mercoledì 11 aprile 2012

SIRIA

I siriani sparano, vittime al confine turco

I capi dei ribelli promettono in video di rispettare il cessate il fuoco negoziato dalle Nazioni Unite. «Noi, i difensori del popolo siriano, siamo pronti a deporre le armi». Al presidente Bashar Assad non basta: pretende un impegno scritto prima di ordinare il ritiro delle truppe dalle città sotto assedio. A poche ore dall’inizio della tregua, fissato per questa mattina, il regime pone nuove condizioni e continua le operazioni contro gli insorti. All’alba di oggi Kofi Annan, inviato dell’ Onu, deve verificare il rispetto del suo piano, ma il conflitto rischia di coinvolgere già i Paesi vicini. L’esercito siriano ha sparato verso i campi rifugiati allestiti dai turchi lungo la frontiera. Sei persone sono rimaste ferite a Kilis e Ankara minaccia di essere pronta a prendere tutte le misure necessarie. «E’ evidente che l’armistizio a questo punto non ha più alcun significato. Comincia una nuova fase», commenta Naci Koru, viceministro degli Esteri. Il cessate il fuoco era stato accettato da Assad il 2 aprile. Adesso Damasco sostiene di non voler dare la possibilità ai rivoltosi di riarmarsi. «Non permetteremo che si ripeta quanto accaduto durante la missione della Lega Araba a gennaio, quando il governo ha ritirato le proprie forze dalle città e dalle campagne,mentre i ribelli prendevano possesso di quelle stesse zone. Hanno sfruttato la situazione per allargare la loro autorità a interi distretti », dice Jihad Makdessi, portavoce del ministero degli Esteri. Il regime proclama di aver cominciato il ripiegamento, per andare avanti vuole garanzie. «E’ un’interpretazione sbagliata dell’accordo definito con le Nazioni Unite», spiega Ahmad Fawzi, assistente di Kofi Annan, che oggi visita la frontiera tra Turchia e Siria. Ankara ospita 25 mila siriani fuggiti dalla repressione, tra loro i soldati che hanno lasciato le truppe regolari per combattere contro il regime. I disertori usano i campi tendati come basi per i raid contro l’esercito. Ieri all’alba hanno colpito un posto di blocco e sono stati inseguiti fino al confine: i militari di Assad non avrebbero smesso di sparare neppure quando gli otto ribelli sono passati dall’altra parte. I turchi hanno già proposto di creare una zona cuscinetto in territorio siriano per proteggere i rifugiati, sarebbe il primo passo verso l’intervento arma to. Il governo libanese è meno agguerrito verso il protettore di sempre, chiede però un’inchiesta per l’uccisione del cameraman Ali Shabaan. L’auto della televisione Al Jadeed si stava muovendo ieri lungo il confine nella zona di Wadi Khaled, quando è finita sotto i colpi che arrivavano dal villaggio di Armouta, dall’alta parte. «Per due ore non siamo riusciti a muoverci, continuavano a sparare. Non abbiamo potuto aiutare Ali che stava morendo dissanguato», racconta il giornalista Hussein Khreis. L’offensiva del regime ha colpito anche Latamna, nella provincia di Hama, dove 35 civili sarebbero stati uccisi nel bombardamento dell’artiglieria, dall’inizio della rivolta (poco più di un anno fa) le vittime sarebbero 9 mila in tutto il Paese. Human Rights Watch accusa le bande di Assad di aver freddato in vere e proprie esecuzioni oltre centro persone negli ultimi tre mesi: civili inermi o insorti che si erano arresi. «Nel tentativo spietato di calpestare la ribellione—spiega Ole Solvang, ricercatore dell’organizzazione per i diritti umani — il regime ha ammazzato a sangue freddo, in pieno giorno e davanti a testimoni: evidentemente gli assassini non sono preoccupati delle possibili conseguenze».


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