mercoledì 25 aprile 2012

DUE ARTICOLI CHE POSSONO FORNIRE UN'INTERPRETAZIONE ALLA NON OSCURABILE PAURA CHE L'ISLAM SUSCITA NEI PAESI DI RELIGIONE CRISTIANA, IN PARTICOLARE CATTOLICA

Sull'ultimo numero del settimanale Sette, allegato al Corriere della Sera è stato pubblicato un accurato studio che, senza mai nominare l'Islam, contiene un accurato resoconto della crisi che attraversa la religione cattolica, al punto che il titolo è "Possiamo ancora dirci cattolici?".




Pochi giorni dopo il quotidiano La Repubblica ha pubblicato un servizio, articolato in due parti che ascrive la crisi del Cristianesimo prevalentemente al fatto che nel mondo vi sarebbero:

"Meno credenti, più atei convinti così il mondo volta le spalle a Dio"
CARATTERI maiuscoli rossi su copertina nera. "Dio è morto?" si chiedeva la rivista americana Time l' 8 aprile 1966. Solo per ribaltare l' argomento, tre anni più tardi, con una copertina bianca solcata dai raggi del Sole: "Dio è resuscitato?". Tom Smith, sociologo dell' università di Chicago, ricorda quella confusione di impulsi nell' America dei tardi anni ' 60 come il punto di partenza della più lunga ed estesa analisi sociale sulla salute di Dio nel mondo. Dopo le prime due tappe del 1991 e del 1998, il rapporto "Religion" dell' International Social Survey Programme sulla "Fede in Dio nel mondo attraverso gli anni e le nazioni" è arrivato oggi alla sua terza edizione. Sessantamila persone in 42 paesi dal Cile al Giappone hanno raccontato ai ricercatori il loro rapporto con la spiritualità. In una mappa che pure si presenta con colori distinti e contrastanti, contraddizioni e inversioni di rotta, la conclusione generale è che il declino della religiosità nel mondo è lento ma costante. LA FEDE IN CALO I numeri dello stillicidio parlano chiaro: i credenti tra il 1991 e il 2008 sono calati in 14 dei 18 paesi che hanno partecipato a entrambe le indagini. La percentuale degli atei viceversa è cresciuta in 15 nazioni. Per quanto riguarda l' Italia, nel corso dei vent' anni gli atei sono cresciuti del 3,5% e i credenti hanno registrato un declino della fede per nulla trascurabile: il 10,5%. Come se stesse progressivamente prendendo forma l' immagine di Pasolini che nel 1973 vedeva la parola "Jesus" una volta per tutte legata a una marca di jeans. Il bastione della terza età Il bastione della fede resta la fascia degli over 68. In Italia ad esempio dichiara di credere in Dio il 66,7% delle persone con più di 68 anni contro il 35,9% dei giovani al di sotto dei 28 anni. Basta dunque saltare due generazioni per tagliare a metà il bacino della fede degli italiani.E il fenomeno è ancora più netto nella cattolicissima Spagna, dove la religiosità balza dal 65,4% degli anziani al 21,8% dei giovani. In maniera del tutto speculare viaggia il numero di coloro che dichiarano di "Non credere e non aver mai creduto". In Italia sono il 12% tra gli under 28 contro un misero 0,5% tra gli over 65. «La fede in Dio - spiega Smith cresce molto probabilmente tra i più anziani per via dell' approssimarsi della morte». GLI EFFETTI DEL COMUNISMO Il comunismo avrà fallito dal punto di vista economico ma il lavoro di spugna sulla spiritualità degli individui sembra aver funzionato bene nei paesi del blocco socialista. Pur con due importanti eccezioni (la Polonia e la Russia), le nazioni dell' Europa dell' est si ammassano in fondo alla classifica dei credenti. L' ex Germania dell' est ha anche il record di atei convinti (52,1%), seguita dalla Repubblica Ceca (39,9%). E sempre fra i tedeschi orientali la religiosità raggiunge uno striminzito 12,7% tra gli over 68 edè addirittura ferma allo zero tra i giovani con meno di 28 anni. FEDE E CONFLITTI C' è un aspetto che impressiona tra i dati del rapporto. I paesi in cui la religiosità è in aumento sono spesso quelli in cui per la fede si combatte e si muore. Israele ad esempio è secondo solo alle Filippine per il numero di persone che dichiarano di "credere fermamente in Dio" e i credenti sono aumentati del 23% tra il ' 91 e il 2008. Cipro è al quarto posto. Scendendo di poco si incontra l' Irlanda del Nord. Nella classifica dei paesi più vicini alla religione ci sono ovviamente gli Stati Uniti. Paese che è forse azzardato definire in guerra per la propria fede. Ma in cui sicuramente - fanno notare i ricercatori dell' università di Chicago - «c' è un' intensa competizione tra le religioni principali e tra le varie confessioni cristiane». LA FORMA DI DIO Il Dio in cui credono gli intervistati (in maggioranza, ma non esclusivamente cristiani) è soprattutto u n Dio-persona, che si preoccupa per le sorti dell' umanità. Per tre italiani su quattro è in grado di compiere miracoli. E quando nel 2008 Tom Smith ha provato a domandare a un campione di americani a quale figura familiare si sentirebbero di associare Dio, la maggioranza ha scelto "padre" a "madre", "padrone" a "sposo", "giudice" piuttosto che "amante" e "re" piuttosto che "amico". IL PARADOSSO ITALIANO La parte italiana dei datiè stata raccolta da Cinzia Meraviglia dell' Istituto di Ricerca Sociale dell' università del Piemonte Orientale, mentre il rapporto sul nostro paese è stato curato da Deborah De Luca dell' università di Milano. «In Italia - spiegano le due ricercatrici - il 41% delle persone dichiara di seguire la religione cattolica ma di non considerarsi una persona spirituale. Come se la fede fosse un valore culturale, le cui radici vanno cercate nella tradizione e nell' abitudine». Si spiega così come mai il 76% degli italiani abbia un crocefisso o un altro simbolo religioso in casa, ma solo il 23% vada a messa regolarmente. Nel nostro paese la Chiesa è anche l' istituzione di cui ci si fida di più accanto alla scuola (anche se l' 80% degli intervistati ritiene che il Vaticano non debba dare indicazioni di voto o fare pressioni sui governi). Ma allo stesso tempo il 61% degli italiani dichiara di avere un proprio modo personale di comunicare con Dio, senza passare per Chiesa e riti religiosi.


Elena Dusi




Non occorre molta intelligenza per capire che un articolo che da un resoconto della percentuale dei cattolici e dei cristiani facendo riferimento a meno di un terzo della popolazione mondiale ed escludendo dal conteggio l'Asia (con l'eccezione del Giappone, l'intera America Latina, Australia, Oceania e Canada e non tenendo conto di grandi paesi come la Cina, l'India, l'Indonesia, tutti i paesi islamici) non è un credibile fondamento per parlare di un mondo che volta le spalle a Dio. Ci sembra che sia più convincente l'ipotesi secondo la quale "sono i dogmi della Chiesa Cattolica che non convincono più"; e a questo riguardo ci sembra molto più equilibrato l'articolo del teologo Vito Mancuso (pubblicato anch'esso da La Repubblica):





“Il Dio personale del secondo millennio”

Un ampio studio dell´Università di Chicago spiega che la fede in Occidente va lentamente ma progressivamente diminuendo; che interessa soprattutto gli anziani e ben poco i giovani; che avanza sempre più in chi crede la figura di un Dio personale e su misura; e infine che la presenza della fede non è comunque trascurabile perché rimane ancora largamente maggioritaria, visto che i credenti sono maggioranza in 22 paesi su 30, e in 7, tra cui gli Usa, sono al di sopra del 50 per cento. Sono dati che confermano tendenze note agli studiosi e che sarebbero diversi se la ricerca non avesse preso in esame solo una parte di mondo, in gran parte occidentale: la presenza del Sudamerica è ridotta al Cile, quella dell´Asia al Giappone e alle Filippine con la macroscopica assenza di Cina, India e di tutti i paesi delle aree buddista e islamica, mentre l´Africa non esiste nemmeno. Se lo studio avesse considerato l´andamento della fede su scala mondiale, le conclusioni sarebbero non dissimili da quelle di due giornalisti dell´Economist, Micklethwait e Wooldridge, uno cattolico e l´altro ateo, che nel 2009 pubblicarono a New York un volume la cui tesi è già nel titolo: God is Back, Dio è tornato. Non a caso le religioni costituiscono oggi nel mondo un fattore geopolitico di importanza imprescindibile per la lettura del presente, nel bene e purtroppo anche nel male, poiché è innegabile che dalle religioni derivano sia beni sia mali (e per questo spesso è così difficile ragionarne con pacatezza e senza passionalità). Ma soprattutto uno il dato che a mio avviso va sottolineato: cioè il fatto che in tutti i principali paesi europei se si sommano i credenti convinti agli atei altrettanto convinti non si raggiunge la metà della popolazione. È il caso di Germania (ovest), Austria, Olanda, Svizzera, Spagna, Russia, Italia, paesi in cui ci sono più credenti che atei; e di Gran Bretagna, Francia e paesi scandinavi dove la situazione è opposta. Il paese simbolo di questa tendenza a evitare gli estremi è il Giappone, dove solo il 4,3 crede fermamente in Dio ma solo l´8,7 è ateo. tutti gli altri vivono nell´incertezza di chi non sa, nel limbo di chi non prende posizione. Forse anche l´Europa è destinata con il passare del tempo a diventare teologicamente “giapponese”?
Di sicuro la mente occidentale, uscita da poco da quel secolo di ferro e di sangue che è stato il ‘900, è abitata da una forte perplessità e intravede motivi per continuare a credere in Dio e altri per non credervi più: il suo simbolo più adeguato è forse il labirinto, oppure una bilancia i cui piatti non sanno trovare il punto di equilibrio. Se la fede tradizionale a poco a poco viene meno, non per questo i più si rassegnano al materialismo e al nichilismo di chi ritiene che l´uomo sia solo “ciò che mangia”, con il risultato che la fede in una dimensione dell´essere chiamata “spirito” nonostante tutto persiste, anche se non si capisce bene che cosa si dice quando si pronuncia il termine “spirito” e quindi neppure quando si nomina “Dio”.
Per questo non sorprende il dato a mio avviso più significativo offerto dallo studio americano, cioè che a fare le spese di questa crescente perplessità è soprattutto la fede cattolica nella sua configurazione dogmatica e teista. Infatti la perdita della fede in Dio durante il decennio 1998-2008 risulta più alta proprio nei paesi tradizionalmente cattolici, come Austria (-10,6), Portogallo (-9,4), Spagna (-7), Italia (-6,7), Francia (-5,8), persino Polonia (-5,5). Se poi si calcola quello che è successo dal 2008 a oggi nella Chiesa tra scandali legati alla pedofilia e restaurazione di messe in latino con connessa riabilitazione dei gruppi cattolici più reazionari e spesso antisemiti, possiamo essere sicuri che i dati nel frattempo non sono certo migliorati. Ormai è da tempo che a causa della scarsità di vocazioni locali nei nostri paesi vi sono preti e suore extraeuropei in numero sempre crescente, ma se continua così anche le nostre antiche chiese saranno prive dei discendenti di coloro che le hanno costruite.
E il Vaticano cosa fa? Invece di guardare in faccia la situazione e correre ai ripari abolendo la legge ecclesiastica e non biblica del celibato sacerdotale, aprendo al diaconato e al cardinalato femminile, rivedendo le leggi anacronistiche in tema di morale sessuale e di disciplina dei sacramenti, non ha saputo fare altro che istituire un altro centro di potere, un altro ministero clericale, il Pontificio Consiglio per la Nuova Evangelizzazione, i cui frutti inesistenti sono e continueranno a essere sotto gli occhi di tutti. Io mi chiedo come si faccia a non voler considerare la drammaticità della situazione lasciando sistematicamente ignorati tutti i numerosi appelli alla riforma che regolarmente giungono a Roma da tutte le parti, me lo chiedo, ma non so rispondere. Se si avesse veramente a cuore la fede di quello che un tempo si chiamava “popolo” di Dio oggi destinato a diventare un circolo per pochi, non si dovrebbe agire in modo diverso?

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