sabato 16 giugno 2012

I TENTATIVI DI GOLPE IN EGITTO, SOGNI AD OCCHI APERTI DEGLI PSEUDO DEMOCRATICI DI CASA NOSTRA

Nel probabile tentativo di bloccare il secondo turno delle elezioni presidenziali egiziane, la corte  suprema egiziana, quasi certamente ispirata da quei componenti delle forze armate che sperano con un golpe di bloccare l'irreversibile processo in atto nel paese egiziano, ha annullato le elezioni del parlamento accampando l'incostituzionalità della legge che ne regola lo svolgimento.
Come al solito in Italia vi è stato chi ha visto recepite le preghiere che invocavano, senza confessarlo esplicitamente, un "ritorno all'ordine", e cioè alla dittatura nel più grande paese musulmano del Mediterraneo. Fortunatamente ci sono stati anche giornalisti che, per intima condizione e per pudore o decenza, non sono stati così smaccatamente entusiasti per l'eventualità.
Riportiamo così due di questi articoli e poi, come titolo di perenne vergogna per la giornalista che l'ha scritto, un florilegio di sciocchezze che sembrano ispirate dalla penna di Oriana Fallaci.

LA TRINCEA DEI GENERALI

NELLE rivoluzioni quel che è accaduto nelle ultime ore al Cairo si chiama di solito un tentativo di restaurazione.
O più brutalmente un golpe. Un colpo di Stato "legale", perché attuato con decreti emessi dalla Corte costituzionale, dicono i più puntigliosi. O più semplicemente una mossa controrivoluzionaria, promossa dai generali. Per la società militare egiziana la democrazia equivale a un suicidio, significa la perdita di un potere che si estende all'economia, alla finanza, alla giustizia, alla polizia e alla politica estera, in quanto garante degli accordi di Camp David con Israele. Quindi, alla vigilia di una elezione presidenziale (prevista per questo week end, il 16e il 17 giugno) che rischia o rischiava di esautorarli, i generali hanno sciolto il Parlamento.
EHANNO creato le condizioni per facilitare l'ascesa alla massima carica dello Stato di un autorevole collega in pensione, l'ex generale Ahmed Shafiq. La Corte costituzionale che ha decretato lo scioglimento del Parlamento è ancora quella nominata dall'ex rais, Hosni Mubarak, appena condannato all'ergastolo. Come del resto sono stati nominati da Mubarak i componenti del Supremo comando delle Forze armate, nelle cui mani risiede il vero potere, e al quale i giudici dell'Alta Corte devono obbedienza. E sempre un uomo dell'ergastolano Mubarak è il generale Shafiq, il quale è stato il suo ultimo primo ministro. Il tentativo di restaurare sostanzialmente il vecchio regime, sia pure in modo gattopardesco (cambiando perché nulla cambi) è evidente. Hosni Mubarak, nelle ultime ore dato per moribondo nella prigione militare in cui è rinchiuso, è stato sacrificato dai suoi compagni d'arme, nel febbraio 2011, per placare la rivoluzione. Ma egli resta un punto di riferimento, in quanto espressione della casta militare. Ci si chiede adesso come reagirà piazza Tahrir, ossia la rivoluzione rimasta ai margini dello scontro tra militari e Fratelli musulmani, questi ultimi dominanti nel Parlamento, insieme ai Salafiti, gli integralisti islamici.
L'elezione del Parlamento, avvenuta in condizioni democraticamente accettabili nella primavera scorsa, costituiva una minaccia per il potere militare.
L'imminente nomina, altrettanto democratica, del capo dello Stato significherebbe l'esautorazione del Supremo consiglio delle Forze armate (Scaf) incaricato di gestire la transizione tra la destituzione del rais e il promesso avvento della democrazia. Bisognava dunque azzerare il Parlamento dichiarando incostituzionale la sua elezione. Il pretesto è stato trovato nel doppio sistema di scrutinio, in parte uninominale e in parte alla proporzionale.
Due procedure ritenute illegali perché non avrebbero garantito identici diritti ai candidati. La Corte costituzionale ha così tolto di mezzo gli eletti, disarmati ma forti dei loro mandati e quindi in grado di infastidire i generali. Anche grazie alla capillare organizzazione dei Fratelli musulmani, la cui espressione parlamentare era il Partito della libertà e della giustizia. I deputati avevano già affrontato i generali dichiarando ineleggibili i ministri e i gerarchi del passato regime. La legge colpiva direttamente il generale Shafiq, il quale poteva essere escluso dal ballottaggio con l'esponente dei Fratelli musulmani, Mohammed Morsi, un eventuale capo dello Stato scomodo per i militari. La Corte costituzionale ha scavalcato la legge del Parlamento e ha deciso che Shafiq potrà concorrere per la presidenza della Repubblica. Ma si è forse dimenticata, almeno per ora, di sciogliere l'Assemblea costituente, formata in gran parte da membri del Parlamento giudicato illegale. Quindi la suddetta Corte costituzionale esercita la sua funzione sulla base dei principi del vecchio regime, non essendo neppure cominciati i lavori per la nuova promessa Costituzione democratica. In sostanza il potere resta nelle mani dei generali e il nuovo presidente, se verrà eletto, dipenderà da loro.
Le mosse ora precipitose ora tardive dei militari rivelano la grande confusione che regna negli stati maggiore e nelle caserme. Ed è un'indecisione che apre uno spazio di manovra ai movimenti democratici, laicio religiosi, di piazza Tahrir. Nel primo turno delle elezioni i loro candidati, il giornalista Hamden Sabahi e il musulmano moderato Abdel Moneim Abul Fotouh sono arrivati a ridosso dei primi due, del fratello musulmano Morsi e del generale Shafiq. Uniti li avrebbero superati. Essi non sono comunque usciti di scena e nelle ultime ore sono comparsi in piazza Tahrir, con l'intenzione di creare un "comitato presidenziale" incaricato di sorvegliare lo svolgimento dell'elezione di sabato e domenica prossimi. Li ha raggiunti Morsi, il fratello musulmano, appena è arrivata la notizia dello scioglimento del Parlamento. Si è dunque formata un'opposizione ai militari molto ampia. La dinamica accesa dai moti insurrezionali del febbraio 2011 non si è del tutto fermata.
I militari non vogliono perdere il potere, a tratti esitano, danno l'impressione di assecondare la svolta democratica, temono il giudizio degli americani (dai quali ricevono un sostanziale aiuto in dollari e in armi), ma al momento delle scelte indietreggiano, rinnegano gli impegni, o compiono precipitose fughe in avanti. Si considerano una forza laica capace di arginare l'ondata islamica, provocata dal successo elettorale dei moderati Fratelli musulmani e dei salafiti integralisti, e contano su una parte della popolazione intimorita dalla svolta religiosa e dalle punte di fanatismo. Sia pur approssimativi, e probabilmente non del tutto attendibili, i sondaggi davano negli ultimi giorni alla pari i due finalisti delle presidenziali: il generale e il musulmano. Ma l'astensione di protestaè molto ampia e quindi quelle indagini d'opinione non riflettono gli umori del paese. Oltre che sul timore che ispirano i musulmani in alcuni strati della società, i militari contano sulla crisi economica e il desiderio di un ritorno all'ordine.
Per ora hanno deciso di non rinviare il voto. Ma se avverrà sul serio non mancherà la protesta. E non sarà facile arginarla. La restaurazione è stata tentata, ma non è detto che la "Primavera araba" sia morta in Egitto. La provocazione può ridarle energia.

Bernardo Valli

Nell'Egitto che torna in piazza: "Avete sciolto il parlamento, questo è un nuovo golpe"

IL CAIRO - Quindici mesi dopo, la rivoluzione egiziana sembra tornata al punto di partenza. «Ladri», urlano le centinaia di manifestanti fuori della Corte Suprema lungo la Corniche El Nil, incuranti del sole impietoso che brucia anche il respiro, all'indirizzo dei giudici che hanno appena dichiarato decaduto il Parlamento dominato dagli islamisti e dichiarato eleggibile Ahmad Shafiq, l'ultimo premier di Hosni Mubarak, alle presidenziali di sabato e domenica prossima.
Il palazzo che ospita l'Alta Corte è incartato nel filo spinato e i blindati dell'esercito tengono a distanza la folla. Urla. Maledizioni. Un vecchio agita verso gli impassibili soldati le scarpe e mostra la suola dove ha incollato la foto di Shafiq e di Mubarak, il massimo segno di disprezzo per un arabo. Ma nessun tentativo di forzare il blocco, nessuna violenza. Perché lo schieramento in divisa è impressionante e perché la Fratellanza Musulmana ha dato ordini chiari: nessun incidente deve turb a r e q u e s t i giorni che precedono le elezioni. La Confraternita e il suo candidato Mohammed Morsi pensano di avere la vittoria in tasca, annunciano che riconosceranno solo il voto che porterà questo ingegnere, senza nessuna esperienza né parlamentare né di governo, alla guida del più popoloso e influente Paese del Medio Oriente. Non mancano le voci che nella dirigenza della Fratellanza denunciano la decisione della Corte come «un golpe strisciante» e passeranno cinque lunghe ore - con il Politbjuro islamista riunito per decidere come reagire alle due sentenze che rimescolano completamente le carte - prima che Mohammed Morsi annunci in serata che «le decisioni della Corte vanno rispettate» e confermando la sua candidatura al voto che si apre tra meno di 24 ore. Ma il potere di fatto è tornato nelle mani della Giunta militare.
È stato certamente un boccone amaro da deglutire per Morsi lo scioglimento del Parlamento, per vizio di alcuni articoli della legge elettorale, dominato dal suo Partito e dai salafiti di "Al Nour". Certo la Camera in questi mesi non ha dato una grande prova di sé, per l'inconsistenza del dibattito politico, per l'insensatezza delle proposte di legge, incapace di designare una Assemblea Costituente, mentre l'Egitto continuava a scivolare in una transizione post-Mubarak segnata più volte dal sangue, dalla violenza, dalle stragi.
La seconda sentenza ha scaldato gli animi degli islamisti anche più della prima. La Corte ha giudicato illegittimo il provvedimento che escludeva dalla vita politica gli esponenti dell'ex regime, come appunto Ahmed Shafiq, che nel ballottaggio di domanie domenica sfiderà Mohammed Morsi. Dopo la sentenza la corsa presidenziale di Shafiq è senza ostacoli, le intenzioni di voto lo danno in crescita costante. La Fratellanza con le proposte sulla sharia, il ruolo preminente della religione nella società, ha allarmato molti musulmani moderati, i laici e la minoranza cristiana, vede i suoi consensi scendere.
Poco dopo l'annuncio della Corte in una conferenza stampa fra sostenitori entusiasti, che si è aperta sulle note dell'inno egiziano Shafiq commentava: «È una giornata storica, perché è storica la sentenza della Corte Costituzionale che chiude l'era della resa dei conti». Una sua possibile vittoria alle elezioni presidenziali sarebbe stata inconcepibile appena un anno fa con quel fervore anti-regime che animava l'Egitto. È stato l'ultimo primo ministro del Faraone, investito quando ormai la rivolta divampava e licenziato dalla Giunta militare solo due settimane più tardi. Ma l'ex comandante dell'Aviazionee amico personale di Mubarak, sta raccogliendo ampi consensi. Ha fatto una campagna elettorale apertamente come candidato anti-rivoluzione, puntando sulla sicurezzae stabilità, cercando i voti di quegli egiziani esasperati dai continui disordini e dalla disastrosa situazione economica in cui versa l'Egitto dopo la sua "Primavera" e spaventati dalle proposte islamiste.
Sospesi tra lo spettro di un passato che potrebbe tornare e un salto nel vuoto verso l'islamizzazione, oltre cinquanta milioni di egiziani sono chiamati alle urne da domani in un clima «da film di Bollywood», dice Raghed Mohammed, leader del Movimento 6 aprile, che ha svolto un ruolo preminente durante la rivoluzione di gennaio. Il primo turno è stato dominato dall'astensione e poco meno di 13 milioni hanno espresso voti validi. Il risultato premiò Morsi con il 25 per cento seguitoa ruota da Shafiq con il 24; il 22 andò a un candidato della sinistra, il nasseriano Hamdeen Sabbahi, il 18 a un ex Fratello Musulmano, islamico moderato, Abdel Aboul Fotouh, e l'11 per cento ad Amr Mussa, al quale sondaggi risultati inattendibili attribuivano una concreta possibilità di vittoria. Per il secondo turno resta l'incognita se l'astensionismo, che la commissione elettorale ha rilevato a poco meno del 60 per cento nel primo, terrà ancora lontano dalle urne molta parte del popolo egiziano o se gli avvenimenti delle ultime ore indurranno una partecipazione più sostenuta. A favore di questa seconda possibilità potrebbero contribuire tanto un maggior impegno nel raccogliere voti per Morsi da parte della potente confraternita dei Fratelli Musulmani, quanto un risvegliato interesse di tutti coloro che rifiutano la prospettiva di uno Stato guidato da un presidente dalla forte caratterizzazione islamica, e per scongiurare questo sono pronti a votare per l'ex premier di Mubarak.
Dello "spirito" di Piazza Tahrir è rimasto ben poco. Ieri sera poche centinaia di manifestanti si sono riversati nel luogo simbolo della rivoluzione per protestare contro le sentenze. La gente è arrivata in piazza alla rinfusa, senza che ci fosse una convocazione da parte dei gruppi di attivisti, mandando in tilt l'intera zona, tra ingorghi e lunghe file di auto. La piccola folla ha lanciato soprattutto slogan religiosi. Non c'era il popolo di Facebook, non c'erano i ragazzi delle università, gli avvocati e gli ingegneri, i medici e le donne, che hanno animato per mesi la Piazza con la loro presenza, con le loro speranze, dandole un'anima che adesso non c'è più. «L'egoismo dei partiti e delle Confraternite ci ha fatto perdere la rivoluzione», dice scura in volto Sally Torna, leader della Coalizione dei giovani rivoluzionari, «e adesso hanno perso anche loro».

Fabio Scuto

Come esempio di articolo di impronta "fallaciana" vogliamo citare un articolo pubblicato dal Corriere della Sera a firma di Cecilia Zecchinelli.

L’Egitto torna in mano ai militari
Una doppia sentenza dell’Alta Corte Costituzionale sembra aver messo fine in pochi minuti al sogno di potere dei Fratelli musulmani e alla paura del mondo di un nuovo Califfato sulle rive del Nilo. Ma ha anche cancellato, secondo molti egiziani, la Rivoluzione più importante e in apparenza vittoriosa delmondo arabo, i 16 mesi di «transizione » difficile ma tollerata perché premessa di democrazia, le speranze di chi vedeva l’era Mubarak chiusa per sempre. La cautela è necessaria nell’immaginare cosa accadrà in un Paese che ha finora smentito ogni previsione. Di certo c’è comunque che ieri i 18 membri del massimo tribunale egiziano, riuniti nell’edificio neofaraonico di Maadi tra filo spinato, blindati e agenti antisommossa, hanno riscombinato ogni gioco. «Incostituzionale», secondo il loro giudizio inappellabile, è infatti il Parlamento eletto in inverno dove la Fratellanza e i salafiti controllano quasi il 70 per cento dei seggi. Un terzo dei candidati avrebbe dovuto essere scelto tra gli «indipendenti», mentre molti erano uomini di partito: l’intera Assemblea è da ieri sciolta e nuove elezioni si terranno in autunno. E difficilmente i partiti islamici avranno ancora così tanti voti. «Incostituzionale» è anche la legge che avrebbe proibito all’ex generale e ultimo premier di Mubarak, Ahmed Shafiq, di presentarsi al ballottaggio in programma domani e dopo per nominare il nuovo raìs, proprio perché colluso con il regime abbattuto. Dato per favorito contro il candidato dei Fratelli musulmani Mohammed Morsi—che al primo turno in maggio si era piazzato primo per pochi voti—Shafiq si troverà presidente di un Paese senza Costituzione né Parlamento. Restano in carica il Senato, ma con ben poco potere, e il governo, dove però si prevede presto un rimpasto. E resta fermamente in controllo del Paese la Giunta guidata dal maresciallo Hussein Tantawi. Nel caso, meno probabile, di una vittoria di Morsi lo scenario non è comunque più semplice. Avversati dai militari, dai cristiani, dallo «Stato profondo» dei burocrati, dal business, da molti laici e perfino da alcuni integralisti islamici, i Fratelli musulmani e il loro raìs si troverebbero soli. «Rispettiamo la decisione della Corte», ha dichiarato Morsi, smentendo le voci di un suo ritiro dal ballottaggio. Ma, nella notte, ha sostenuto che le sentenze indicano che «qualcuno trama contro l’Egitto», accusando i «criminali del regime di Mubarak» ancora al potere. Alti dirigenti della Fratellanza hanno quindi accusato la Giunta e i giudici di «colpo di Stato» e previsto che il Paese entrerà in «un tunnel oscuro se il Parlamento sarà davvero dissolto» (e lo sarà). Di golpe ha parlato chiaramente Abdel Moneim Abul Futuh, islamico moderato ed ex Fratello, battuto al primo turno in maggio: «Non solo per i due verdetti ma per la legge che permette ai militari di arrestare i civili», ha spiegato riferendosi a una norma approvata tre giorni fa senza clamore, che di fatto reintroduce le leggi d’emergenza appena abolite. Mohammed ElBaradei, il premio Nobel amato dalla Rivoluzione ma ritiratosi dalle presidenziali, ha definito la situazione dell’Egitto — un raìs senza Costituzione né Parlamento — come «degna della peggiore dittatura». E commenti simili sono arrivati dai blog, dalle tv, da tutti gli indignati. Da quelli che non pensano, come Shafiq, che ieri la Corte abbia invece emesso «due sentenze storiche ». Una parte dell’Egitto che però non è maggioritaria, ed è comunque estenuata: mentre si moltiplicavano le promesse di nuove proteste oceaniche, la piazza simbolo della Rivoluzione, Tahrir, ieri sera era vuota.


Cecilia Zecchinelli appartiene di diritto a quella categoria di giornalisti che confondono gli avvenimenti con le loro intime aspirazioni. La giornalista è fra coloro che considerano l'Islam la sentina di tutti i mali e l'Occidente il più fulgido esempio di democrazie realizzate. Se in qualche parte del mondo una forza politica non europea ne americana vince alla grande libere elezioni senza brogli e con una entusiasmante partecipazione di popolo come è stato nelle elezioni legislative egiziane, e i militari, colonnelli o generali, fanno un bel golpe, la democrazia occidentale è ugualmente in marcia. Per la Zecchinelli i Fratelli Musulmani che ella pervicacemente seguita a chiamare "Islamisti" o "Fondamentalisti Islamici", un golpe organizzato dai fedeli di quel ladrone assassino che un tribunale egiziano ha condannato a morte per tutto quel che ha combinato da ultra-trentennale dittatore, è sicuramente una vittoria per i democratici, anche perché secondo quelli come lei, l'eventuale vittoria elettorale di forze politiche che, tutte assieme, non arrivano a raccogliere più del 20% dei voti, è il non-plus-ultra della vera democrazia rappresentativa.
L'argomento principe utilizzato dalla signora e da chi è come lei è che i Fratelli Musulmani farebbero ripiombare il mondo arabo e l'Islam in genere nel più profondo Medioevo. La stessa convinzione è espressa da scrittori di origine medio orientale tipo Cristiano Magdi Allam e il marocchino Tahar Ben Jelloun.
Questi personaggi sembrano dimenticare:
I - Ciò che noi chiamiamo Medioevo è stato per l'Islam l'epoca di massimo splendore e di massima fioritura culturale ed economica, non solo in medio oriente o in Egitto, ma anche in parti d'Europa come la Sicilia e la Spagna. Il sogno dei musulmani è quello che faceva negli anni della prima guerra mondiale lo sceicco hascemita Feisal: "Ma io sogno l'università araba di Toledo, i giardini di Palermo e i kilometri di illuminazione pubblica notturna di Cordoba";
II - Non c'erano nel Medioevo arabo mostruosità che somigliassero al Sant'Uffizio, all'Inquisizione e alla totale libertà di pensiero che hanno imperato in Europa fino alla Rivoluzione Francese; e non fa capo all'Islam la sequela di atrocità senza limite come le guerre di religione che hanno sconvolto l'Europa per oltre 200 anni, le 2 guerre mondiali e le prodezze delle camicie brune naziste e di quelle nere fasciste (e neppure lo sterminio di interi popoli e la tratta dei neri d'Africa);
III - Il Medioevo arabo è iniziato e si è affermato quando le potenze coloniali europee si sono avventate sui paesi musulmani come locuste affamate e hanno tolto a popolazioni di antichissima civiltà l'indipendenza politica la dignità culturale, la creatività e il senso della libertà. Da musulmani non possiamo che auspicare che uomini come Erdogan, i Fratelli Musulmani d'Egitto e il partito Ennahda, vincitore delle elezioni in Tunisia, restituiscano ai loro popoli lo splendore di un tempo, spazzando via dittatori e bande di pretoriani armati. Ci riusciranno perché Dio è il più Grande, Allahu Akbar.


Egitto, tra i fedeli che si ribellano al golpe “Reagiremo, la presidenza sarà di Morsi”

IL CAIRO — I bravi fedeli hanno messo giù i tappeti anche per strada invadendo la Main
Street di Giza, il centro urbano cresciuto attorno alle Piramidi e che è ormai inglobato
dall’avanzare del Cairo, che ogni anno attira mezzo milione di nuovi abitanti e allarga i suoi
slumfatti di fango e sabbia dove la Fratellanza musulmana ha la sua base elettorale. La piccola
moschea El Rahman non può ospitare tutti dentro, ogni venerdì la gente viene qui anche dai
centri vicini perché il verbo del Sayyed Ali Ben Hassa è suadente come una musica per le loro
orecchie. Un arabo morbido, dai toni pacati, che sa far breccia nel cuore del fedele. Il sermone
non tocca temi squisitamente politici in un Paese scosso dagli eventi delle ultime 24 ore come
lo scioglimento del Parlamento e la corsa alle presidenziali, ma è parallelo: verte sulla centralità
dell’Islam nella vita sociale. I commenti su quel che sta succedendo in Egitto in questi giorni
vengono fuori alla fine, quando i fedeli riavvolgono il tappeto da preghiera e si incamminano
verso i caffè più vicini.
«Si era capito fin dalla sentenza contro Mubarak che le cose non stavano andando per il verso
giusto », dice secco Nabil, che di mestiere fa l’ingegnere, «e lo scioglimento del Parlamento è
stato un golpe, molto soft ma sempre un golpe. Ma reagiremo, vinceremo le presidenziali e
anche quelle per la nuova Assemblea del popolo». Non ci sono dubbi nel popolo dei fedeli sulla
certa elezione di Mohammed Morsi — il candidato della Fratellanza musulmana — alla
presidenza. Nessuno parla delle aspettative o delle speranze nate da Piazza Tahrir, la libertà, la
democrazia, il cambiamento. Quella rivoluzione — a cui peraltro la Confraternita aderì
tardivamente
solo dopo la caduta di Mubarak — è stata lentamente sfiancata, erosa e alla fine soffocata dai
Partiti e dalle Confraternite, adesso viene esibita come un feticcio ogni volta che torna comodo.
Il movimento islamico adesso sostiene che «tutte le conquiste democratiche ottenute con la
rivoluzione potrebbero essere spazzate via con la salita al potere di uno dei simboli dell’era
precedente », Ahmad Shafiq, l’ultimo premier di Mubarak prima del crollo riammesso alla corsa
presidenziale per il voto di oggi e domani.
Il massimalismo della Fratellanza, il velo alle donne, la Sharia in tribunale, le spiagge del Mar
Rosso chiuse ai bagnanti in costume, il divieto di vendere alcolici, l’obbligo della preghiera negli
uffici pubblici e altre imposizioni di stile integralista, hanno spaventato l’elettorato islamico
moderato, i laici, la minoranza cristiana (10 milioni). Non ci sono sondaggi affidabili in Egitto —
è ancora troppo “giovane” il voto libero — ma i consensi per Morsi scendono, al primo turno ha
ottenuto quasi 5 milioni di voti, cioè metà di quelli che il suo partito ha aveva ricevuto solo 6
mesi prima alle legislative. Ahmad Shafiq invece vede i suoi consensi salire. Sicurezza,
stabilità, progresso, ha ripetuto come un mantra per tutta la campagna elettorale, e nel caos
istituzionale in cui si trova l’Egitto potrebbe essere un messaggio vincente. I giovani dei gruppi
che hanno animato la rivolta contro Mubarak solo un anno fa, sono stanchi, delusi, divisi. Come
se quella scintilla che li ha accesi e resi protagonisti della Storia si fosse persa adesso in buio
cosmico. C’è chi sostiene Morsi come il Movimento del 6 aprile e chi Shafik come i Giovani
della Rivoluzione.
Da oggi 52 milioni di egiziani vanno alle urne per scegliere il loro presidente tra un ingegnere
religiosissimo e un ex generale dell’Aviazione. Finora tutti i presidenti egiziani — Gamal Abdel
Nasser, Anwar Sadat e Hosni Mubarak — sono venuti dalle fila della Difesa. Al primo turno le
elezioni sono state dominate dall’astensionismo e solo 13 milioni di schede sono state giudicate valide. Gli egiziani votano per un capo di Stato i cui poteri ancora non sono stati stabiliti, perché
nella sua breve vita il Parlamento non è stato in grado di nominare un Assemblea Costituente
che redigesse una nuova Carta dopo l’abolizione
di quella in vigore sotto Mubarak. Il presidente di norma giura davanti al Parlamento, ma
l’Assemblea del popolo è stata sciolta giovedì dall’Alta Corte. È il caos istituzionale perfetto,
nemmeno nei political thriller di Ahmed Mourad c’è un finale così incerto. I vincitori del voto
saranno comunque i militari della Giunta, che hanno dimostrato in questa complessa partita una
raffinatezza e un’astuzia politica che nessuno in Egitto gli attribuiva. Sciolto il Parlamento — ieri
sera è stato sigillato dall’Esercito per impedire l’ingresso agli ormai ex-deputati — il potere
legislativo è tornato nelle loro mani, il neo-presidente dovrà giurare davanti al maresciallo
Mohammed Tantawi e ai suoi generali. «Da voi si chiama democrazia una roba così?», mi
chiede senza giri di parole Ahmed Kamel, che fa un mestiere difficile in Egitto: l’avvocato della
Lega per i diritti umani.

Fabio Scuto

Sarebbe troppo fisicamente impegnativo pubblicare tutti gli articoli con le loro varie sciocchezze che la gran parte della stampa italiana ha scritto sulle elezioni egiziane: brilla fra tutti la recidiva Cecilia Zecchinelli, ma non sono da meno gli stringati servizi che tutte le reti televisive hanno dedicato alle elezioni egiziane. Eppure l'Egitto è uno dei più grandi paesi che si affaccia sul "Mare Nostrum" e, con la Turchia, è uno dei più importanti centri del mondo culturale e spirituale islamico. L'Egitto è anche una delle principali mete turistiche degli italiani in vacanza: senza contare che i maestosi reperti della sua antichissima storia sono tra le principali mete dei viaggiatori di tutto il mondo. Naturalmente i mezzi di informazione italiani, nella settimana precedente il voto di ballottaggio tra i due candidati alla carica di presidente della repubblica, hanno fatto un tifo quasi da stadio per  l'ex primo ministro dell'ultimo governo di Mubarak: è superfluo ricordare che questo signore era in carica quando il suo principale si rendeva responsabile dei massacri di massa per i quali un tribunale egiziano l'ha condannato all'ergastolo.
Voglio soltanto limitarmi a mettere in evidenza talune stranezze presenti nei commenti giornalistici italiani, che non riteniamo meritevoli di pubblicazione integrale, e che tuttavia hanno al loro interno talune idiozie che qualificano il livello di incultura spaziosa e rozza dei loro autori e delle loro autrici:
I - La Zecchinelli, sempre lei, ha scritto che le elezioni di Domenica si sono svolte con i seggi elettorali in mano ai militari. La gentile signora finge di ignorare che anche in Italia e in tutta Europa quando si vota i seggi sono presidiati da poliziotti e da carabinieri per ovvi motivi di ordine pubblico;
II - Sempre la Zecchinelli ha ripetuto fino alla nausea che il candidato della giunta militare, contrapposto a quello dei Fratelli Musulmani, era in costante crescita nei sondaggi pre-voto. La signora dispone evidentemente di un suo personale sondaggista perché fino a questo momento non è stato possibile sapere da una televisione italiana chi abbia vinto le elezioni egiziane. Con molte reticenze si arriva a dire che, sembra, il candidato dei Fratelli Musulmani è in testa: naturalmente quello della giunta militare sostiene che i dati sono incompleti e, comunque, viziati da gravi brogli nel voto;
III - I finti seguaci della democrazia, che si appoggiano su possibili movimenti golpisti, si danno tempo prima di svelare l'arcana verità: e cioè che gli "islamisti" hanno stravinto con una percentuale vicino al 60% dei voti. Naturalmente i campioni nostrani della democrazia sono sempre pronti a brindare a un'eventuale colpo di mano che annulli le elezioni presidenziali come già è stato fatto per quelle del parlamento.

P.S: Chissà se qualche telespettatore non ha notato fra le signore egiziane in fila nei seggi, delle donne completamente vestite di nero con tanto di velo integrale a coprire la testa e un paio di guanti dello stesso colore a coprire persino le mani? Siamo costretti a deludere i tanti numerosi anti-musulmani presenti in Italia: quelle signore portavano sul petto una vistosa croce di legno, segno evidente che erano di religione cristiano-copta.

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