharon. «Gli americani non si sono fermati a Hiroshima: dato che i giapponesi non si stavano arrendendo abbastanza in fretta, hanno colpito anche Nagasaki», ha scritto in un editoriale sul Jerusalem Postche ha scatenato un vespaio di commenti sui social network.
Alberto Stabile
PRINCIPALE PERICOLO PER LA PACE MONDIALE
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