giovedì 23 agosto 2012

SIRIA

Siria, l' Islam mette al bando Assad
NEL giorno in cui il mondo musulmano mette al bando Damasco e in cui il Consiglio di sicurezza annuncia che la missione di monitoraggio Onu in Siria non verrà rinnovata, l' aviazione del presidente Bashar al Assad ha compiuto la sua ennesima strage di civili. Stavolta le bombe dei Mig hanno colpito un villaggio a circa 50 chilometri a nord di Aleppo, Azaz, uccidendo almeno quaranta persone, tra cui molte donne e molti bambini. «Questo orribile attacco ha distrutto un intero quartiere residenziale», ha detto Anna Neistat, direttore di Human Rights Watch per le emergenze. «Ancora una volta le forze del governo siriano hanno attaccato con un cinico disprezzo per la vita civile». Nel timore di altri raid, gli ospedali della cittadina hanno chiuso i battenti e i feriti sono ora costretti a fuggire in Turchia per potersi curare. Da Azaz è una fila continua di uomini e donne in auto, a piedi o in pulmino, che scappano per trovare protezione oltre confine. Poche ore prima era giunta la notizia che l' Organizzazione per la cooperazione islamica (Oci) ha sospeso la Siria dai Paesi membri. Al termine del summit dell' Organizzazione che si è tenuto alla Mecca, in Arabia saudita, i partecipanti si sono trovati d' accordo sulla «necessità di mettere fine immediatamente agli atti di violenza», dichiarandosi fortemente inquieti per i massacri e gli atti inumani subiti dal popolo siriano. Solo Teheran, alleato storico del regime di Damasco, ha contestato questa sia pur simbolica decisione, dichiarandola «ingiusta». Due giorni fa, il rapporto finale della Commissione di inchiesta delle Nazioni Unite aveva accusato le forze governative siriane e le milizie fedeli al regime di aver commesso crimini di guerra e contro l' umanità, sarebbe a dire omicidi, stupri e torture soprattutto sui civili. Sempre secondo il rapporto, anche gli insorti dell' Esercito libero siriano che combattono il regime di Assad hanno perpetrato crimini di guerra, ma le violazioni «non raggiungono la gravità, la frequenza e l' intensità» di quelli delle truppe lealiste. Riguardo al massacro di Houla, in cui lo scorso maggio si contarono 108 morti, tra cui 49 bambini, e che il regime attribuì agli insorti, o meglio ai «terroristi», la Commissione ha invece decretato che a compierlo furono proprio le milizie fedeli al presidente. Quanto al mandato dell' Onu in Siria, che scade dopodomani, l' ambasciatore francese presso il Palazzo di vetro di New York, Gérard Araud, ha dichiarato che non sarà rinnovato perché «non ci sono le condizioni per il proseguimento della missione». I 101 osservatori militari ancora presenti in Siria lasceranno dunque Damasco nei prossimi giorni. Il Consiglio di sicurezza ha tuttavia trovato un accordo sull' apertura di un ufficio nella capitale siriana per sostenere gli sforzi internazionali destinati a porre fine al conflitto. Sempre ieri, cinque paesi arabi del Golfo hanno chiesto ai loro connazionali di lasciare il Libano a causa dei rischi per la sicurezza legati all' aggravarsi della crisi in Siria. Si tratta di Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Qatar, Bahrein e Kuwait, che temono possibili rappresaglie di sciiti (vicini agli alauiti di Assad) contro quei cittadini di Paesi sunniti che sostengono gli oppositori al regime di Damasco. E sono ormai 2,5 milioni le persone colpite dall' emergenza umanitaria in Siria: un numero più che raddoppiato negli ultimi quattro mesi. «Le persone sono stanche, vogliono far ritorno alle loro case, ma il dato cruciale che fa la differenza è metter fine ai combattimenti», ha detto l' inviato dell' Onu a Damasco, Valérie Amos.


Kurdistan, l' altra guerra di Assad Arma l' offensiva del Pkk in Turchia
KILIS (Confine turco-siriano) - I carri armati turchi sono schierati in ordine sparso, nascosti tra gli alberi di una collina che sovrasta un' ampia pianura. Hanno il cannone puntato verso Aleppo, anche se il loro obiettivo non è né l' Esercito libero siriano né quello fedele al regime di Damasco. I tank di Ankara mirano altri nemici, più interni e più insidiosi: i ribelli curdi del Pkk che, dopo aver trovato rifugio in Siria, hanno lanciato una grande offensiva con centinaia di miliziani nel Kurdistan turco. Il rincrudirsi di quest' annosa guerra all' ombra del recente e sanguinoso conflitto siriano ha già provocato, in Turchia, centocinquanta morti dal 23 luglio scorso. Due giorni fa, per la prima volta dall' inizio della rivolta armata del Pkk, i ribelli hanno sequestrato un parlamentare turco, il deputato dell' opposizione socialdemocratica Huseyin Aygun. L' ultimo attacco armato della "primavera curda" risale al 5 agosto, e s' è svolto proprio lungo questo confine, quando alcuni miliziani hanno assaltato tre avamposti militari e ucciso 8 soldati turchi. Di questo risveglio militare, Ankara accusa Damasco, sostenendo che gli attacchi sono stati perpetrati dai ribelli curdi con lanciarazzi Rpg7 forniti dai servizi siriani. Sempre secondo le autorità turche, il regime del presidente Bashar al Assad avrebbe consegnato al partito curdo siriano Pyd, vicino al Pkk, il controllo di cinque province del nord lungo la frontiera con la Turchia. E lo avrebbe fatto per contrastare la ribellione degli oppositori locali al regime. «Durante le manifestazioni contro Assad, ci capita spesso di essere aggrediti da esponenti del Pkk armati da Damasco», racconta Hossam Sayda, uno degli organizzatori delle proteste. «Tra gli attivisti curdi ce ne sono molti di estrazione pacifista ma la maggior parte sostiene l' Esercito libero siriano, che già controlla le aree di alcune città. Non si capisce se quelle regioni "liberate" siano già un pezzo della Siria post-Assad o un tassello di un possibile, nuovo Kurdistan». La prima conseguenza internazionale della guerra civile in Siria è dunque l' inasprirsi di un conflitto mai sopito, quello tra Ankara e il braccio armato dei secessionisti del "Kurdistan turco", una lotta che dura da 28 anni e che ha mietuto almeno 40 mila vittime, per lo più curde. La risposta del premier turco Recep Tayyip Erdogan non si è fatta attendere, soprattutto alla luce della nuova alleanza che il Pkk ha stretto in chiave antiturca con il potere siriano. Un' Alleanza che molti analisti interpretano anche come la vendetta dell' appoggio turco alla ribellione siriana sunnita contro il regime alauita di Assad. Dopo aver minacciato di inseguire i "terroristi" curdi anche oltre il confine siriano, il premier turco ha dispiegato mezzi corazzati e tank lungo quel tratto di frontiera. Il suo governo ha anche chiuso ai civili sette aree della provincia di Hakkari, nell' Anatolia orientale, teatro di violenti scontri nelle ultime due settimane. Queste "zone militari" sono state vietate anche ai giornalisti e ai deputati dell' opposizione. Alcuni testimoni raccontano che l' esercito turcoe il Pkk combattono in queste ore una battaglia con diverse centinaia di uomini per parte. Dal 1979, quando Abdullah Ocalan, assieme ai vertici del Pkk che aveva appena fondato, trovò per vent' anni ospitalità a Damasco, la Siria era governata da Hafez al Hassad, padre di Bashar. Oggi come allora, il regime sembra utilizzare i ribelli curdi per punzecchiare il Paese confinante. Venerdì scorso, Ankara ha ricevuto l' appoggio di Washington: in visitaa Istanbul, il segretario di Stato americano, Hillary Clinton, ha detto che la Siria non deve diventare un «santuario per i terroristi del Pkk». E del sostegno degli Stati Uniti, lo Stato turco ha gran bisogno: se Assad rimanesse al suo posto, Ankara avrebbe per vicino un Paese sempre pronto a proteggere e armare i suoi storici nemici; se invece il regime di Damasco cadesse, il Consiglio nazionale siriano, diretto dal curdo Abdel Basset Sayda, farebbe di tutto per offrire alla minoranza l' autonomia che rivendica da decenni.


Siria, la minaccia di Obama al regime Pronti a intervenire se usa armi chimiche
IL PRESIDENTE americano Barack Obama rompe gli indugi e torna a minacciare Assad. «L' uso di armi chimiche e biologiche sarebbe una linea rossa per un possibile intervento militare in Siria», ha detto durante una conferenza stampa a sorpresa alla Casa Bianca, rispondendo a una domanda sul possibile uso di armi chimiche o batteriologiche da parte del regime di Damasco. Intanto, sempre ieri, è apparsa una notizia alquanto ghiotta, sebbene a pubblicarla sia stato il sito web di una televisione russa in lingua araba, il quale cita una fonte coperta da anonimato. Eccola: «Un alto ufficiale dell' esercito siriano è morto in un ospedale di Mosca e il suo corpo è stato portato a Damasco nel fine settimana a bordo di un volo speciale». Appena apparsa online su Russia Today, la nuova ha scatenato una ridda di ipotesi che convergono tutte verso la seguente congettura: la salma rientrata a Damasco sarebbe quella di Maher al Assad, fratello del presidente e capo della feroce Guardia repubblicana, rimasto gravemente ferito nell' attentato del 18 luglio a Damasco. Da settimane corrono voci secondo cui in quell' attacco Maher avrebbe perso entrambe le gambe e che da allora starebbe lottando «tra la vita e la morte». Voci mai smentite dal regime siriano, il quale ieri ha tuttavia negato la morte di alto ufficiale dell' esercito in un ospedale di Mosca: una nota del ministero dell' Informazione di Damasco giudica la notizia riportata dalla tv russa «infondata e riconducibile alla guerra psicologica contro la Siria». Ad infittire il giallo ci hanno però pensato altri media arabi, confermando la morte del fratello del presidente. Fatto sta che dal 18 luglio Maher non è mai apparso in pubblico. In serata, l' esplosione di un' autobomba attivata a distanza nella città turca di Gaziantep, nell' Anatolia Sud Orientale, non lontano dal confine siriano, ha provocato almeno 8 morti e diversi feriti. Nessuno ha ancora rivendicato l' attentato, ma la polizia non esclude nessuna pista, neanche quella dei ribelli curdi del Pkk, che hanno trovato rifugio nella Siria di Assad. La tv panaraba Al Jazeera ha riportato di una giornalista giapponese rimasta gravemente ferita nel corso di un bombardamento dell' artiglieria dell' esercito lealista nel quartiere Suleimaniye di Aleppo. La reporter di cui non si conoscono ancora le generalità sarebbe stata subito trasportata in ospedale. Dal marzo 2011, tre giornalisti stranieri sono stati uccisi in Siria: Gilles Jacquier, reporter di France 2 deceduto l' 11 gennaio a Homs, la statunitense Marie Colvin del Sunday Times e il francese Remi Ochlik, fotografo, entrambi morti il 22 febbraio sempre a Homs, nel bombardamento di un centro stampa improvvisato dagli insorti. Intanto, mentre i Mig del regime continuano a mietere vittime a Damasco, Aleppo e Daraa (dove solo nella giornata di domenica si sono contati 170 morti), la Turchia fa sapere che ha già accolto quasi settantamila profughi dalla Siria e che se tale cifra supererà le centomila unità non ci sarà più spazio per ospitarne altri. Il ministro degli Esteri di Ankara, Ahmet Davutoglu, ha quindi sollecitato le Nazioni Unite a creare una zona-cuscinetto direttamente in territorio siriano dove allestire campi per gli sfollati interni.

Pietro Del Re


Siria, gli insorti resistono ad Aleppo
CARRI armati, colpi d' artiglieria, cecchini. Non risparmiano nulla del loro arsenale le truppe di Bashar Assad per cercare di riprendersi i quartieri di Aleppo in cui si nascondono ancora i ribelli, che nonostante la pressione sempre più forte delle forze regolari, mantengono disperate sacche di resistenza. I combattenti dell' Esercito libero siriano, quasi a corto di munizioni e armati perlopiù di fucili e lanciagranate, restano ad al-Shaar, Hananu, Saif-al Dawla, Salaheddin. E, anche se hanno rafforzato il controllo dei villaggi "liberati" verso il confine turco, come quello di Azaz, cruciali nel garantire l' approvvigionamento di farmaci e armi, i lealisti continuano a straziare di bombe Dara' a e Homs. È qui, nella città occidentale da cui ieri è fuggito verso la Giordania il vice-comandante della polizia, che si consuma la «carneficina» del giorno denunciata dall' opposizione. Accompagnate dalle temibili milizie shabiha, le forze di Assad si fanno strada a suon di bombe. Per ore. Poi, dagli altoparlanti dei muezzin chiedono ai cittadini di radunarsi di fronte alla moschea di Bilal. Dei 350 che arrivano, dieci vengono giustiziati. Sommariamente, davanti a tutti. «Un massacro avvenuto con la partecipazione dell' Iran», accusa l' Esercito libero siriano promettendo una rappresaglia che «colpirà al cuore» il regime, alleato di Teheran. Magari con un attacco similea quello che il 18 luglio straziò quattro alti funzionari della sicurezza siriana, cognato di Assad compreso. Eppure, di fronte alla potenza di fuoco del regime, i ribelli iniziano ad arretrare. Non a caso, il capo del Consiglio nazionale siriano, Abdelbasset Sida, accoglie con favore le aperture di Usa e Turchia sulla possibilità di una "no-fly zone" per aiutarli contro l' aviazione di Damasco. Una soluzione più incisiva, rispetto al fallito piano di pace di Kofi Annan, è auspicata con ogni probabilità anche dalla Lega Araba. Che ieri, a causa dell' assenza per un intervento chirurgico del cruciale capo della diplomazia saudita, ha rinviato la riunione in cui avrebbe dovuto esprimersi sulla nomina da parte dell' Onu del nuovo inviato speciale per la Siria, l' algerino Lakhdar Brahmini. Nella capitale i ribelli cercano di resistere con metodi da guerriglia, come quelli che ieri hanno innescato intense battaglie nel centro e nel sobborgo settentrionale di al-Tal. Tra i 15 civili morti, c' era anche un ex militare diventato freelance per Al Arabiya. Un altro cronista è stato invece ucciso nella sua casa: la sua "colpa" era di lavorare per l' agenzia ufficiale Sana, megafono di Assad. Con loro sale a cinque il bilancio dei giornalisti uccisi da gennaio in questa guerra in cui informazione e disinformazione sono parte integrante degli arsenali in campo. Reporters sans Frontières ha lanciato un appello perché non siano più presi di mira i giornalisti.

Valeria Fraschetti


Navi spia, droni e commando la guerra segreta di Londra e Berlino per abbattere il regime siriano
BERLINO - Generazioni or sono, furono nemici giurati in due guerre mondiali, poi alleati nella Nato durante la guerra fredda. Oggi sono in prima linea insieme per l' Europa, nella guerra di spie tra la dittatura di Assade il mondo civile. Sembra una trama degna di John Le Carré o di Ian Fleming, ma qui gli eroi in azione restano senza nome né volto. Agli ordini di David Cameron e di Angela Merkel. Parliamo del leggendario MI5, il servizio segreto di Sua Maestà britannica, e del Bundesnachrichtendienst (Bnd), l' intelligence tedesca. Le loro informazioni, raccolte con le tecnologie più sofisticate, forniscono agli insorti siriani notizie preziose,e secondo i media dei due Paesi anche addestramento. È una guerra segreta, con a fianco i droni da spionaggio della U.S. Air Force, ed è difficile immaginare che il dittatore di Damasco possa vincerla. «Il regime di Assadè vicino alla fine». Con toni insolitamente espliciti, ci ha pensato Gerhard Schindler, il giurista nuovo presidente del Bnd, a fornire l' analisi della situazione. Il suo collega Jonathan Evans, direttore dell' MI5, sicuramente la condivide, i due si conoscono e si stimano. L' alleanza è operativa, sul posto. Una nave-spia della Bundesmarine, la marina federale, ufficialmente registrata come Flottendienstboot, nave di servizio e assistenza, incrocia per il Bnd al largo della costa siriana. Ha a bordo gli apparati di sorveglianza lontana più moderni, sviluppati dai tedeschi insieme al Regno Unito. Può controllare ogni movimento delle truppe di Assad, fino a seicento chilometri in profondità nel territorio siriano. In tempo reale, le trasmette ai colleghi britannici, e agli americani. E a un altro alleato-chiave, che ci tiene a mantenere un profilo basso di facciata: la Turchia. Nella base Nato di Adana, uno dei siti più importanti della modernissima aviazione turca nell' area sono ormai stazionati, rivela Bild, specialisti del Bnd. A un passo dalle piste dove gli F16 ultima versione di Erdogan sono pronti al decollo su allarme per annientare ogni minaccia siriana, i tedeschi intercettano telefonate e comunicazioni radio, e mantengono i contatti con i ribelli. «Nessun altro servizio segreto occidentale ha fonti così buone in Siria come il Bnd», dichiara un ufficiale dell' intelligence Usa. Il Bnd ricambia la cortesia: «Siamo fieri di dare un contributo importante alla caduta del regime». Insieme ai tedeschi, i britannici operano da Akrotiri e Dhekelia, le loro basi a Cipro. E sui monti c' è il potentissimo centro di ascolto britannico, "l' occhio dell' Inghilterra" lo chiamanoi ciprioti da decenni. Ci sarebbero anche Droni da ricognizione. L' operazione non finisce qui. Veterani dello Special air service, il mitico corpo speciale britannico, secondo quando hanno raccontato i media inglesi e tedeschi addestrano i migliori reparti delle forze ribelli siriane. Ufficialmente non sono più in servizio, lavorano per aziende di vigilanza e sicurezza private, ma la competenza è quella, e l' appoggio politico è tutto con loro. Gli 007 del Regno Unito, rivela il Times, hanno aiutato e dato supporto logistico ai rivoluzionari in azioni contro le truppe di Assad, compresa un' imboscata contro 40 mezzi blindati diretti verso una città. Infiltrare, prevenire, dissimularsi, puntare sul doppio gioco di agenti locali, sono sempre stati i segreti del successo dello MI5, che il Bnd ha imparato a dovere. Partendo da Cipro, gli agenti speciali inglesi raggiungono le basi turche, poi penetrano in territorio siriano ed entrano in azione. E centinaia di soldati delle forze speciali britanniche, Usa, israeliane si tengono pronte, quando il regime cadrà, a prendere il controllo del micidiale arsenale chimico del regime del presidente siriano Assad.

Andrea Tarquini


“Aiuti umanitari e mediazione politica così stiamo costruendo il dopo-Assad” 

La crisi siriana è giunta ad un punto di svolta. E può essere una svolta tanto per il popolo siriano che ha subito sofferenze e violenze intollerabili, quanto per la regione.
Il regime di Assad, infatti, dopo aver provato invano, per contenere l'opposizione, a giocare sul "divide et impera" interno e sullo spauracchio del fondamentalismo islamico (ma i siriani sono in maggioranza musulmani moderati) e del terrorismo (sponsorizzato di frequente dal regime stesso) è ricorso al tentativo di regionalizzare la crisi alimentando scontri al confine con Giordania, Libano e Turchia. Il Libano, proprio in quanto esempio di democrazia interconfessionale in Medio Oriente è esposto a costanti tentativi di destabilizzazione, come indicano la spirale di "rapimenti settari" sotto la regia Teheran-Damasco ed il caso di Samaha, l'ex ministro per l'informazione libanese, recentemente arrestato, che programmava attentati terroristici nel nord del suo Paese su istruzioni di Damasco.
La liberazione del popolo siriano e una maggiore distensione regionale vanno, quindi, di pari passo. E sempre più evidente che solo una Siria unita e democratica può diventare un fattore di rassicurazione e stabilità per l'intero Medio Oriente; viceversa una transizione democratica incompiuta condannerebbe la Siria ad una instabilità prolungata che lascerebbe campo libero alle interferenze esterne da parte di forze interessate al caos permanente (è il caso dei gruppi terroristici) o alla modifica in chiave egemonica, degli equilibri regionali (Iran). Per non parlare del pericolo della proliferazione di armi di distruzione di massa (la Siria possiede il maggior arsenale di armi chimiche e biologiche in Medio Oriente).
Con una posta in gioco così alta, che include la nostra "responsabilità di proteggere" e la stabilità regionale, è fortemente sentito, nella comunità internazionale e soprattutto tra i Paesi like minded (il Gruppo dei Paesi "Amici del popolo siriano" di cui l'Italia è parte) il senso di urgenza, la necessità di accelerare i tempi per fermare il conflitto e consentire alla Siria di voltare pagina. La strategia comune si sta sviluppando su due fronti tra loro sempre più interconnessi. Nell'immediato, l'assistenza, in tutte le maniere possibili, con la sola eccezione dell'intervento militare, al popolo e all'opposizione siriani per aiutarli a resistere al regime e a prepararsi alla transizione; l'avvio, allo stesso tempo, dei piani su come aiutare la Siria nel dopo — Assad, nel "day after", per la sua piena stabilizzazione politica ed economica. La crisi dell'attuale regime è ormai un dato irreversibile. Lo indicano la crescente "fatigue" dell'esercito e il ricorso non più solo alle milizie interne, le shabiha, ma anche alle 'legioni straniere' (tra i quarantotto sciiti iraniani rapiti a Damasco il 4 agosto vi sarebbero, asseritamente, anche diversi pasdaran ed ex-militari), il numero crescente di defezioni "eccellenti", la resistenza ad oltranza dell'opposizione armata, malgrado la sua inferiorità militare. I tempi quindi si avvicinano per una transizione ormai inevitabile, che dovrà essere guidata dal popolo siriano, ma che la comunità internazionale ha il dovere morale, oltre che l'interesse, a sostenere.
L'Italia sta operando in maniera attiva su entrambi questi fronti. Stiamo offrendo concretamente, in varie forme, il nostro sostegno al popolo e all'opposizione siriani. Abbiamo mantenuto un rapporto stretto con il Syrian National Council, l'organizzazione "ombrello" dell'opposizione siriana, i cui responsabili abbiamo ospitato più volte a Roma. Stiamo allo stesso tempo impegnando nel dialogo anche le altre componenti della variegata opposizione siriana, rappresentative delle diverse realtà locali all'interno del Paese, con le quali abbiamo in programma una serie di incontri politici in settembre a Roma. Continuiamo, in raccordo con la Lega Araba ed i nostri principali partner, la nostra azione di persuasione sull'opposizione permettere da parte le restanti rivalità e costituire un cartello politico che possa diventare la base di riferimento per avviare la transizione. Stiamo inoltre considerando, sulla scia di alcuni nostri principali alleati, la fornitura all'opposizione di strumenti di comunicazione utili per poter prevenire attacchi contro civili, soprattutto donne e bambini. Sul piano umanitario abbiamo realizzato e stiamo preparando numerose iniziative in favore dei rifugiati e feriti siriani nei paesi limitrofi, dal Libano, alla Giordania e alla Turchia e, da ultimo, in favore della popolazione di Aleppo.
Stiamo inoltre impostando la nostra azione per il dopo-Assad. Abbiamo al riguardo proposto l'iniziativa di una riflessione informale a Roma nei prossimi giorni con un gruppo di alleati e Paesi partner per approfondire ruolo e responsabilità internazionali nella Siria del dopo-Assad. Una riflessione che toccherà gli aspetti della sicurezza, dell'institution building, la ricostruzione economica e gli aspetti umanitari. L'Unione europea dovrà a nostro avviso svolgere un ruolo di primo piano soprattutto sul fronte umanitario e del consolidamento delle istituzioni della Siria democratica. Ma dobbiamo essere pronti a partire subito anche sul piano bilaterale, con iniziative per il consolidamento delle istituzioni e la ricostruzione economica. Ho per questo motivo deciso l'istituzione di una Task Force sulla Siria all'interno del Ministero degli Esteri e proposto la creazione di un apposito Tavolo interministeriale. La crisi siriana è un'assoluta priorità della nostra politica estera e dobbiamo continuare ad essere all'altezza della sfida.

Giulio Terzi

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