sabato 1 settembre 2012

SIRIA

Siria L' altra verità di Daraya la città dell' ultimo massacro
La città del massacro, è un luogo di spettri e domande, che ieri riecheggiava dei boati dei mortai e dei crepitii delle armi da fuoco, con i pochi abitanti ritornati che parlavano di morti, aggressioni, "terroristi" stranieri, e con il suo cimitero di carneficine infestato dai cecchini. Le donne e gli uomini con cui ho potuto parlare, due dei quali avevano perso dei congiunti nel giorno dell' infamiaa Daraya, cinque giorni fa, hanno raccontato una storia diversa da quella che si sente ripetere in tutto il mondo, il racconto di una cattura di ostaggi da parte dell' Esercito libero sirianoe di frenetiche trattative per uno scambio di prigionieri fra gli oppositori armati del regimee l' esercito siriano, prima che le forze lealiste del presidente Bashar Al Assad prendessero d' assalto la città per sottrarla ai ribelli. Ufficialmente non è stata fatta parola di questi colloqui fra i due fronti. Ma alti ufficiali dell' esercito siriano hanno raccontato che «avevano esaurito ogni possibilità di riconciliazione» con le forze che tenevano la città, mentrei residenti di Daraya hanno detto che da entrambe le parti era stato fatto un tentativo di organizzare uno scambio tra civili e soldati non in servizio attivo - apparentemente rapiti dai ribelli per i loro legami familiari con membri dell' esercito lealista - e prigionieri nelle mani dell' esercito. Quando le trattative sono fallite, l' esercito di Assad è avanzato su Daraya, a una decina di chilometri dal centro di Damasco. Essere il primo testimone oculare occidentale in città ieri era tanto frustrante quanto pericoloso. I corpi di uomini, donne e bambini erano stati trasferiti dal cimitero, dove molti di loro erano stati ritrovati; e quando siamo arrivati in compagnia delle truppe siriane al camposanto sunnita i cecchini hanno aperto il fuoco contro i soldati, colpendo la parte posteriore del vecchio veicolo blindato con cui ci siamo dati alla fuga. Ma siamo riusciti a parlare con dei civili lontano dalle orecchie dei funzionari siriani - in due casi all' interno delle case di queste persone - e il loro racconto dell' ultima strage, con l' uccisione di massa, sabato, di almeno 245 fra uomini, donne e bambini, indica che le atrocità sono state molto più ampie del previsto. Una donna, che ha detto di chiamarsi Leena, ha detto che stava attraversando la città in macchina e che ha visto almeno 10 cadaveri di uomini abbandonati in strada vicino a casa sua. «Non ci siamo fermati, non abbiamo avuto il coraggio, abbiamo semplicemente visto questi corpi per strada», ha detto, aggiungendo che le truppe siriane non erano ancora entrate a Daraya. Un uomo, anche se non aveva visto i morti nel cimitero, si è detto certo che si trattava per lo più di persone legate all' esercito lealista e che tra di loro c' erano diversi coscritti non in servizio. «Uno dei morti era un postino, lo hanno preso perché era un dipendente pubblico», ha detto l' uomo. Se queste storie sono vere, allora gli uomini armati - che secondo un' altra donna, che mi ha raccontato che hanno fatto irruzione in casa sua e che lei li ha baciati nel tentativo di impedirgli di sparare sui suoi cari, indossavano cappucci - non erano soldati siriani, ma ribelli. La casa di Amer Shaykh Rajav, autista di carrello elevatore, secondo quanto racconta lui era stata requisita da uomini armati per essere usata come base delle forze dell' Esercito libero, come i civili definiscono i ribelli. Hanno sfasciato le stoviglie e bruciato tappeti e letti - la famiglia ci ha mostrato queste devastazioni - e oltre a questo hanno estrattoe portato via i chip dei computer portatili e dei televisori presenti nell' appartamento. Forse per usarli come componenti per bombe? Su una strada ai margini di Daraya, Khaled Yahya Zukari, camionista, stava lasciando la città sabato a bordo di un minibus, insieme alla moglie Musreen, di 34 anni, e alla figlioletta di 7 mesi. «Stavamo andando verso Senaya quando improvvisamente hanno cominciato a spararci addosso. Ho detto a mia moglie di mettersi giù, ma una pallottolaè entrata nel buse ha colpito la nostra bambina e mia moglie. Era la stessa pallottola. Sono morte tutte e due. Gli spari venivano dagli alberi, da una zona verde. Forse erano i guerriglieri che erano nascosti dietro il terreno e gli alberi e hanno pensato che fossimo un pullman militare, che trasportava soldati». Indagare approfonditamente su una tragedia di queste proporzioni e in queste circostanze ieri era praticamente impossibile. In certi casi, al seguito delle forze armate siriane, abbiamo dovuto attraversare di corsa strade deserte con cecchini anti-Assad agli incroci; molte famiglie si erano barricate in casa. Il racconto forse più triste di tutta la giornata di ieri è stato quello del 27enne Hamdi Khreitem, che stava seduto in casa insieme a suo fratello e sua sorella e ci ha raccontato che i suoi genitori, Selim e Aisha, sabato erano usciti per andare a comprare il pane. «Avevamo già visto in televisione le immagini del massacro - le reti occidentali dicevano che era stato l' esercito siriano, la televisione di Stato diceva che si trattava dell' Esercito siriano libero, ma non avevamo più da mangiare e mamma e papà hanno preso la macchina e sono andati in città. Poi è arrivata una telefonata dal loro cellulare ed era mia madre, che ha detto s o l o : " S i a m o morti". Lei non era morta. Era stata ferita al braccio e al petto. Mio papà era morto, ma non so dove sia stato colpito o chi lo abbia ucciso. Lo abbiamo riportato a casa dall' ospedale, lo abbiamo coperto e lo abbiamo seppellito ieri».


L' allarme di Amnesty Violenze orribili
NESSUNA tregua dalle bombe per Aleppo e Damasco, né dai rastrellamenti e dalle esecuzioni sommarie. Ieri, mentre Amnesty International denunciava chea pagare il prezzo più alto della guerra civile siriana sono i civili, almeno 67 morti erano stati contati in serata dagli attivisti: due terzi erano, appunto, cittadini inermi. Ed è proprio per fermare al più presto questa mattanza quotidiana (circa 20mila vittime da marzo 2011) che i leader di Gran Bretagna, Stati Uniti e Francia hanno discusso al telefono di Siria nella notte. In linea con il ministro degli Esteri italiano Giulio Terzi, che su Repubblica ha dichiarato che Roma sta considerando di aiutare i ribelli con l' invio di strumenti di comunicazione «utili per prevenire attacchi contro i civili», David Cameron, Barack Obama e François Hollande hanno «discusso di come migliorare il sostegno già offerto all' opposizione per porre fine alla spaventosa violenza». Per ora l' Italia esclude che questo sostegno possa materializzarsi in un intervento militare. Ma il premier britannico e il presidente americano hanno concordato che l' uso o la minaccia di impiegare armi chimiche da parte del regime provocherebbe una «rivisitazione del loro atteggiamento». Uno scenario, quello dell' irruzione delle armi di distruzione di massa nel conflitto, su cui Mosca avrebbe ricevuto rassicurazioni da Assad ma che era ieri in discussione ad Ankara. Dove si è tenuta la prima riunione di «pianificazione operativa» tra Usa e Turchia. Un meeting in cui è forse vagliata anche l' ipotesi di creare una no-fly zone e una zona cuscinetto in Siria per far fronte all' emergenza umanitaria. Soluzioni difficili da attuare non solo «dal punto di vista pratico e giuridico», come sottolineato giorni fa sulla stampa turca dall' ambasciatore americano, Francis Ricciardone. Ma anche da quello diplomatico, visto l' ostruzionismo di Cina e Russia al Consiglio di Sicurezza. Intanto, in Siria si muore. Ieri è accaduto a Daraya, sobborgo meridionale di Damasco bombardato per 24 ore consecutive. Ma anche a Kafr Souseh, dove dopo una pioggia di bombe, per il secondo giorno sono arrivati i rastrellamenti nelle case da parte dei lealisti. «Lanciano colpi di mortaio per farsi largo. E man mano avanzano», ha raccontato al telefono da Daraya un attivista. Nella giornata in cui l' ultimo scaglione dei cachi blu ha lasciato Damasco e a Berlino, per un colloquio con Angela Merkel, Hollande dice che «Assad non può restare al potere», ad Aleppo l' esercito si è ripreso i quartieri cristiani del centro storico. Sulamaniyeh, Jdeide, Telal: affollati di turisti e ristoranti prima della guerra, sono ora sventrati dall' artiglieria di Assad, che l' ha scippata ai ribelli dopo tre settimane. «Abbiamo vissuto i due peggiori giorni della nostra vita» ha detto una residente, aggiungendo che l' artiglieria non ha risparmiato le case. A conferma che «le orribili violenze» contro i civili rilevate da Amnesty, nella prima metà di agosto, non cessano.


L'esercito si riprende Aleppo Il regime di Assad non cadrà

ALEPPO - Capisci che è tutto vero quando il conducente del taxi lascia l'autostrada e prende verso Aleppo: di fronte a noi c'è un chilometro e mezzo di strada vuota che porta verso una delle città più antiche del mondo; oltre non si riesce a vedere, la calura confonde la vista. Ma l'orizzonteè contornato da un alone di fumo marrone e il tassista sa che non è il caso di seguire le indicazioni stradali dall'aeroporto. Giraa sinistrae scavalca con cautela, sobbalzando, il guard-rail centrale, tutto distrutto, poi passa fra due enormi cumuli di rocce come un gatto spaventato. Di fronte a noi si stende un mare di case bruciate e auto distrutte, che attraversiamo lentamente. Il motore si accende e si spegne come faceva la macchina di mio padre in Francia nel dopoguerra, per la cattiva qualità della benzina; l'autista preme l'acceleratore a scatti, nervosamente, mentre superiamo due camion della spazzatura rovesciati per formare un blocco stradale improvvisato. Ma sono check-point fantasma.
Non ci sono uomini armati, non ci sono miliziani, non ci sono combattenti di Al Qaeda, non ci sono «terroristi», non ci sono «criminali», non ci sono «guerriglieri stranieri» (come ci si stanca di questa eterna semantica) e non c'è nemmeno un civile, perché la battaglia è finita. Per ora.
Questo, come ci dicono poi, è il sobborgo di Al Baz, conquistato dall'esercito governativo, anche se non vediamo né soldati né poliziotti per chilometri. L'esercito è venuto e se ne è andato, e gli edifici sono distrutti dai colpi d'artiglieria e crivellati dai proiettili. Giriamo a sinistra in una carreggiata di calcinacci grigi polverizzati, con il fumo di sacchi della spazzatura in fiamme da entrambi i lati. Chi li ha incendiati? Attraversiamo in macchina queste strade fantasma. Alla nostra destra si erge una spettrale stazione di polizia: il gigantesco ritratto del presidente siriano Bashar Al Assad sulla parete è intatto, ma sopra ogni finestra ci sono le macchie nere degli incendi. L'edificio è sventrato, la caserma dei vigili del fuoco subito accanto è abbandonata e un autocarro dei pompieri è stato scagliato contro un muro. In 7 chilometri avvisto solo un bambino sconsolato fra le rovine e una mamma che attraversa mezzo ettaro di polvere con in braccio un bambino piccolo. Solo quando compare alla nostra destra la malconcia Cittadella di Aleppo - bastioni di colore opaco che ci ricordano che la storia non è cominciata ieri - vediamo delle famiglie, con le bambine che indossano l'abito dell'Id al-Adha e un locale che serve kebab.
«Abbiamo ripulito queste strade», mi dirà poi un ufficiale siriano.
Il che è vero, nella misura in cui si possono sconfiggere guerriglieri che combattono strada per strada con blindati T-72 e veicoli da combattimento Bmp. I soldati siriani ci hanno descritto i loro combattimenti a Homs, Idlib, Hama e Dera'a. Il presidente Assad ha inviato i suoi uomini più esperti sul fronte di Aleppo, ma non si tratta, mi dicono, della famigerata IV divisione di Maher Al Assad. «Assolutamente no», mi dice ridendo un generale. Forniamo ora le cifre ufficiali (ovviamente si tratta di statistiche dell'esercito lealista, perché qui siamo dall'altra parte della linea del fronte di Aleppo). Numero totale di «terroristi» morti: 700 e «molti feriti». Numero totale dei caduti fra le fila governative: 20; feriti: 100. Le linee di Internet e dei cellulari sono state tagliate dai ribelli nei pressi di Homs, perciò l'unica possibilità di comunicazione telefonica con la capitale è offerta da un circuito di rete fissa. In Iraq e in Afghanistan la guerriglia pagherebbe per poter mantenere in funzione la rete di telefonia mobile, perché hanno bisogno dei cellulari. Ma qui a quanto sembra hanno sistemi di «comando e controllo» a sufficienza da potersi permettere di fare a meno delle linee siriane.
L'Esercito libero siriano nonè in grado di circondare Aleppo, ma è in grado di isolarla. La festività dell'Id Al Adha viene celebrata in maniera molto misera, con gli abitanti più ricchi accampati negli alberghi per evitare le sparatorie nei sobborghi, nessun quotidiano e l'agenzia di stampa locale talmente a corto di collegamenti che ha 11 giorni di immagini in attesa di essere trasmessi a Damasco.
Gli alti ufficiali dell'esercito siriano non portanoi galloni sulle loro mimetiche. «In tempo di guerra», mi dice un generale di divisione, «ce li togliamo per motivi di sicurezza, per non farci riconoscere». Nell'esercito di Assad sembra che nessuno voglia fare la fine di Horatio Nelson a Trafalgar, ucciso da un cecchino francese appostato fra il sartiame, che non aveva faticato a riconoscerlo per via delle numerose medaglie di cui era adorno. Ad Aleppo i cecchini sono appostati alle finestre degli appartamenti. Ieri hanno aperto il fuoco tre volte contro le truppe di Assad, poi sono spariti. I soldati, con tanto di elmetto di ferro, li hanno cercati invano nei giardini pubblici vicino alla ferrovia in disuso.
Ho chiestoa uno degli esponenti dell'élite militare siriana qui ad Aleppo se aveva qualche commento da fare alla dichiarazione del segretario alla Difesa degli Stati Uniti Leon Panetta, che due settimane fa aveva detto che Aleppo sarebbe stata l'ultimo «chiodo nella bara di Assad» e del regime. L'ufficiale ha risposto che «il regime siriano non cadrà mai. Nessuna potenza sulla terra potrà abbatterlo.
Tuttii regimi cadono, ma quello siriano rimarrà in piedi, perché Dio è dalla parte di coloro che sono nel giusto».
Sicuramente anche l'esercito sta pagando un prezzo di sangue (anche se infinitamente inferiorea quello che stanno pagando i civili siriani in questa guerra orrenda): dei quattro generali che ho incontrato finora ad Aleppo, tre sono F stati gravemente feriti nei combattimenti dell'ultimo anno e mezzo; uno ha ancora la benda al braccio per una scheggia di granata che lo ha colpito alla spalla.
C'erano dei televisori nelle caserme temporanee degli ufficiali. Sullo schermo ho visto passare le immagini antiregime di Al Arabiya e Bbc, oltre ai servizi sulla guerra della televisione siriana. E i soldati, si affretta a rivelare l'esercito, vengono informati quotidianamente dai loro ufficiali sull'andamento del conflitto. Invertendo la tradizionale gerarchia, qui i commenti sono sacri e i fatti sono liberi. Qualsiasi conversazione deve obbligatoriamente cominciare con la linea ufficiale del governo: l'esercito difende la patria contro l'aggressione, una cospirazione internazionale ha preso di mira la Siria perché è l'unica nazione araba che resiste a Israele. I nemici stranieri prima hanno supportato le manifestazioni contro il governo, poi hanno armato i manifestanti. Non dicono da nessuna parte che l'esercito aveva preso a cannonate i manifestanti disarmati e nessuno spiega come hanno fatto manifestanti siriani armati a trasformarsi in guerriglieri «stranieri». Ma l'esercito siriano è una fucina di storie improbabili che diventano vere a forza di essere ripetute, e queste storie contano più delle statistiche. Ahmed, un coscritto di 21 anni, mi dice che suo fratello, il soldato Mohammed Ibrahim Dout, è stato «martirizzato» da un cecchino. Il suo compagno d'armi dice: «Siamo addolorati per il nostro fratello soldato, ma oraè in paradiso». Un generale mi racconta di un suo amico, soldato di carriera con il grado di tenente a Douma.
sobborgo di Damasco: «Si era sposato tre mesi fa e stava tornando a piedi a casa sua, a Douma, quando degli uomini su un furgone lo hanno salutato e gli hanno offerto un passaggio». Il tenente Assem Abbas, 23 anni, ha accettato senza sospettare nulla. «Lo hanno ritrovato più tardi», dice il generale, «tagliato in due pezzi e buttato in un pozzo nero».



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