Siria, l'Islam mette al bando Assad
NEL giorno in cui il mondo musulmano mette al bando Damasco e in cui il Consiglio di sicurezza annuncia che la missione di monitoraggio Onu in Siria non verrà rinnovata, l'aviazione del presidente Bashar al Assad ha compiuto la sua ennesima strage di civili. Stavolta le bombe dei Mig hanno colpito un villaggio a circa 50 chilometri a nord di Aleppo, Azaz, uccidendo almeno quaranta persone, tra cui molte donne e molti bambini. «Questo orribile attacco ha distrutto un intero quartiere residenziale», ha detto Anna Neistat, direttore di Human Rights Watch per le emergenze.
«Ancora una volta le forze del governo siriano hanno attaccato con un cinico disprezzo per la vita civile». Nel timore di altri raid, gli ospedali della cittadina hanno chiuso i battenti e i feriti sono ora costretti a fuggire in Turchia per potersi curare. Da Azaz è una fila continua di uomini e donne in auto, a piedi o in pulmino, che scappano per trovare protezione oltre confine.
Poche ore prima era giunta la notizia che l'Organizzazione per la cooperazione islamica (Oci) ha sospeso la Siria dai Paesi membri. Al termine del summit dell'Organizzazione che si è tenuto alla Mecca, in Arabia saudita, i partecipanti si sono trovati d'accordo sulla «necessità di mettere fine immediatamente agli atti di violenza», dichiarandosi fortemente inquieti per i massacri e gli atti inumani subiti dal popolo siriano. Solo Teheran, alleato storico del regime di Damasco, ha contestato questa sia pur simbolica decisione, dichiarandola «ingiusta».
Due giorni fa, il rapporto finale della Commissione di inchiesta delle Nazioni Unite aveva accusato le forze governative siriane e le milizie fedeli al regime di aver commesso crimini di guerra e contro l'umanità, sarebbe a dire omicidi, stupri e torture soprattutto sui civili. Sempre secondo il rapporto, anche gli insorti dell'Esercito libero siriano che combattono il regime di Assad hanno perpetrato crimini di guerra, ma le violazioni «non raggiungono la gravità, la frequenza e l'intensità» di quelli delle truppe lealiste. Riguardo al massacro di Houla, in cui lo scorso maggio si contarono 108 morti, tra cui 49 bambini, e che il regime attribuì agli insorti, o meglio ai «terroristi», la Commissione ha invece decretato che a compierlo furono proprio le milizie fedeli al presidente.
Quanto al mandato dell'Onu in Siria, che scade dopodomani, l'ambasciatore francese presso il Palazzo di vetro di New York, Gérard Araud, ha dichiarato che non sarà rinnovato perché «non ci sono le condizioni per il proseguimento della missione». I 101 osservatori militari ancora presenti in Siria lasceranno dunque Damasco nei prossimi giorni. Il Consiglio di sicurezza ha tuttavia trovato un accordo sull'apertura di un ufficio nella capitale siriana per sostenere gli sforzi internazionali destinati a porre fine al conflitto.
Sempre ieri, cinque paesi arabi del Golfo hanno chiesto ai loro connazionali di lasciare il Libano a causa dei rischi per la sicurezza legati all'aggravarsi della crisi in Siria. Si tratta di Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Qatar, Bahrein e Kuwait, che temono possibili rappresaglie di sciiti (vicini agli alauiti di Assad) contro quei cittadini di Paesi sunniti che sostengono gli oppositori al regime di Damasco.
E sono ormai 2,5 milioni le persone colpite dall'emergenza umanitaria in Siria: un numero più che raddoppiato negli ultimi quattro mesi. «Le persone sono stanche, vogliono far ritorno alle loro case, ma il dato cruciale che fa la differenza è metter fine ai combattimenti», ha detto l'inviato dell'Onu a Damasco, Valérie Amos.
Pietro Del Re
Kurdistan, l' altra guerra di Assad Arma l' offensiva del Pkk in Turchia
KILIS (Confine turco-siriano) - I carri armati turchi sono schierati in ordine sparso, nascosti tra gli alberi di una collina che sovrasta un' ampia pianura. Hanno il cannone puntato verso Aleppo, anche se il loro obiettivo non è né l' Esercito libero siriano né quello fedele al regime di Damasco. I tank di Ankara mirano altri nemici, più interni e più insidiosi: i ribelli curdi del Pkk che, dopo aver trovato rifugio in Siria, hanno lanciato una grande offensiva con centinaia di miliziani nel Kurdistan turco. Il rincrudirsi di quest' annosa guerra all' ombra del recente e sanguinoso conflitto siriano ha già provocato, in Turchia, centocinquanta morti dal 23 luglio scorso. Due giorni fa, per la prima volta dall' inizio della rivolta armata del Pkk, i ribelli hanno sequestrato un parlamentare turco, il deputato dell' opposizione socialdemocratica Huseyin Aygun. L' ultimo attacco armato della "primavera curda" risale al 5 agosto, e s' è svolto proprio lungo questo confine, quando alcuni miliziani hanno assaltato tre avamposti militari e ucciso 8 soldati turchi. Di questo risveglio militare, Ankara accusa Damasco, sostenendo che gli attacchi sono stati perpetrati dai ribelli curdi con lanciarazzi Rpg7 forniti dai servizi siriani. Sempre secondo le autorità turche, il regime del presidente Bashar al Assad avrebbe consegnato al partito curdo siriano Pyd, vicino al Pkk, il controllo di cinque province del nord lungo la frontiera con la Turchia. E lo avrebbe fatto per contrastare la ribellione degli oppositori locali al regime. «Durante le manifestazioni contro Assad, ci capita spesso di essere aggrediti da esponenti del Pkk armati da Damasco», racconta Hossam Sayda, uno degli organizzatori delle proteste. «Tra gli attivisti curdi ce ne sono molti di estrazione pacifista ma la maggior parte sostiene l' Esercito libero siriano, che già controlla le aree di alcune città. Non si capisce se quelle regioni "liberate" siano già un pezzo della Siria post-Assad o un tassello di un possibile, nuovo Kurdistan». La prima conseguenza internazionale della guerra civile in Siria è dunque l' inasprirsi di un conflitto mai sopito, quello tra Ankara e il braccio armato dei secessionisti del "Kurdistan turco", una lotta che dura da 28 anni e che ha mietuto almeno 40 mila vittime, per lo più curde. La risposta del premier turco Recep Tayyip Erdogan non si è fatta attendere, soprattutto alla luce della nuova alleanza che il Pkk ha stretto in chiave antiturca con il potere siriano. Un' Alleanza che molti analisti interpretano anche come la vendetta dell' appoggio turco alla ribellione siriana sunnita contro il regime alauita di Assad. Dopo aver minacciato di inseguire i "terroristi" curdi anche oltre il confine siriano, il premier turco ha dispiegato mezzi corazzati e tank lungo quel tratto di frontiera. Il suo governo ha anche chiuso ai civili sette aree della provincia di Hakkari, nell' Anatolia orientale, teatro di violenti scontri nelle ultime due settimane. Queste "zone militari" sono state vietate anche ai giornalisti e ai deputati dell' opposizione. Alcuni testimoni raccontano che l' esercito turcoe il Pkk combattono in queste ore una battaglia con diverse centinaia di uomini per parte. Dal 1979, quando Abdullah Ocalan, assieme ai vertici del Pkk che aveva appena fondato, trovò per vent' anni ospitalità a Damasco, la Siria era governata da Hafez al Hassad, padre di Bashar. Oggi come allora, il regime sembra utilizzare i ribelli curdi per punzecchiare il Paese confinante. Venerdì scorso, Ankara ha ricevuto l' appoggio di Washington: in visitaa Istanbul, il segretario di Stato americano, Hillary Clinton, ha detto che la Siria non deve diventare un «santuario per i terroristi del Pkk». E del sostegno degli Stati Uniti, lo Stato turco ha gran bisogno: se Assad rimanesse al suo posto, Ankara avrebbe per vicino un Paese sempre pronto a proteggere e armare i suoi storici nemici; se invece il regime di Damasco cadesse, il Consiglio nazionale siriano, diretto dal curdo Abdel Basset Sayda, farebbe di tutto per offrire alla minoranza l' autonomia che rivendica da decenni.
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