lunedì 16 aprile 2012

Nucleare iraniano I mullah riaprono il tavolo dei negoziati

GERUSALEMME — Parlarsi, è già qualcosa. Vendere il tappeto, un'altra cosa. «Avete presente il suk?», racconta uno sherpa della diplomazia europea: «Il buon risultato è che il cliente sia finalmente entrato nella bottega. Si sia seduto. E abbia cominciato a guardarci in faccia...». Non per niente, ieri si sono trovati di nuovo al gran bazar d'Istanbul: quindici mesi dopo il disastroso vertice 2011, quando gl'iraniani rifiutarono quasi d'affrontare l'argomento, stavolta la delegazione di Teheran ha sfoderato i sorrisi. «Il loro negoziatore, Said Jalili, s'è presentato calmo e costruttivo ed è entrato subito in argomento — descriveva all'ora di pranzo il portavoce europeo, Michael Mann —. C'è stato qualche momento di confronto, anche teso. Ma è stato un buon mattino, con un'atmosfera positiva, completamente diversa. Nel pomeriggio, chissà, magari faranno un passo indietro...».
Non l'hanno fatto. Né indietro, né avanti. E così il primo round di colloqui sul nucleare ha portato all'unico risultato «utile e costruttivo» (aggettivi di Catherine Ashton, coordinatrice estera Ue) di fissarne un secondo: il 23 maggio, a Bagdad, perché Istanbul piace poco a Sarkozy — in maretta coi turchi dopo le polemiche sul genocidio armeno — e agl'israeliani, che non vogliono regalare la ribalta all'ex amico Erdogan. A un certo punto del pomeriggio, convinti gli ayatollah a entrare «nella bottega», le potenze del gruppo 5+1 hanno tentato il colpaccio storico: organizzare un faccia a faccia Usa-Iran, il primo dai tempi dello Scià. C'è stato fermento, quando un'agenzia persiana ha risposto con un mezzo sì e, subito dopo, altre due agenzie hanno troncato con un deciso no: parlarsi va bene, ma non sarà attraverso la delegata americana Wendy Sherman che s'aprirà una nuova pagina di relazioni col Grande Satana... «Un primo passo positivo» ha commentato in serata la Casa Bianca.
Eccitazioni diplomatiche a parte, i risultati veri stanno a zero. Nemmeno il secondo round iracheno ne darà, probabilmente. E un terzo potrebbe arrivare tardi, se è vero che gl'israeliani — scrive un analista militare di Tel Aviv — sono già pronti a un attacco militare in ottobre. La strategia iraniana, fra Khamenei che lancia fatwe contro la Bomba e Ahmadinejad che promette la «difesa dei nostri diritti nucleari», resta imperscrutabile. Nessuna disponibilità a fermare l'arricchimento d'uranio al 20%, accettando le ispezioni internazionali. Le «nuove iniziative» promesse alla vigilia s'esauriscono nei sorrisi e nella richiesta, ripetuta da Jalili, di «levare già dalla riunione di Bagdad le sanzioni internazionali»: sei risoluzioni Onu di condanna, l'embargo commerciale dal 2010 e quello finanziario d'un mese fa, il blocco petrolifero senza precedenti che partirà dal 1° luglio, tutto questo ha solo ammorbidito i toni di Teheran. Ma Israele è stato chiaro con Obama e i sei gendarmi nucleari mondiali: bisogna distruggere tutto l'uranio arricchito, sia al 20% che al 3,5 e ai livelli inferiori. Il premier Bibi Netanyahu è disposto a lasciarne a Teheran solo qualche kg, per uso civile. E in risposta a chi — lo scrittore Günter Grass — equipara l'atomica israeliana a quella iraniana, ha aperto a Gerusalemme un negoziato segreto per una possibile (clamorosa) adesione nel 2013 al Trattato di non proliferazione nucleare, dispiegando intanto nuove batterie di Patriot sul Carmelo. «Bibi ha capito che minacciare sempre l'attacco fa alzare il prezzo del petrolio, arricchire gli ayatollah e odiare Israele — analizza l'editorialista Nahum Barnea —. Ora si prepara in silenzio. E aspetta che questi colloqui portino al nulla che s'aspetta».

Francesco Battistini


Il Compromesso Difficile fra Khamenei e i Repubblicani

La strategia per l'Iran elaborata dall'amministrazione Obama finora ha dato buoni risultati. Se pressioni senza precedenti hanno costretto Teheran a sedersi al tavolo dei negoziati, tuttavia occorrerà dimostrare straordinarie doti diplomatiche per raggiungere un accordo nel corso dei colloqui, appena iniziati, tra l'Iran e il cosiddetto «club dei 5 + 1» — ovvero Stati Uniti, Gran Bretagna, Russia, Cina, Francia e Germania. Nell'aria aleggia un certo pessimismo: un accordo concreto sarà possibile solo se, come in ogni trattativa riuscita, entrambe le parti avranno qualcosa da portare a casa.
Come potrebbe configurarsi un accordo? Da molto tempo gli Stati Uniti chiedono all'Iran di sospendere l'arricchimento dell'uranio, il procedimento che consente di produrre il combustibile necessario alla bomba atomica. L'Iran sostiene di avere il diritto all'arricchimento, perché lo definisce a scopi pacifici. Oggi è lecito sperare che si stia per raggiungere un compromesso intelligente. Washington ha proposto all'Iran di fermare l'arricchimento dell'uranio al 20 percento, il livello a partire dal quale il combustibile può essere facilmente destinato ad applicazioni militari. L'Iran ha fatto capire che potrebbe accettare questo limite e arricchire solo al 3,5 o al 5 percento, e affermare al tempo stesso di aver salvaguardato il suo diritto all'arricchimento.
Ma l'Iran avrebbe comunque ancora a disposizione riserve di uranio arricchito al 20 percento, prodotto negli ultimi due anni, forse sufficiente per costruire un ordigno nucleare. Teheran ha respinto la richiesta di Washington di trasferire e far custodire all'estero queste scorte di uranio, sostenendo di averne bisogno per la produzione di isotopi a uso ospedaliero. Ricordiamo tuttavia che l'Iran fu vicino a siglare un accordo su questo punto nel 2009, e ne propose un altro nel 2010, accettando di spostare all'estero questo uranio a basso arricchimento. Oggi le dichiarazioni dei negoziatori, da una parte e dall'altra, lasciano intravedere che si potrebbero adottare elementi di quelle vecchie proposte: spedire all'estero una parte delle scorte dell'uranio iraniano in cambio di piastre di combustibile completate, che vengono utilizzate nella produzione di isotopi in ambito medico.
È corsa voce che Washington vuole chiedere all'Iran di chiudere l'impianto nucleare di Fordo, dove l'arricchimento di alto livello viene eseguito in una centrale segreta, ricavata nel ventre di una montagna nei pressi di Qom. (Il premier israeliano, Benjamin Netanyahu, ha avanzato espressamente una richiesta in tal senso la scorsa settimana). L'Iran si è rifiutato, affermando di avere il diritto di posizionare i suoi impianti nucleari dove meglio crede, dato che il suo programma nucleare è per uso civile. Washington farebbe meglio ad ammorbidire la sua posizione su questo punto, a condizione che l'Iran accetti le visite accurate di ispettori indipendenti.
Il punto cruciale sul quale l'Iran dovrebbe fare importanti concessioni riguarda appunto le ispezioni. Il rapporto dell'Agenzia internazionale dell'energia atomica, emanato nel 2011, elenca una serie di fattori che stanno a indicare la precisa volontà iraniana di puntare alla bomba atomica. I «5 + 1» dovrebbero far riferimento a questo documento per elencare quali sono le azioni che l'Iran si impegna a non intraprendere, e per insistere che l'Aiea ottenga pieno accesso a tutti i siti, in modo da poter controllare che il programma militare sia stato effettivamente accantonato. Se accettasse le ispezioni dell'Aiea, l'Iran sarebbe ricompensato con la revoca progressiva delle sanzioni, man mano che i controlli procedono senza ostruzionismi. 
Ma gli accordi funzionano se vengono accettati da entrambe le parti. Al momento attuale c'è motivo per credere che i vertici più intransigenti del paese, sotto la guida del leader supremo, l'ayatollah Ali Khamenei, potrebbero essere disposti a trattare. Khamenei ha rafforzato il suo potere, smantellando il Movimento verde; si è riconciliato con un temibile rivale, Ali Akbar Hashemi Rafsanjani; e ne ha emarginato un altro, il presidente Mahmoud Ahmadinejad. Khamenei si è inoltre ritagliato ampi spazi di manovra per fare concessioni sul programma nucleare. Rileggiamo la dichiarazione categorica emanata a febbraio: «La nazione iraniana non insegue e non inseguirà mai l'arma nucleare … perché la repubblica islamica, dal punto di vista logico, religioso e teorico, considera il possesso delle armi nucleari un grave peccato e ritiene insensata, oltre che distruttiva e pericolosa, la proliferazione di questi armamenti». Khamenei avrà voluto preparare il terreno, per spiegare le eventuali concessioni in patria. La strategia di Obama è quella di dire all'Iran: «Vi chiediamo soltanto di convalidare le vostre affermazioni con azioni concrete», un modo assai scaltro per formulare le sue richieste. Ma se l'Iran farà concessioni, gli Stati Uniti dovranno accettarle e sollevare in parte le sanzioni. Ma è proprio qui che lo schieramento repubblicano di Washington potrebbe creare ostacoli. Se i repubblicani interferiscono con i negoziati, o si rifiutano di ricambiare, accettando l'abolizione delle sanzioni, non ci sarà nessun accordo.
Il governo Obama ha sin qui negoziato abilmente con i suoi alleati, Russia, Cina, le Nazioni Unite e persino con Teheran. Per portare a casa l'accordo, tuttavia, Obama dovrà vedersela con il suo peggior avversario, che rischia di far fallire le trattative: il partito repubblicano.

Faared Zakaria

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