Dal Bangladesh alla Tunisia, dal Kashmir al Marocco, dal Sudan all’Iraq, perfino in Israele a Tel Aviv, un’ondata di rabbia ha coinvolto ieri migliaia di musulmani contro il film che offende il Profeta e il Paese dove sarebbe stato prodotto, l’America. Dopo l’assalto al consolato Usa di Bengasi e l’uccisione, martedì notte, di quattro cittadini statunitensi tra cui l’ambasciatore a Tripoli, è stato soprattutto in Yemen e in Egitto che ieri si è temuto. A Sanaa, alleata degli Stati Uniti nella lotta contro Al Qaeda che nel Sud del Paese ha una sua roccaforte, centinaia di persone hanno sfondato i cancelli dell’ambasciata Usa gridando «oh Messaggero di Dio siamo pronti al sacrificio ». All’interno del compound fortificato è scoppiato un incendio, mentre auto venivano date alle fiamme subito fuori, la polizia sparava. Quattro persone sono state uccise, una dozzina ferite. In Egitto, per il terzo giorno davanti all’ambasciata Usa del Cairo, a un passo da piazza Tahrir, si sono viste scene di guerriglia, con centinaia di manifestanti: molotov, lacrimogeni, bandiere bruciate e quella innalzata sull’edificio strappata, scontri con la polizia, almeno trenta feriti. Mentre il presidente Mohammed Morsi volava in Italia, in America la preoccupazione sui rapporti con il Cairo era evidente. Già costretto ad affrontare in piena campagna elettorale la crisi diplomatica con Israele, per via dell’Iran, il presidente ha ammesso che l’instabilità del più importante Paese arabo, se confermata, porrebbe «davvero un problema serio». L’amministrazione Obama ha preso le distanze dal video diffuso su YouTube e bloccato per ora solo in Afghanistan per timore di sollevazioni. Ancora ieri il segretario di Stato Hillary Clinton l’ha definito «disgustoso e riprovevole». Ma non è bastato. Perfino nella piccola Striscia di Gaza ieri sono scesi in piazza in qualche decina: inmancanza di sedi diplomatiche Usa la protesta è avvenuta davanti agli uffici dell’Onu. Lo stesso a Teheran dove è toccato alla Svizzera, che rappresenta gli Usa dalla chiusura della loro ambasciata nel 1979, di assistere alle urla di gruppi inferociti: «Marg-bar Amrìka» (morte all’America). Ieri nessun rappresentante di Washington è stato colpito ma l’allarme è altissimo e Obama ha inviato verso le coste libiche due caccia-torpedinieri con missili, nonché marines e droni. La sicurezza delle sedi Usa è stata rafforzata e l’allerta è massima anche in Europa: a Berlino il consolato americano è stato evacuato dopo il ritrovamento di una busta sospetta, per fortuna un falso allarme. La nuova ondata di violenze antiamericane nel mondo islamico va infatti ben oltre il motivo che in apparenza l’ha scatenata, quell’assurdo quanto ancora misterioso filmato. A lungo soffocato dalle dittature alleate di Washington, il sentimento popolare che vede negli Stati Uniti un nemico soprattutto per l’appoggio a Israele si sta fondendo con l’emergere delle frange islamiche più estremiste. E questo preoccupa non solo Washington, ma il mondo intero, compresi i milioni di cittadini dei Paesi arabi convinti o fiduciosi, solo un anno fa, che la caduta dei loro raìs fosse l’inizio di una vita normale, libera e in pace.
Questo Blog si propone di dare risposta agli interrogativi e alle polemiche che più frequentemente hanno per oggetto la religione islamica e il Corano. Tale attività è particolarmente necessaria in Italia, data la totale disinformazione che gli italiani hanno sulla religione di un miliardo seicento milioni di musulmani in tutto il mondo.
venerdì 14 settembre 2012
LA PROVOCAZIONE
Scontri e assalti alle ambasciate. Esplode l’ira contro l’America
Dal Bangladesh alla Tunisia, dal Kashmir al Marocco, dal Sudan all’Iraq, perfino in Israele a Tel Aviv, un’ondata di rabbia ha coinvolto ieri migliaia di musulmani contro il film che offende il Profeta e il Paese dove sarebbe stato prodotto, l’America. Dopo l’assalto al consolato Usa di Bengasi e l’uccisione, martedì notte, di quattro cittadini statunitensi tra cui l’ambasciatore a Tripoli, è stato soprattutto in Yemen e in Egitto che ieri si è temuto. A Sanaa, alleata degli Stati Uniti nella lotta contro Al Qaeda che nel Sud del Paese ha una sua roccaforte, centinaia di persone hanno sfondato i cancelli dell’ambasciata Usa gridando «oh Messaggero di Dio siamo pronti al sacrificio ». All’interno del compound fortificato è scoppiato un incendio, mentre auto venivano date alle fiamme subito fuori, la polizia sparava. Quattro persone sono state uccise, una dozzina ferite. In Egitto, per il terzo giorno davanti all’ambasciata Usa del Cairo, a un passo da piazza Tahrir, si sono viste scene di guerriglia, con centinaia di manifestanti: molotov, lacrimogeni, bandiere bruciate e quella innalzata sull’edificio strappata, scontri con la polizia, almeno trenta feriti. Mentre il presidente Mohammed Morsi volava in Italia, in America la preoccupazione sui rapporti con il Cairo era evidente. Già costretto ad affrontare in piena campagna elettorale la crisi diplomatica con Israele, per via dell’Iran, il presidente ha ammesso che l’instabilità del più importante Paese arabo, se confermata, porrebbe «davvero un problema serio». L’amministrazione Obama ha preso le distanze dal video diffuso su YouTube e bloccato per ora solo in Afghanistan per timore di sollevazioni. Ancora ieri il segretario di Stato Hillary Clinton l’ha definito «disgustoso e riprovevole». Ma non è bastato. Perfino nella piccola Striscia di Gaza ieri sono scesi in piazza in qualche decina: inmancanza di sedi diplomatiche Usa la protesta è avvenuta davanti agli uffici dell’Onu. Lo stesso a Teheran dove è toccato alla Svizzera, che rappresenta gli Usa dalla chiusura della loro ambasciata nel 1979, di assistere alle urla di gruppi inferociti: «Marg-bar Amrìka» (morte all’America). Ieri nessun rappresentante di Washington è stato colpito ma l’allarme è altissimo e Obama ha inviato verso le coste libiche due caccia-torpedinieri con missili, nonché marines e droni. La sicurezza delle sedi Usa è stata rafforzata e l’allerta è massima anche in Europa: a Berlino il consolato americano è stato evacuato dopo il ritrovamento di una busta sospetta, per fortuna un falso allarme. La nuova ondata di violenze antiamericane nel mondo islamico va infatti ben oltre il motivo che in apparenza l’ha scatenata, quell’assurdo quanto ancora misterioso filmato. A lungo soffocato dalle dittature alleate di Washington, il sentimento popolare che vede negli Stati Uniti un nemico soprattutto per l’appoggio a Israele si sta fondendo con l’emergere delle frange islamiche più estremiste. E questo preoccupa non solo Washington, ma il mondo intero, compresi i milioni di cittadini dei Paesi arabi convinti o fiduciosi, solo un anno fa, che la caduta dei loro raìs fosse l’inizio di una vita normale, libera e in pace.
Dal Bangladesh alla Tunisia, dal Kashmir al Marocco, dal Sudan all’Iraq, perfino in Israele a Tel Aviv, un’ondata di rabbia ha coinvolto ieri migliaia di musulmani contro il film che offende il Profeta e il Paese dove sarebbe stato prodotto, l’America. Dopo l’assalto al consolato Usa di Bengasi e l’uccisione, martedì notte, di quattro cittadini statunitensi tra cui l’ambasciatore a Tripoli, è stato soprattutto in Yemen e in Egitto che ieri si è temuto. A Sanaa, alleata degli Stati Uniti nella lotta contro Al Qaeda che nel Sud del Paese ha una sua roccaforte, centinaia di persone hanno sfondato i cancelli dell’ambasciata Usa gridando «oh Messaggero di Dio siamo pronti al sacrificio ». All’interno del compound fortificato è scoppiato un incendio, mentre auto venivano date alle fiamme subito fuori, la polizia sparava. Quattro persone sono state uccise, una dozzina ferite. In Egitto, per il terzo giorno davanti all’ambasciata Usa del Cairo, a un passo da piazza Tahrir, si sono viste scene di guerriglia, con centinaia di manifestanti: molotov, lacrimogeni, bandiere bruciate e quella innalzata sull’edificio strappata, scontri con la polizia, almeno trenta feriti. Mentre il presidente Mohammed Morsi volava in Italia, in America la preoccupazione sui rapporti con il Cairo era evidente. Già costretto ad affrontare in piena campagna elettorale la crisi diplomatica con Israele, per via dell’Iran, il presidente ha ammesso che l’instabilità del più importante Paese arabo, se confermata, porrebbe «davvero un problema serio». L’amministrazione Obama ha preso le distanze dal video diffuso su YouTube e bloccato per ora solo in Afghanistan per timore di sollevazioni. Ancora ieri il segretario di Stato Hillary Clinton l’ha definito «disgustoso e riprovevole». Ma non è bastato. Perfino nella piccola Striscia di Gaza ieri sono scesi in piazza in qualche decina: inmancanza di sedi diplomatiche Usa la protesta è avvenuta davanti agli uffici dell’Onu. Lo stesso a Teheran dove è toccato alla Svizzera, che rappresenta gli Usa dalla chiusura della loro ambasciata nel 1979, di assistere alle urla di gruppi inferociti: «Marg-bar Amrìka» (morte all’America). Ieri nessun rappresentante di Washington è stato colpito ma l’allarme è altissimo e Obama ha inviato verso le coste libiche due caccia-torpedinieri con missili, nonché marines e droni. La sicurezza delle sedi Usa è stata rafforzata e l’allerta è massima anche in Europa: a Berlino il consolato americano è stato evacuato dopo il ritrovamento di una busta sospetta, per fortuna un falso allarme. La nuova ondata di violenze antiamericane nel mondo islamico va infatti ben oltre il motivo che in apparenza l’ha scatenata, quell’assurdo quanto ancora misterioso filmato. A lungo soffocato dalle dittature alleate di Washington, il sentimento popolare che vede negli Stati Uniti un nemico soprattutto per l’appoggio a Israele si sta fondendo con l’emergere delle frange islamiche più estremiste. E questo preoccupa non solo Washington, ma il mondo intero, compresi i milioni di cittadini dei Paesi arabi convinti o fiduciosi, solo un anno fa, che la caduta dei loro raìs fosse l’inizio di una vita normale, libera e in pace.
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