Una lancia spuntata appare l’ultimatum di 48 ore inviato stasera dai ribelli siriani al
presidente Bashar al Assad, intimandogli di cessare la repressione e rispettare i sei punti del piano dell’inviato Onu Kofi Annan, nel giorno in cui si registrano almeno altri 62 uccisi - per lo più civili - da parte dei governativi che hanno ripreso a bombardare la città di Hula, secondo quanto segnala il Cns.
E mentre da Washington la Casa Bianca afferma: «Chi oggi sostiene il regime di Assad si pone dalla parte sbagliata della storia», il Consiglio di sicurezza dell’Onu si è riunito in serata. La Russia si è detta nuovamente contraria ad altre sanzioni e insieme alla Cina ha ribadito la sua opposizione a
una opzione militare. Opzione che, però, al momento da più parti viene esclusa. Intanto il console onorario siriano in California, Hazem Chehabi, ha deciso di dimettersi dopo il massacro di Hula. Secondo la National Public Radio (Npr) ha spiegato di «non poter essere più testimone di crimini cos barbari».
«I vertici congiunti dell’Esercito libero all’interno della Siria annunciano di dare un ultimatum di 48 ore al regime perchè‚ applichi le risoluzioni del Consiglio di sicurezza», ha affermato il colonnello Qassem Saad ad Din, apparso in un video su Youtube. Nel filmato, registrato secondo la didascalia a
Rastan, località tra Homs e Hama e roccaforte dei ribelli, il colonnello disertore precisa che se entro mezzogiorno (le 11 in Italia) di venerdì il regime non farà tacere le armi «contro i civili inermi», non ritirerà le truppe dalle città e non libererà tutti i prigionieri politici, l’Esl non sarà più impegnato dal cessate il fuoco e «difenderà e proteggerà icivili, i loro villaggi e le loro città».
Sul terreno è stata l’ennesima giornata di sangue: il generale norvegese Robert Mood, comandante degli osservatori Onu nel Paese, ha confermato quanto denunciato ieri dai Comitati di coordinamento locali degli attivisti, secondo cui sono stati ritrovati a Dayr az Zor, nell’estremo est del Paese, i corpi di 13 persone «giustiziate» sommariamente, proprio come avvenuto a il 25 maggio scorso a Hula dove il Cns ha segnalato nuovi bombardamenti.
L’agenzia ufficiale Sana si limita intanto a riferire dei funerali oggi di 25 tra militari e poliziotti uccisi da non meglio precisati «gruppi di terroristi armati». Mentre il Centro di documentazione delle violazioni in Siria (Vdc, vdc-sy.org) segnala almeno 20 uccisi, di cui 18 civili e due disertori.
Altre fonti di attivisti parlano invece di una sessantina di vittime in tutto il Paese.
Dopo l’espulsione ieri dei diplomatici siriani dai principali Paesi europei, da Stati Uniti, Canada, Australia e Giappone, Damasco oggi ha risposto dichiarando «persona non grata» l’incaricato d’affari olandese in Siria. Ma nel panorama delle cancellerie occidentali che alzano la voce contro il regime di Assad, solo il Belgio ha oggi invocato esplicitamente l’invio di militari stranieri in Siria. Il ministro degli Esteri, Didier Reynders, ha detto che la comunità internazionale «non otterrà niente» dal presidente siriano senza una presenza militare nel Paese. Non si tratta di organizzare «un intervento come in Libia» nel 2011, ha precisato il belga, ma di creare «zone di sicurezza» in Siria protette «da una forza internazionale».
All’unisono, gli altri Paesi europei e gli stessi Stati Uniti hanno escluso tale ipotesi, attribuendo l’impossibilità di un intervento militare diretto al blocco russo-cinese in seno al Consiglio di sicurezza, che si è riunito in serata. Una posizione condivisa anche dall’Italia, con il ministro degli
Esterio Giulio Terzi che, sottolineando la «priorità altissima e quasi assoluta» della soluzione della crisi, ha anche fatto appello ad una «gestione più coesa possibile» da parte della comunità internazionale sotto il profilo politico, precisando che un intervento armato non è un’ipotesi realistica.
Mosca, da parte sua, ha nuovamente ribadito il no a nuove sanzioni, ventilate dagli Usa, mentre la Gran Bretagna ha fattosapere che nei prossimi giorni si discuterà su come aumentare la pressione sul governo di Damasco: il punto chiave è l’unità dei Quindici, ha precisato l’ambasciatore britannico Mark Lyall Grant al termine della riunione del Consiglio di Sicurezza. E il governo turco, che da oltre un anno minaccia tempesta contro Assad, ha ribadito di non aver ancora preso una decisione circa l’ipotesi di una zona cuscinetto lungo la frontiera con la Siria per impedire il possibile afflusso di decine di migliaia di nuovi profughi.
Siria, Assad arringa il Parlamento
"Contro di noi una guerra dall'esterno"
DAMASCO - La crisi in Siria "non è un problema politico". Lo ha detto il presidente siriano Bashar al Assad nel suo primo discorso al nuovo parlamento eletto all'inizio di maggio, precisando che è necessario "distinguere tra problema politico e terrorismo". La Siria, ha detto ancora il dittatore, deve confrontarsi con un "complotto che mira a distruggere il Paese". "E' ormai evidente - ha aggiunto - il ruolo internazionale" nella crisi siriana che produce "una escalation di terrorismo nonostante le riforme".
A questo proposito Assad, ribadendo l'estraneità del regime con la strage costata la vita a oltre 100 persone, ha detto che a Hula è stato commesso "un orrendo crimine" che neanche "dei mostri" potrebbero compiere. Il governo, ha insistito, ha utilizzato "tutti i mezzi politici" ma gli sforzi sono stati vani perché "ci troviamo di fronte ad una guerra condotta dall'esterno". "Affrontare la crisi - ha detto ancora Assad - può essere doloroso, ma non possiamo tirarci indietro".
La leadership siriana, ha proseguito, è "ancora aperta al dialogo con chi non vuole un intervento straniero nel Paese e non sostiene i gruppi terroristici". "Continuerò a combattere il terrorismo fermamente e senza scendere a compromessi", ma "non cerco rivincite con chi vuole tornare" tornare", ha aggiunto il presidente siriano probabilmente riferendosi a chi è passato dalla parte dei ribelli.
Il parlamento siriano è stato rinnovato con le elezioni legislative dello scorso 7 maggio, la prima consultazione elettorale con la partecipazione di più partiti da quando, con il referendum dello scorso febbraio, è stata sancita la fine del monopolio del partito Baath (del presidente Assad, ndr), voto boicottato da opposizione e dissidenti che lo hanno definito "una farsa". I risultati ufficiali annunciati alcuni giorni dopo hanno poi sancito una nuova vittoria del Baath, partito al potere in Siria da mezzo secolo.
Intanto da Singapore, dove sta partecipando all'Asia Security Summit, il ministro degli Esteri francese Jean-Yves Le Drian non ha escluso un intervento armato in Siria, ma solo dietro mandato del Consiglio di sicurezza dell'Onu. Le Drian ha anche chiesto alla Russia di non assicurare più il sostegno al presidente Bashar el Assad. "Il presidente francese Francois Hollande non ha escluso un intervento militare, ma solo dietro un mandato delle Nazioni Unite", ha detto il ministro. "I russi devono capire che non si può considerare un futuro in Siria con Assad ancora al potere", ha aggiunto.
Siria, liberati 500 detenuti
a Hula nuovi bombardamenti
DAMASCO - A 48 ore dalla visita in Siria dell'inviato speciale Onu Kofi Annan, le autorità siriane hanno annunciato di aver liberato 500 prigionieri arrestati nella repressione in corso da 14 mesi, ma rimangono in carcere numerosi altri detenuti politici e attivisti del movimento non violento.
Secondo l'agenzia ufficiale Sana, che ha dato la notizia, da novembre 2011 ad oggi, sono 4.482 i detenuti "che non hanno commesso crimini" liberati dalle autorità: 553 il 5 novembre, 1.180 il 15 dello stesso mese, 912 il 30 novembre, 755 il 28 dicembre e 552 il 5 gennaio e 30 lo scorso 21 aprile.
L'ondata di rilasci tra novembre e gennaio era coincisa con il tentativo della Lega Araba di convincere Damasco ad accettare il piano per la normalizzazione della situazione nel Paese. A metà aprile vi erano invece in atto negoziati tra Onu e regime siriano per l'accettazione da parte di quest'ultimo del piano di pace che prevede, tra l'altro, la liberazione di tutti i detenuti politici arrestati da marzo 2011 ad oggi.
L'Onu e le organizzazioni internazionali per la difesa dei diritti umani denunciano l'arresto in questi 14 mesi di rivolta e repressione di oltre 10.000 siriani da parte dei servizi di controllo del regime.
Per il secondo giorno consecutivo, intanto, l'esercito siriano ha ripreso stamani i bombardamenti nella regione di Hula, teatro la settimana scorsa di un massacro denunciato dalla comunità internazionale 1: lo riferisce l'Osservatorio siriano dei diritti dell'Uomo (Osdh). Le milizie fedeli al presidente siriano, Bashar al Assad, hanno aperto il fuoco in una delle località di Hula, Taldo, dove la maggior parte delle persone della strage del 25 maggio sono state uccise.
Diversa la versione del regime di Assad che, sulla base di sue indagini preliminari, sostiene che il massacro di Hula è stata opera di "gruppi armati" (dell'opposizione) non di forze governative. Il loro obiettivo, secondo Damasco, è incoraggiare un intervento militare da parte di forze straniere.
Dopo il massacro, "si rischia una guerra civile catastrofica" denuncia il segretario generale dell'Onu Ban Ki Moon. "Massacri come quello a cui abbiamo assistito nello scorso fine settimana possono far sprofondare la Siria in una catastrofica guerra civile dalla quale il Paese non potrebbe mai più riprendersi" ha detto il segretario dell'Onu a Istanbul in occasione del forum sulla Somalia che si tiene sotto l'egida dell'Onu.
Lo spettro di Srebrenica e il dilemma di Obama che pesa sulla rielezione
DAL NOSTRO INVIATO NEW YORK - L' incubo di un' altra Srebrenica, di un Paese allo sbando, ingovernabile e in preda alle bande: una Somalia nell' area più delicata ed esplosiva per i precari equilibri mediorientali. Ma anche la consapevolezza che l' America, un Paese stremato da dieci anni di guerre in Iraq e Afghanistan, non vuole sentir parlare di nuove missioni militari all' estero: al punto che, ormai, nemmeno le organizzazioni umanitarie chiedono a Washington di intervenire militarmente per arrestare i massacri in Siria. Barack Obama continua a considerare impraticabile l' opzione militare e a cercare via d' uscita diplomatiche: preme su Mosca, studia sanzioni, appoggia il tentativo dell' Onu di arrivare a un cessate il fuoco. Ma fin qui tutto è stato vano: Vladimir Putin, appena tornato alla presidenza, non si è nemmeno presentato al G8 di Camp David, mentre la mediazione di Kofi Annan è stata sepolta dalla strage di Hula e dal massacro di mercoledì: 13 operai elettrici trucidati perché si erano rifiutati di sospendere uno sciopero. Alle prese con una grave crisi economica e occupazionale che rischia di fargli perdere la corsa alla rielezione, il presidente americano, già in piena campagna, si trova ora scoperto anche sul fronte della politica estera: il successo dell' eliminazione di Bin Laden, la lotta senza quartiere contro Al Qaeda, la fine della guerra in Iraq e il graduale disimpegno dall' Afghanistan sono risultati che rischiano di impallidire sullo sfondo davanti alla tragedia siriana. I repubblicani lo sanno e attaccano il presidente proprio su questo fronte. «È un irresponsabile» dice il suo avversario del 2008, John McCain, che chiede un intervento a base di «strike» dal cielo a supporto dei ribelli, come in Libia un anno fa. «È incapace di esercitare la "global leadership" dell' America», gli fa eco il candidato presidenziale repubblicano Mitt Romney. Che, però, si guarda bene dal proporre un intervento armato - secondo i sondaggi osteggiato dai tre quarti degli americani - limitandosi a chiedere che siano date armi ai ribelli. Ma lo stesso partito repubblicano è diviso anche su questa ipotesi di sostegno indiretto: «La verità è che non sappiamo nemmeno chi sono i buoni e chi i cattivi» sostiene il presidente della Commissione Servizi Segreti della Camera, il conservatore Mike Rogers. Nel breve periodo Obama non ha altra scelta che restare nell' attuale, scomoda posizione del sovrano impotente di potenza imperiale appannata. La riunione settimanale del suo gabinetto dedicata alla Siria, con la consueta, frustrante conclusione: che le opzioni disponibili sono molto limitate. «Un intervento provocherebbe più instabilità, i massacri aumenterebbero», taglia corto il portavoce del presidente, Jay Carney. E si capisce perché: a differenza della Libia, la Siria, oltre alla protezione di Mosca, ha un apparato militare di tutto rispetto comprese efficaci difese missilistiche antiaeree, mentre non ci sono zone interne controllate da un esercito di ribelli che può essere appoggiato. E a livello internazionale, né l' Onu né la Lega Araba stavolta propongono l' invio di una forza multinazionale. Rimane la possibilità di un intervento autonomo di qualche Paese alleato. Ipotesi che a Washington non escludono ma che pare, al momento, improbabile. C' è, però, sempre lo spettro Srebrenica: gli ottomila morti che nel 1995 spinsero Bill Clinton, dopo molte esitazioni, a intervenire nei Balcani. I 108 trucidati a Hula non sono una Srebrenica, ma la Siria sembra ormai finita su un piano inclinato, con l' ambasciatrice Usa alle Nazioni Unite, Susan Rice, che prevede, pessimisticamente, una «escalation» spaventosa del conflitto che potrebbe obbligare le potenze a un intervento coordinato non più solo per motivi umanitari, ma per cercare di circoscrivere un incendio capace di diffondersi a tutto il Medio Oriente. Parole pesanti che, più che preannunciare un cambiamento di rotta della Casa Bianca, sembrano servire a premere su Mosca. Dopo l' appuntamento mancato in terra americana, Obama incontrerà il presidente russo tra un paio di settimane al G20 di Los Cabos, in Messico. Gli chiederà di nuovo di convincere Assad a lasciare il potere, avviando una transizione come quella in atto nello Yemen. Difficilmente Putin gli toglierà le castagne dal fuoco (facendogli anche un grosso regalo elettorale). A meno che non si convinca che senza una svolta la crisi rischia di deflagrare con effetti molto negativi per tutti, Mosca compresa. 108 I morti accertati a Hula, in Siria, tra cui 49 bambini.
Gaggi Massimo
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