mercoledì 11 aprile 2012

I Tuareg riconquistano la loro Regina

Timbuktu la "misterieuse", come veniva chiamata anche in tempi recenti, quando non
c´era nessun mistero e la città era ben conosciuta, è stata sempre negli ultimi due o tre secoli,
un mito che si rivelava fasullo ogni volta che un viaggiatore europeo vi metteva piede. Il suo
periodo di splendore risaliva a molti secoli prima, quando faceva parte dell´impero Songhay:
una città di ventimila abitanti, tutti dediti al commercio, che sfruttavano la sua posizione
strategica, a cavallo tra due immense aree africane completamente diverse: quella acquitrinosa
del fiume Niger e dei pescatori animisti Bozo, un fiume che si può risalire anche d´estate con le
"pinase", le barche locali, anche quando pesca meno di un metro. E quella desertica del
Sahara, dove non esistono fiumi se non, nella forma di letti sabbiosi: una maledetta "uadi" dopo
l´altra, come dicevano nel secolo scorso gli inglesi che l´avevano attraversato, quando ancora
non era nata - la moda della wilderness, e il deserto era ancora giudicato come un "abominio di
desolazione" e le turiste che trovavano quei luoghi "divini" erano ancora di là da venire.
Da Timbuktu - conquistata ieri dai ribelli del Mali - partivano tradizionalmente le carovane dirette
alle cave di sale di Taoudeni, al centro del Sahara, un minerale indispensabile per tutti i paesi
tropicali e subtropicali, dove la sudorazione eccessiva portava a degli scompensi fisici che
potevano essere regolati solo con il sale. Le carovane provenienti da sud trasportavano schiavi,
penne di struzzo, avorio, ma soprattutto l´oro del Ghana, e riportavano indietro i preziosi blocchi
di salgemma. Quasi tutte le monete dell´epoca romana, compreso l´aureo erano coniate con
l´oro del Ghana e della Costa d´Oro. E i luoghi d´origine e di partenza del prezioso metallo,
sollecitavano la fantasia degli europei, che immaginavano Timbuktu come più tardi i
conquistatori spagnoli si immaginarono l´Eldorado: case con i tetti d´oro e strade lastricate da
pepite. 
Quando René Caillié, il primo viaggiatore europeo ad attraversare il Sahara arrivò alla città
misteriosa, nel 1828, trovò che quella che si era trovato davanti non rispondeva alle sue
aspettative: «Mi ero fatto della grandezza e della ricchezza di Timbuktu tutta un´altra idea.
Vedevo solo un ammasso di case in terra mal costruite, dove regnava una tristezza e un
silenzio innaturali, in cui non si sentiva neppure il canto di un uccello». Il mercato era modesto,
c´erano solo tre negozi che vendevano merci europee come ambra, corallo zolfo, carta e stoffe.
Non si vedeva nessun nobile palazzo sahariano emergere dalla sabbia e dal fango, come La
moschea di Djenné. I monili d´oro erano limitati a piccole collane portate dai Tuareg, e bracciali
più pesanti portati dalle mogli dei commercianti mori. Dell´università coranica, famosa durante il
medioevo, non c´era traccia, e i libri che si trovavano nella libreria più grande della città, erano
trascrizioni di sura del Corano, sempre le stesse». 
La popolazione della città era di tipo misto e i Tuareg costituivano il gruppo etnico più
numeroso. Il potere era teoricamente nelle mani dei marocchini, che però stavano sotto l´incubo
e le continue razzie dei Tuareg. Questi nomadi razziatori per istinto e tagliagole nati, erano
nomadi ma diventavano stanziali per qualche mese all´anno accampandosi alle porte di
Timbuktu. E a cavallo d arrivò magnifici destrieri arabi, e roteando le loro spade affilate, con i
pugnali e una fascia stretta alla vita, entravano città con aria truce, chiedendo a tutti quelli cheincontravano i "regali" promessi. Era una domanda che non si poteva rifiutare - Caillié ci ha dato
la prima descrizione completa dei Tuareg. Come tutti i musulmani avevano più mogli, ma le
favorite erano sempre degli esemplari femminili che avevano superato l´obesità e che
diventavano, così grasse, un´attrazione fatale e irresistibile per questi corridori del deserto,
abituati ad una vita dura. I Tuareg erano in genere ricchi, allevavano montoni e pecore, frutto di
razzie, portavano sempre una benda davanti al viso, che dava loro un aspetto misteriose e
temibile, si facevano servire da una moltitudine di schiavi, catturati come la merce durante gli
attacchi alle carovane. Nel deserto erano imbattibili, conoscevano palmo a palmo tutto il Sahara
e viaggiavano di notte per orizzontarsi con le stelle. Avevano una resistenza incredibile, non
perdevano mai la rotta, a differenza degli arabi o degli africani, e sapevano datare con
sicurezza l´età della dune, basandosi sulle sfumature di colore che nel deserto andavano dal
marrone, al giallo, al rosa.
Con il passare del tempo Timbuktu andò perdendo quella qualifica semiufficiale di capitale dei
Tuareg. Le tribù più irrequiete ora si trovavano più a nord, nella zona di Tamanrasset e
dell´Hoggar, chiamata Bled el Kouf, il paese della paura, dove la colonna Flatters, mandata in
ricognizione per un piano demenziale come la ferrovia transahariana, che doveva attraversare il
deserto da Algeri a Dakar, venne sterminata da un gruppo di Tuareg. E anche la rivolta nel
novecento guidata dal "sultano" Tegamà, che venne poi fatto strangolare in prigione dai
francesi, aveva come teatro i dintorni di Agades. Alcuni Tuareg erano diventati guide militari.
Cino Boccazzi, un indimenticabile scrittore di storie del deserto, era diventato amico di un
Tuareg che aveva condotto un distaccamento dei soldati gaullisti, guidati al generale Leclec,
nome di battaglia di De Lattre de Tassigny, dal Chad fino al Mediterraneo durante la seconda
guerra mondiale. 
Anni prima il più grande viaggiatore transahariano del secolo, Theodore Monod, era arrivato a
Timbuktu per la prima volta come prima tappa per un viaggio nel deserto che sarebbe durato
sei mesi. A Timbuktu aveva trovato una carovana di tremila cammelli che stava per partire
verso il nord. Monod decise allora di partire insieme con la carovana e andò comprare tutto
quello che serviva per il viaggio: grano, riso, arachidi, caffè, miele, burro fuso e un sacco di tè
verde. I Tuareg non partivano più per le razzie dopo aver bevuto all´alba, al riparo dietro una
duna, quel the verde concentrato e distillato nelle teiere numerose volte. Ma quella era rimasta
la loro bevanda preferita e Monod voleva bere con loro, davanti a un fuoco di sterpi quel the
bollente, circondato dal deserto che amava.

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