giovedì 17 febbraio 2011

IL CONFLITTO ISRAELO PALESTINESE 5a parte

Il trattato di pace che Israele aveva siglato con l'Egitto e subito dopo con la Giordania aveva creato nell'opinione pubblica israeliana la convinzione che ormai lo stato ebraico poteva cominciare a vivere in una condizione di sicurezza. A neutralizzare gli sporadici tentativi di rivolta dei palestinesi di Cisgiordania e di Gaza era sufficiente usare con la dovuta durezza un'articolata attività repressiva che andava dalla deportazione all'espulsione degli elementi ritenuti più pericolosi, alla distruzione delle abitazioni, delle famiglie di soggetti sospettati di essere simpatizzanti dell'OLP, alla distruzione dei raccolti, degli uliveti e delle piantagioni di agrumi. Le carceri israeliane arrivarono ad avere circa 10 mila prigionieri politici. A supplemento di tutti questi accorgimenti andò intensificandosi la costruzione nei territori occupati di un reticolo sempre più fitto di installazioni militari e di colonie strategiche armate fino ai denti, che sottraevano all'avversario le terre più fertili e minavano dalla base l'ipotesi di uno stato palestinese autonomo con un suo credibile territorio. L'ultima pennellata dell'oppressione israeliana erano gli assassini mirati  della Mossad (il servizio segreto israeliano) consumati ai danni dei personaggi di spicco della società palestinese trasferiti all'estero: tra gli altri un pacifico poeta da anni residente a Roma e fraterno amico dell'ebreo Alberto Moravia e di Pierpaolo Pasolini. Rimaneva la spina nel fianco della presenza organizzata dell'OLP nelle basi libanesi dove i palestinesi si erano inseriti nella ultra ventennale guerra civile a schieramenti variabili di tutti contro tutti (cristiani contro musulmani, musulmani sunniti contro sciiti, drusi contro tutti, siriani molto elastici nella scelta degli alleati) che era tuttavia sostanzialmente una lotta tra le forze economicamente dominanti costituite dalla ricca borghesia libanese per lo più cristiana e le popolazioni arabe relegate nelle fasce più basse della società che nei palestinesi trovavano un naturale alleato.
Le truppe israeliane, per stroncare gli sporadici attacchi contro gli insediamenti della Galilea settentrionale che, per la verità, non facevano gran danno, sferrarono ripetuti attacchi contro il territorio libanese fino ad occuparne, in stretta alleanza con le bande cristiano maronite, la parte a sud del fiume Litani: alle azioni di terra fecero riscontro spietati bombardamenti che distrussero le città di Tiro e Sidone e, soprattutto i campi di profughi che vi erano stanziati.
Nel 1982 infine Israele concepì un'operazione di vaste dimensioni che venne denominata "Operazione pace in Galilea". Nel Giugno 1982 l'esercito della stella di David invase il Libano sotto la guida del ministro della difesa israeliana Ariel Sharon con lo scopo di ridurre al silenzio l'OLP. Il sanguinoso conflitto che ne seguì attirò su Israele la disapprovazione della comunità nazionale, anche per la ferocia con cui l'invasione venne portata avanti. Beirut venne bombardata ininterrottamente per oltre un mese; giunti alla periferia della città gli israeliani si fermarono per cedere il passo alle milizie cristiano maronite desiderose di vendicare l'uccisione del loro leader Bashir Gemayel. Grazie all'illuminazione a giorno organizzata dagli israeliani i miliziani cristiano maroniti si scatenarono contro le inermi popolazioni dei campi profughi di Sadra e Chatila e vi massacrarono 3000 persone soprattutto donne e bambini. L'efferatezza di tale massacro portò ad un voto di condanna da parte dell'assemblea generale dell'ONU e persino le dure critiche del presidente americano Ronald Reagan, che intimò telefonicamente al primo ministro israeliano Begin di interrompere immediatamente tutte le operazioni militari a cominciare dal bombardamento di Beirut. Il primo ministro si dimise e salì al potere Isaack Shamir, che non poté non obbedire alle intimazioni del protettore americano ordinando il ritiro delle truppe israeliane. In cambio con la mediazione statunitense l'impero stato maggiore dell'OLP ottenne il salvacondotto per lasciare il Libano e per trovare rifugio a Tunisi, dove i palestinesi ripresero la loro azione diplomatica. Il ministro della difesa Sharon, messo sotto accusa per crimini di guerra, dalla maggioranza del parlamento israeliano, fu dall'alta corte di giustizia di Gerusalemme costretto al ritiro dalla vita politica.
Una svolta importante si registrò in campo palestinese nel Dicembre 1987 con lo scoppio in Cisgiordania della prima "Intifada" (rivolta) e cioè con la sollevazione spontanea dei territori occupati che l'esercito israeliano tentò, senza riuscirci, di stroncare con una repressione che fece inorridire il mondo intero: l'opinione pubblica mondiale ebbe infatti modo di assistere al tragico spettacolo di migliaia di giovani palestinese che affrontavano le truppe corazzate israeliane a sassate, mentre i soldati israeliani, scesi dai carri, li catturavano e spezzavano loro le gambe e le braccia a colpi di calci del fucile. Particolare raccapriccio suscitò la scena trasmessa nelle televisioni di tutto il mondo di un padre che cercava di proteggere con le mani il figlioletto di 10 anni dal tiro a segno dei soldati israeliani. Le atrocità crearono finalmente una svolta nell'opinione pubblica mondiale, non più disposta a credere alla favola dell'agnellino israeliano (un carro armato ha famiglia) esposto alla ferocia genocida di masse arabe assetate di sangue. Arafat capì che era il momento di una scelta coraggiosa e, dopo un memorabile discorso tenuto all'assemblea dell'ONU, dove finalmente una delegazione palestinese era stata ammessa come "osservatrice" proclamò nel Novembre del 1988 la nascita dello stato indipendente palestinese che, pur avendo confini indefiniti, doveva nei propositi del consiglio generale dell'OLP comprendere Gaza, la Cisgiordania e Gerusalemme est. Arafat venne nominato presidente del potenziale stato e il consiglio generale dell'ONU deliberò il riconoscimento del diritto di Israele all'esistenza, togliendo così dall'arco della propaganda sionista la freccia della possibilità di una nuova Shoah da parte degli arabi.

martedì 15 febbraio 2011

CONFLITTO ISRAELO PALESTINESE 4a parte

L'espulsione dell'OLP dalla Giordania, cui seguì la morte di Nasser e la "elezione" di Sadat alla presidenza dell'Egitto avrebbe potuto consigliare gli israeliani a cogliere l'occasione più favorevole per giungere ad una pacifica sistemazione del loro conflitto con il mondo arabo e, in particolare, con il popolo palestinese. Molto più di Nasser, Sadat era disponibile a seguire una politica "guidata dal governo americano, che in politica estera era ispirato alla realpolitik del segretario di stato Henry Kissinger che, non si era opposto a una deliberazione dell'assemblea generale delle nazioni unite, la quale aveva ribadito la necessità di costituire uno stato palestinese indipendente nei territori occupati da Israele nella guerra dei sei giorni (Striscia di Gaza, Gerusalemme est, Cisgiordania). Con l'Egitto la pace si sarebbe potuta realizzare attraverso la restituzione della penisola del Sinai mentre con la Siria sarebbe stato sufficiente restituire le colline del Golan, nel quadro di un principio "restituzione dei territori in cambio della pace".
In buona sostanza si richiedeva una sorta di ammissione del debito israeliano nei confronti del mondo arabo, e in particolare un gesto generoso incentrato su un progetto di patria palestinese. Perché questo risultato fosse possibile sarebbe stata necessaria una classe politica sionista capace di una visione storica e morale; e invece i governi di Israele erano costituiti da un personale mediocre e da una classe di demagoghi tutti presi dai loro calcoli elettorali, pronti a cavalcare le ondate ultra nazionaliste, ultra religiose ed espansioniste scaturite dalla vittoria; e in tal modo restò in capo ad Israele il peso e la responsabilità della "mancata ammissione di un debito". In concreto una delle occasione di pace perdute si ebbe nel 1971 quando l'ONU affido allo svedese Gunnar Jarring l'incarico di una mediazione. Il diplomatico scandinavo parlò a lungo con le delegazioni israeliane ed egiziane e, in forma non ufficiale con i rappresentanti dell'OLP; alla fine egli scrisse due lettere di identico tenore ai governi di Sadat e di Golda Meir. A Sadat fu chiesto: "Se Israele restituisce i territori occupati nel 1967 siete pronti a firmare un trattato di pace?". Sadat rispose di si. A Golda Meir venne chiesto: "Siete pronti a restituire la penisola del Sinai all'Egitto e le alture di Golan alla Siria oltre a consentire che in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza nasca finalmente uno stato palestinese se i governi arabi si dicono disposti a una pace definitiva?". Nel governo israeliano il solo ministro degli esteri Abba Eban era per una risposta affermativa gli altri, da Golda Meir a Moshe Dayan risposero di no e proclamarono l'ammissione della parte araba di Gerusalemme e delle alture di Golan.
L'opinione pubblica israeliana fu ancora più drastica e nelle elezioni del 1972 diede la maggioranza allo schieramento di destra guidato dal Likud che nominò primo ministro l'ex terrorista Menachem Begin. Kissinger si convinse che era il momento di intervenire sia pure sotto banco e assecondò, di fronte all'arenarsi di ogni iniziativa diplomatica, una guerra di cui dovevano essere protagonisti l'Egitto e la Siria. Il nuovo conflitto esplose il 6 Ottobre 1973 (cosiddetta guerra del Kippur). Gli eserciti egiziano e siriano colsero gli israeliani di sorpresa e le truppe egiziane riuscirono a varcare il canale di Suez ed a avanzare nel Sinai. L'esercito israeliano riuscì a bloccare l'attacco dopo giorni di dura lotta (l'armistizio fu firmato il 24 Ottobre) ma nonostante non vi fosse stata una sconfitta rovinosa, l'impatto psicologico della guerra fu disastroso per gli israeliani, il che inclinò notevolmente il prestigio della classe politica di governo. Alle elezioni del Dicembre 1973 i partiti di opposizione di destra guadagnarono terreno. Pur nell'instabilità governativa, che determinò la sostituzione di Golda Meir con Yitzhak Rabin, i laburisti continuarono ad essere il perno di ogni coalizione governativa, ma dopo 30 anni di indiscusso potere, il loro partito sembrava ormai logorato da contraddizioni di fondo come l'antinomia tra socialismo e capitalismo e quella fra sciovinismo anti arabo e pacifismo. Il governo israeliano riconsegnò una piccola parte dei territori strappati ad Egitto e Siria, ma i parzialissimi accordi stipulati non rappresentarono reali passi avanti verso il raggiungimento di una vera pace. Anche riguardo alla questione palestinese Israele continuò a rifiutare di considerare l'OLP, un valido interlocutore, anche perché nonostante esso fosse ormai relegato a un sostanziale esilio in Libano le sue azioni di guerriglia e di terrorismo non si erano mai interrotte e avevano anzi raggiunto il punto più alto con l'attentato alla squadra olimpionica israeliana nelle olimpiadi di Monaco (operazione denominata "Settembre Nero", Ottobre 1972).
Nel 1977 Rabin fu costretto a dimettersi e a indire elezioni anticipate; le consultazioni premiarono nuovamente il Likud e portarono a un'alleanza di raggruppamenti di destra, che costituì un governo guidato ancora una volta da Begin. Questi intavolò un negoziato di pace diretto con il Cairo, che si concluse nel 1979 con la firma dell'atteso trattato di pace tra Israele ed Egitto (accordi di Camp David). Le nuove elezioni confermarono la maggioranza di destra e Begin ricoprì nuovamente la carica di primo ministro. Egli compì tutti i passi necessari a rafforzare la pace con l'Egitto compresa la restituzione del Sinai 1982; ma nei confronti dei palestinesi di Gaza e di Cisgiordania, il primo ministro israeliano rimase fermo nella convinzione di non poter andare oltre una limitata autonomia. Egli decise inoltre (Dicembre 1981) di annettere le alture di Golan strappate ai siriani.
La miope posizione israeliana nei confronti dell'OLP non aveva assolutamente tenuto conto dei decisi mutamenti avvenuti nel campo arabo palestinese. Nel 1974 il mondo arabo riconobbe il diritto esclusivo dell'OLP a rappresentare il popolo palestinese e convinse l'organizzazione a percorrere le vie della diplomazia pur senza abbandonare la lotta armata. L'OLP stabilì allora che il suo obbiettivo era la costituzione di uno stato palestinese nei territori occupati da Israele, dove continuavano a insediarsi numerose colonia ebraiche. La diligenza palestinese, dal canto suo aveva ricostituito le proprie basi in Libano dove, nei campi profughi, si trovavano negli anni 70' circa 500 mila palestinesi: da li partivano continue incursioni contro obbiettivi in territorio israeliano.

lunedì 14 febbraio 2011

IL CONFLITTO ISRAELO PALESTINESE 3a parte

Il generale moto di rinascita dei popoli arabi, che si sviluppò a partire dal 1951 e procedette per quasi un ventennio, ebbe come tappe più significative la vittoriosa guerra di liberazione algerina, la piena indipendenza della Tunisia sotto la guida di Habib Bourguiba, il rovesciamento della monarchia senussita di Libia e l'avvento al potere del colonnello Gheddafi, il pieno affrancamento da ogni controllo coloniale dell'Iraq, del Libano e della Siria. Nei suoi aspetti non sempre positivi al centro del moto di rinascita vi fu la figura del leader egiziano Gamal Abd El-Nasser che diede vita a un generale movimento politico più tardi definito panarabismo nazionalista socialisteggiante o "socialismo arabo".
Solo la popolazione araba di Palestina, sia quella rimasta in Cisgiordania e a Gerusalemme Vecchia, sotto sovranità giordana, sia il milione circa di profughi disseminati in condizioni drammatica di disperazione, di miseria e persino di fame non risentirono molto del generale moto di riscossa, anche se i diversi regimi arabi non mancarono di usarli come pedina propagandistica per rafforzare le proprie istanze di egemonia.
Negli stessi anni andava invece aumentando la potenza militare ed economica dello stato di Israele, pur tra continue crisi di governo e una lotta politica inter partitica particolarmente accesa. Al rafforzamento di Israele contribuì il sempre crescente sostegno fornito sotto il profilo finanziario e militare dai vari governi statunitensi, non tanto e non solo per la grossa influenza che la lobby ebraica esercitava sull'opinione pubblica e sulla finanza statunitense, quanto invece perché gli americani, dopo la vicenda del 1956, avevano intravisto in Israele un possibile bastione da porre a sentinella degli interessi petroliferi USA in medio oriente. A rafforzare Israele contribuì anche l'adozione della cosiddetta "Legge del Ritorno", in forza della quale chiunque fosse di religione ebraica poteva emigrare in Israele ottenendo la piena cittadinanza; il che consegnò allo stato sionista una consistente riserva di addestrati piloti americani.
Naturalmente gli israeliani di qualsiasi tendenza politica non avevano affatto rinunciato al proposito di occupare l'intera Palestina: bastava solo che si presentasse l'occasione favorevole, e questa non tardò ad arrivare.
Alla fine della guerra per il canale di Suez l'assemblea generale dell'ONU aveva deliberato di schierare un corpo di frapposizione ai confini orientali della penisola del Sinai, lungo una serie di postazioni che andavano da Suez al Porto di Aqaba. Nel Maggio 1967, più per motivi propagandistici che per convinzione fondata su una potenza militare in gran parte inesistente, Nasser minacciò di bloccare gli stretti di Tiran e le navi israeliane in partenza dal Porto di Eilat, e a questo fine intimò al segretario generale dell'ONU, il birmano U-Thant di ritirare il contingente dei caschi blu. Questi fece un errore di grave dabbenaggine; e il governo israeliano accampando a pretesto le minacce di blocco formulate da Nasser scatenò ai primi di Giugno l'intera sua aviazione, che distrusse al suolo il 90% degli aerei egiziani. Prive di copertura aerea, le truppe corazzate egiziane di stanza nel Sinai vennero letteralmente cancellate nel giro di 6 giorni e Nasser fu costretto a chiedere l'armistizio. Intanto Israele, oltre all'intera penisola del Sinai fino al canale di Suez aveva annientato la legione araba giordana, occupato l'intera Cisgiordania, Gaza e la parte araba di Gerusalemme; rimasta sola, la Siria, tentò di fronteggiare l'offensiva israeliana ma la superiorità delle truppe corazzate ebraiche sfondò le linee siriane e rese possibile l'occupazione delle alture di Golan, che rivestivano una particolare importanza non solo strategica, ma anche economica perché si trovano in esse le sorgenti del fiume Giordano.
Mentre Nasser presentava le dimissioni al parlamento egiziano, assumendosi la responsabilità della irreparabile sconfitta (ma il voto unanime del parlamento e le imponenti manifestazioni di massa in suo favore lo indussero a ritirarle), il ministro della difesa israeliano, il generale Moshe Dayan poteva annunciare trionfalmente che ora Israele aveva riconquistato i territori dell'antico regno di David e che, data la forza delle sue nuove posizioni, si poteva permettere di proporre al re di Giordania una fantomatica confederazione israelo giordana nella quale naturalmente la parte del leone l'avrebbe svolta Israele. La proposta venne respinta dalla maggioranza dei partiti israeliani, i quali avevano fatto i conti con il futuro mortale pericolo della incontrollabile crescita demografica della popolazione araba inglobata che, secondo accurati calcoli, avrebbe nel giro di un trentennio portato gli ebrei ad essere minoranza nel nuovo ipotizzato stato allargato. Tra i più accaniti oppositori all'ipotesi di Dayan vi era il comandante dell'esercito israeliano che aveva annientato nel Sinai le truppe nemiche e che si era distinto per la spietata ferocia con la quale aveva eliminato migliaia di prigionieri egiziani che si erano arresi per non rallentare la sua avanzata e altre migliaia gli aveva abbandonati feriti nel deserto, dove morirono di sete.
Eppure, proprio nel momento del massimo trionfo cominciò a profilarsi all'orizzonte un nuovo grave pericolo.
Stanchi di essere soggetti passivi, trascurati e senza speranza nel futuro, i profughi palestinesi stavano riscuotendosi dallo shock provocato dalla "catastrofe" del 1948. Già nel 1964 era stato convocato a Gerusalemme est un congresso nazionale palestinese nel corso del quale era stata fondata l'organizzazione per la liberazione della Palestina (OLP) con l'obbiettivo di abbattere lo stato sionista e di costituire uno stato laico multinazionale in cui dovevano avere diritto di cittadinanza gli arabi musulmani e cristiani, e gli ebrei nati in Palestina prima del 1920. Dopo la disfatta degli eserciti arabi nella guerra dei 6 giorni la guida dell'OLP passò ad una nuova generazione politica formata da persone di diversa formazione ideologica ma concordi nello sforzo di riconoscersi in un nazionalismo palestinese, distinto da quello arabo a guida nasseriana, nella convinzione che solo la lotta armata avrebbe potuto porre le basi per l'affermazione dei diritti palestinesi dando ad essi visibilità a livello internazionale.
Il gruppo che si mise maggiormente in luce fu Al-Fatah, fondato da un ingegnere originario di Haifa, Abu Ammar, destinato a diventare famoso con il nome di Yasser Arafat. Al-Fatah entrò nell'OLP nel 1969 e vi assunse subito un ruolo di guida, mentre Arafat diventava presidente dell'organizzazione. Altri gruppi che in quello stesso periodo vennero fondati furono: il fronte popolare per la liberazione della Palestina (FTLP) di orientamento marxista lieninista e preceduto da un ingegnere cristiano conosciuto con il nome di George Habash; il fronte democratico popolare per la liberazione della Palestina (FDPLP) presieduto dal maestro Nayef Hawatmeh, anch'egli cristiano e di orientamento marxista. La resistenza palestinese si identificò in breve tempo con l'OLP, un fronte in cui vennero riconoscendosi tutti i gruppi politici e militari palestinesi e che, nei rapporti con gli stati arabi rivendicò immediatamente il diritto di essere considerato l'unico legittimo rappresentante degli interessi palestinesi.
Questa presa di posizione portò a un inevitabile scontro con re Hussein di Giordania il quale rivendicava per se tale ruolo, sia perché la maggioranza della popolazione giordana era formata da profughi palestinesi, sia perché egli non aveva rinunciato alle prerogative del nonno Abdullah.
Quasi sicuramente finanziato e armato dagli israeliani re Hussein, accusando l'OLP di tramare un colpo di stato a suo danno scatenò contro l'OLP le sue forze armate. I palestinesi, benché inferiori di numero si batterono come leoni e per l'intero mese di Settembre 1970, tennero testa alle truppe giordane. Alla fine essi dovettero rassegnarsi ad accettare la mediazione di Nasser che gli convinse a trasferire le loro basi operative dalla Giordania al Libano, dove erano stanziati non meno di 200 mila profughi.

domenica 13 febbraio 2011

IL POPOLO EGIZIANO HA VINTO!

Non credo che nella storia moderna ma forse neanche in quella passata, l'Europa ha potuto assistere allo spettacolo di 2 milioni di cittadini di un paese che scendono nelle piazze disarmati, resistono giorni e giorni agli assalti sanguinosi della polizia di regime, resistono ai ripetuti attacchi della teppa reclutata dal potere e costringono alla fine un dittatore trentennale a togliere il disturbo e a mollare il trono che, grazie al saccheggio delle risorse del suo paese, gli ha fruttato una ricchezza valutata in sessanta miliardi di dollari, imboscata nelle banche di tutto il mondo, in gigantesche operazioni immobiliari e in commerci speculativi di ogni tipo. Il prodigio, se così vogliamo chiamarlo, è riuscito al popolo egiziano: un popolo di cui si dimentica una storia millenaria che è stata forse uno dei punti di partenza di quella che si è soliti chiamare la civiltà umana; un popolo che ha seguitato ad essere nei secoli più bui dei medioevo europeo, un faro di cultura e di scienza grazie ad una delle più antiche università della storia e in virtù della potenza creatrice sprigionata dall'Islam. A questo popolo i boriosi colonizzatori europei, francesi prima e inglesi poi, pretesero nella seconda metà dell'800 di imporre un dominio coloniale mascherato dietro la parola "protettorato e, successivamente una monarchia corrotta e vorace il cui ultimo re fu per un decennio il protagonista delle gozzoviglie che i potenti di ogni tipo amavano consumare in Italia nella fantasmagorica Via Veneto di Roma. E fu dall'Egitto, che sia pure fra molti limiti, partì negli anni 50' il primo grande moto di riscossa del mondo arabo che portò alla liberazione del Marocco e della Tunisia, alla vittoriosa rivoluzione algerina (costata un milione di morti), al rovesciamento delle monarchie asservite allo straniero della Libia e dell'Iraq. Alla testa di quel movimento di riscossa vi fu, pur con tutti i suoi limiti, il colonnello Gamal Abd Al-Nasser, protagonista di quel processo che ricevette il nome di panaradismo nazionalista o del cosiddetto "socialismo arabo". Poi Nasser subì un'irreparabile sconfitta nella guerra dei sei giorni combattuta contro Israele e fu schiantato dal dolore nell'assistere al tragico spettacolo dei palestinesi massacrati a migliaia dal piccolo, sanguinario re di Giordania Hussein. Dopo di lui il potere passò nelle mani di un altro capo militare, Anwar Sadat, di cui si ricorda l'asservimento della politica egiziana agli interessi statunitensi in Medio Oriente: fu Sadat a siglare la pace separata con Israele, quasi sicuramente sotto la guida abile e cinica di Henry Kissinger, segretario di stato americano; e fu sempre Sadat ad offrire agli occhi dell'oppresso popolo palestinese il triste spettacolo di un capo di stato arabo che baciava e abbracciava con un sorriso servile sulle labbra un assassino come Menahem Begin già capo dell'Irgun diventato primo ministro israeliano. Sadat ricevette in coppia con Begin il premio nobel per la pace, ma alcuni patrioti egiziani non gliela perdonarono e lo giustiziarono, mentre la lega araba espulse dal suo seno l'Egitto.
Fu al suo posto che assunse un potere di fatto dittatoriale una figura che gli stessi suoi protettori occidentali definirono scialba e priva di qualità: quell'Osni Mubarak che, protetto da una polizia segreta spietata e torturatrice e da un regime di stato d'emergenza privo di ogni giustificazione che in questi giorni è stato cacciato a furor di popolo, grazie anche al sostegno responsabile delle forse armate egiziane, che qualcuno ha avuto la spudoratezza di definire "colpo di stato": ma, ammettiamolo è veramente originale un colpo di stato che si consuma mentre dieci milioni di persone festeggiano in tutte le città d'Egitto, e giù a sud fino al più profondo delle campagne del Nilo, agitando centinaia di migliaia di bandiere riversandosi nelle strade con in braccio i figlioletti in tenera età e adottando come motto lo stesso che ha guidato Barack Hussein Obama alla vittoria nelle elezioni presidenziali americane: "Yes, we can!".
Non più tardi di qualche mese fa l'occidente si stracciò le vesti di fronte alla persecuzione dei cristiani in Egitto, perchè una mano armata non si sa da chi aveva consumato un efferato massacro con 24 vittime davanti a una chiesa copta di Alessandria d'Egitto.
Ve lo ricordate Benedetto XVI ripetere con voce accorata in tre successivi "Angelus" domenicali di come fosse in atto da parte dei musulmani una persecuzione anti cristiana? Anche a questa falsificazione il popolo egiziano ha dato una meravigliosa risposta di fratellanza e di tolleranza inter religiosa. Nel venerdì di preghiera celebrati in piazza dai musulmani, a proteggere la folla inginocchiata dagli attacchi omicidi dei malviventi prezzolati da Mubarak c'erano i cristiani copti; e quando la domenica erano questi ultimi a recitare nella piazza le loro preghiere, erano i musulmani a difenderne l'incolumità. Le avete viste, cinici teorizzatori dello scontro di civiltà e delle guerre di religione , le bandiere egiziane mostrare al mondo la mezzaluna e la croce unite su un'unica bandiera? E di cosa andate cianciando squallidi profeti di sventura di cui colpisce la totale ignoranza mescolata all'abissale malafede, sul pericolo che l'Egitto possa replicare quant'è avvenuto in Iran?
Un fantasma agita in questi giorni i sogni di quanti hanno dovuto fare buon viso a cattiva sorte di fronte alla vittoria della rivoluzione senza armi del popolo egiziano: i Fratelli Musulmani, presentati come una sorte di succursale di Al-Qaeda, che può essere manovrata dallo sceicco del terrore, il saudita Osama Bin Laden. E allora parliamone di questi terribili fratelli.


Dal punto di vista storico i Fratelli Musulmani sono un'organizzazione dell'integralismo islamico sorta in Egitto nel 1928 ad opera di Hassan Al-Badmah. Richiamandosi a una rigorosa applicazione dei concetti coranici nella vita individuale e nell'organizzazione sociale i Fratelli Musulmani propugnavano un ritorno all'originale purezza islamica (quella che aveva caratterizzato la città di Medina sotto il governo diretto del Profeta Muhammad e dei primi quattro califfi considerati "I Compagni Ben Guidati" dello stesso Profeta). In questo ambito essi si battevano contro ogni contaminazione con la cultura occidentale considerata corruttrice ed estranea ai valori dell'Islam: a voler fare un parallelismo esplicativo si potrebbe dire che il loro rigorismo era accostabile al rigorismo dei Giacobini durante la Rivoluzione Francese; e questo spiega perché i Fratelli si diffusero soprattutto nella piccola borghesia artigianale e fra i professionisti, soprattutto nelle città.
Sotto il profilo politico i Fratelli Musulmani portarono avanti una radicale opposizione alla dominazione coloniale britannica, che si estese ovviamente alla casa regnante d'Egitto, sostanzialmente succube nei confronti della Gran Bretagna: ciò spiega perché uno degli argomenti più usati nella propaganda contro di loro vi fu quello di essere simpatizzanti dei regimi fascisti e del nazismo.
Quando l'Egitto giunse all'indipendenza essi tentarono di condizionare l'azione dei governi secondo i loro programmi: e questa, chiaramente è una caratteristica che i Fratelli Musulmani hanno in comune con tutti i partiti, anche occidentali che sono l'opposizione, tanto più radicale quanto più le forze di governo di contraddistinguono per la loro corruzione e per la loro incapacità.
Quando in Egitto gli alti ufficiali dell'esercito guidati da Nasser rovesciarono re Faruk con un colpo di stato i Fratelli Musulmani furono in qualche modo una base di consenso di massa nei confronti della svolta nazionalista e anti occidentale del golpe; fu solo quando Nasser impresse una svolta autoritaria al suo potere che essi divennero violentemente ostili nei confronti del dittatore, di cui, oltretutto non condividevano una "laicità" abbastanza simile a quella di Kemal Pascia Ataturk in Turchia. Nel 1954 una frangia autonoma dei Fratelli Musulmani fu accusata di aver architettato un attentato per eliminare Nasser, circostanza questa che fornì a quest'ultimo di dichiararli movimento anti nazionale e di metterli fuori legge, anche se godevano dell'appoggio politico di almeno della metà della popolazione urbana d'Egitto.
Morto Nasser e salito alla presidenza Amwar Sadat, ne avversarono politicamente le aperture all'occidente e contestarono con durezza quelle ad Israele. La firma degli accordi di Kant David, che portarono alla pace tra Egitto e Israele, essi intensificarono i loro attacchi fino ad organizzare l'attentato nel quale venne ucciso lo stesso Sadat (Ottobre 1981).
Pur colpiti dalla durissima repressione governativa (migliaia di essi finirono nelle prigioni e, consegnati alla polizia segreta vennero sottoposti a efferate torture e non di rado andarono ad ingrossare il numero degli "scomparsi", i Fratelli Musulmani mantennero largo seguito nel paese anche quando Mubarak assunse il potere dittatoriale. La loro principale attività fu quella di organizzare manifestazione di massa anti governative che, naturalmente vennero considerate in occidente come iniziative destabilizzanti del potere del loro fedele alleato. Nonostante tutto negli anni 80', oltre che in Egitto e in Siria i Fratelli Musulmani risultavano attivi nell'intera area medio orientale e in Libia. Favoriti dal diffondersi del fondamentalismo religioso, che, del resto era stato sempre un elemento distintivo della loro identità, i Fratelli Musulmani, dai primi anni 90' hanno sempre affermato la loro visione anti europea e anti americana soprattutto in coincidenza durante le due guerre contro l'Iraq, anche se essi non avevano alcun rapporto con il nazionalismo socialista di Saddam Hussein. Una critica serrata essi cominciarono a rivolgerla anche nei confronti di Arafat e dell'OLT (Organizzazione per la liberazione della Palestina) dopo che questi aveva fermato nel 1993 i primi accordi con Israele. L'accusa di essere gli ispiratori del movimento di Hamas, praticamente maggioritario nella striscia di Gaza non ha molto fondamento; e ancora meno ne ha l'accusa di essere gli ispiratori di Hezbollah (il Partito di Dio), formato dagli sciiti libanesi e sostenuto invece dall'Iran.
In realtà le accuse non espresse ma fondate che gli occidentali dovrebbero rivolgere ai Fratelli Musulmani sono essenzialmente due:
1 - La prima accusa riguarda il ruolo reale che essi hanno svolto nei 30 anni del regime di Mubarak: grazie al loro carattere di confraternità i Fratelli Musulmani hanno organizzato una fitta rete di strutture assistenziali nei confronti dei ceti più poveri della popolazione egiziana; particolarmente importante è stata la loro lotta contro l'analfabetismo di massa che caratterizza il sotto proletariato urbano e le masse dei contadini;
2 - L'altra accusa dovrebbe essere quella di essere dei coerenti musulmani: per un' Europa largamente scristianizzata o "mondanizzata" il fatto che una forza politica tragga aspirazione e forza dalla fede religiosa dei suoi sostenitori è Tout Court, "fondamentalismo estremista potenzialmente terroristico", anche se non esiste la sia pur minima prova che i Fratelli Musulmani abbiano rapporti con la rete di Al-Qaeda.
Non va neppure sottaciuto che la corrente fortemente maggioritaria dei Fratelli Musulmani sostiene una tesi estremamente pericolosa per i sostenitori della globalizzazione di marca occidentale e capitalistica: si sostiene infatti da parte loro che i principi di giustizia e di solidarietà presenti nel Corano non sono affatto incompatibili con un mondo moderno dominato dallo sfruttamento dell'uomo sull'uomo, dal razzismo e dall'eurocentrismo.
In sostanza i Fratelli Musulmani sono pericolosi agli occhi dell'occidente perché sono ARABI DI RELIGIONE ISLAMICA, niente affatto succubi rispetto a un clero che nell'Islam sunnita non esiste. Quanto alle accuse di voler riprendere la guerra contro Israele (come ha lasciato intendere Simon Peres), va solo ricordato che in Palestina la parte che non ha mai cessato la guerra di aggressione, di occupazione militare e di oppressione è proprio lo stato di Israele.


Voglio concludere queste osservazioni sugli eventi egiziani richiamando l'attenzione dei connazionali su una circostanza: i milioni di manifestanti anti Mubarak non si sono mai abbandonati durante la loro lotta a saccheggi, furti, assalti ai negozi e agli alberghi; tutte le loro manifestazioni sono state improntate alle regole della non violenza e dell'autodifesa. Il giorno in cui sono state annunciate le dimissioni di Mubarak, migliaia di giovani e di meno giovani manifestanti hanno proseguito la loro rivoluzione armati di scope e di detersivi per pulire la grande piazza Tahir.

giovedì 10 febbraio 2011

La bimba africana all´asilo senza il pasto Veneto diviso tra razzismo e solidarietà

 Fossalta di Piave: alla piccola di quattro anni viene sospesa la mensa, le maestre offrono i loro ticket Il sindaco leghista si oppone e in paese serpeggia la rabbia: "Confermati i peggiori stereotipi su di noi". L´indignazione corre sul filo, dilaga sulla rete e scuote il mondo del volontariato

Putiferio in Veneto attorno a una bimba di nome Speranza. La storia è quella di un´africana di quattro anni che non ha i soldi per la refezione all´asilo. Siccome nessuno provvede, le maestre regalano alla piccola i loro buoni pasto e notificano la cosa al sindaco. Ma questo le blocca e dice: date pure il vostro cibo, ma non i buoni comunali, perché sarebbe danno erariale. Le maestre rinunciano, e la piccola torna a casa a mezzogiorno, in lacrime. Succede nella pianura profonda, a Fossalta di Piave, a pochi metri dall´argine. Ignoti benefattori mettono mano al portafoglio, comprano i buoni e la piccina torna in classe dopo una breve assenza. Ma la cosa trapela e ora l´indignazione corre sul filo, dilaga sulla rete, scuote il mondo del volontariato e del buon solidarismo contadino. Sindaco leghista, maestrine pare di sinistra, lacrime di una bambina africana, una mamma confinata in casa e un papà musulmano, per giunta quasi imam. Ingredienti perfetti. Altro che secessione da Roma, commentano sul Piave, questa è una secessione dal Veneto, dalla sua anima migliore. Una storia di ordinaria ferocia, "la conferma di tutti gli stereotipi su di noi". "Che paghi Bossi", sta scritto sul blog della "Nuova", "Una schifosa deriva fascista"; "Silvio regala soldi alle puttane, qui non ce ne sono per una bambina innocente". Cose così. Ma il sindaco non prende botta e accusa le sinistre di essere loro a strumentalizzare la bimba innocente per bloccare la grande marcia verso il federalismo. Nebbia tremenda, l´intero Nordest pare avvitarsi attorno a questa bassura di canali e ipermercati dove Hemingway fu ferito e gli arditi sfondarono nell´estate del ´18. Un territorio spaesato, sparato troppo in fretta nella modernità, con il dieci per cento di stranieri, gli unici che passano intabarrati in bici. Su una lavagna appesa nel municipio in odor di razzismo c´è scritto: residenti 4.227, con 450 stranieri, di cui 383 extracomunitari. Le spese sociali sono quasi tutte per stranieri, il novanta per cento. Mi aspetto un sindaco feroce alla Borghezio e invece l´orco - nome Massimo Sensini - è un bancario gentile di piccola taglia che esce dal suo ufficio con un senegalese di nome Dundane, l´uomo che ha il compito di calmare le acque tra gli immigrati. «Vede? Dovremmo litigare, e invece ci aiutiamo». Tenta di farsi capire, dopo quelle parole mal dette o male interpretate. È stressato per la tempesta che si è abbattuta sui centralini del Comune e dell´asilo, e per il nervosismo degli alleati del Pdl. «Sono totalmente in disaccordo e non solo a titolo personale - mi ha appena detto Daniele Bincolato, uscito per dissensi dalla giunta - c´erano tanti modi per risolvere la cosa, e non si sono esplorati». Insomma, "se podea rumar". Si poteva arrangiare tutto senza impennate burocratiche, e molti non capiscono perché il sindaco si sia richiamato proprio alle leggi di Roma ladrona. Qui tutti lo sanno, e lo sa soprattutto la Lega: "Chi legi carteo no magna vedeo", chi bada troppo alle leggi sui cartelli, resta in braghe di tela e non mangia carne. Anche con la piccola Speranza bisognava non leggere cartelli, "far de scondion", muoversi di nascosto. Tutto attutito, sfumato, come la nebbia che esonda dal Fiume sacro della Patria. In Veneto nulla viene detto e fatto direttamente. A Montecchio Maggiore, altra roccaforte padana, il Tricolore issato lo scorso agosto su una ciminiera da un commando garibaldino è stato tolto di notte da una ditta di telefonia, per non dare nell´occhio e non esporre il Comune. «Legga», dice mettendomi un foglio davanti al naso. «È la mia risposta alle maestre. Prima dei dubbi erariali sulla donazione, le ho ringraziate per il loro atto di solidarietà. C´è scritto: sentito ringraziamento per il gesto di alto valore morale». Sì, ma lei ha dichiarato che il padre era un fondamentalista islamico. «Se ho fatto capire questo, mi dispiace. Io ho detto integralista, e sullo Zingarelli c´è scritto che vuol dire rigoroso nell´applicare la legge». Non è più la Lega di una volta. Ora è un partito di governo, una Dc curiale e attenta alle sfumature. «La situazione la risolveremo, ma non con i buoni pasto. Qui serve un intervento alla radice. C´è una mamma che non comunica, ci sono cinque figli e c´è un papà che è andato in Belgio in cerca di lavoro. La cosa è complessa». No, razzista proprio no, s´arrabbia. «Ma lo sa che stiamo mettendo in cantiere i corsi scolastici per le mamme straniere? Lo sa che siamo stati i primi a introdurre i voucher per le prestazioni di lavoro occasionale, che servono soprattutto gli stranieri?». Municipio a asilo, nuovi entrambi, si fronteggiano nella nebbia. Intorno, silenzio. Tace la madre che non sa l´italiano e vive semi-reclusa da anni, figurarsi ora che è finita sui giornali. Tacciono le maestre ribelli, per timore di sanzioni. Tace la chiesa, maestra del non-dire. Tace persino la Lega a livello regionale, per non esporsi con la Curia che non si sa mai. E poi c´è un sindaco che ha fatto pochino per spiegarsi, non si sa se spiazzato o lusingato dalla visibilità piovuta sul suo paese a quota zero. E così, nel mezzo del frastuono, l´epicentro della storia resta avvolto in un mormorio da confessionale.

Quel che non emerge con la dovuta chiarezza è che la xenofobia razzistica che imperversa nel veneto leghista non è generica ma è specificamente rivolta contro chiunque professi la fede musulmana. questa è la regione nella quale a malapena si commemorano le grandi battaglie della prima guerra mondiale, ma sono invece attivi i comitati per commemorare la vittoria della flotta cristiano contro i turchi a Lepanto; è anche la regione nella quale esiste una diffusa campagna di odio contro le moschee, costrette a nascondere la loro identità dietro le più fantasiose denominazioni; dove un sindaco leghista di sesso femminile, primo cittadino di Thiene dichiara senza vergognarsi alla stampa che non è scritto da nessuna parte che i musulmani hanno diritto ad avere luoghi di culto (e l'Articolo 19 della Costituzione dove lo mettiamo?); ma è anche la regione dove il presidente Zaia proclama solennemente "Basta moschee nel Veneto!" (di moschee vere e proprie non ce ne neanche una); dove degli insegnanti di religione (cattolica) dedicano la loro lezione a commentare la ferocia del padre marocchino che ha sgozzato la figlia; e potrei seguitare fino a riempire l'intera pagina.
Sul caso cui si riferiscono gli articoli che precedono mi basta sottolineare un elemento non casuale: il padre di 5 figli rimasto senza lavoro e costretto a cercarne in Belgio (e la cui bambina è stata oggetto dell'odioso episodio raccontato) non è un africano qualunque: è invece un mezzo imam musulmano, sicuramente fondamentalista e simpatizzante del terrorismo (di che altro se no?).

mercoledì 9 febbraio 2011

IL CONFLITTO ISRAELO PALESTINESE - 2a parte

Nonostante il piano di spartizione votato dall'ONU fosse stato più che generoso nel delimitare i confini dello stato di Israele, successivamente allargati in seguito alla vittoriosa guerra contro la coalizione araba, il governo israeliano, guidato dal laburista Ben Gurion, appoggiato dall'intero gruppo dirigente sionista, si oppose immediatamente alla eventuale nascita di un parallelo stato arabo-palestinese che, pure era stato votato dalla stessa assemblea delle nazioni unite. Ad onta dei ripetuti propositi pacifici israeliani laburisti, nazionalisti, partiti religiosi ortodossi ed ultra ortodossi, nonostante i durissimi contrasti che gli opponevano in politica interna, erano compatti nel respingere l'idea stessa di un possibile stato arabo-palestinese. Il ministro degli esteri Golda Meir enunciò la linea della politica estera israeliana con una frase destinata a rimanere famosa: "Palestinesi? Non esiste un popolo palestinese. Esistono solo arabi di Giordania e ebrei di Israele".
Per motivare una si fatta linea di espansionismo esasperato ed aggressivo i governi e i politici israeliani di ogni tendenza, dai laburisti Ben Gurion e Golda Meir fino agli ultra conservatori Menachem Begin e Isaak Shanir, già comandanti dell'Irgun agitarono fin dall'inizio l'alibi della volontà di sterminio anti ebraico degli arabi. I leader sionisti ripetettero come una litania un retorico ritornello: "Dobbiamo difenderci dai loro propositi di annientamento dimostrati dal loro rifiuto di riconoscere l'esistenza di Israele. Noi vogliamo la pace, e se i nostri vicini ci propongono relazioni diplomatiche, siglano con essi un trattato di pace e non compiano atti ostili, noi saremo ben lieti di imboccare la strada della coesistenza pacifica".
Come prova degli intendimenti genocidi degli arabi gli israeliani diedero ampia diffusione alle carte geografiche preparate dal "nemico": in esse lo stato di Israele non esisteva; l'opinione pubblica europea, evidentemente ignorava o fingeva di ignorare che nelle carte geografiche israeliane della Palestina, la Cisgiordania, nella quale sarebbe dovuto nascere lo stato palestinese era indicata con i nomi ebraici di Giudea e di Samaria. Del resto i propositi pacifici israeliani furono per anni dimostrati dal modo arrogante con cui replicavano a chi poneva il problema del milione di profughi palestinesi scacciati dalle loro terre per far posto al "focolare ebraico". Del resto nell'intero territorio del neonato stato di Israele rimanevano ormai poco più di 150.000 arabi: la maggioranza di essi insediata nei comuni della Galilea e il resto costituito dalle tribù beduine disperse nel deserto del Neged.
Vi era comunque il problema di coprirsi le spalle tacitando le eventuali obiezioni del governo egiziano e le ambizioni di re Abdullah di Transgiordania, che poteva a giusto titolo rivendicare il fatto di essere l'unico governante arabo che non era stato sconfitto nella guerra appena conclusa. I due problemi vennero rapidamente risolti. All'Egitto, grazie alla mediazione inglese, venne di fatto ceduta la sovranità sulla striscia di Gaza dove viveva la maggioranza dei palestinesi non scacciati dall'ex Palestina. Con il re Abdullah, Golda Meir raggiunse un rocambolesco accordo che si raccontò fosse stato stipulato in una tenda beduina tra il re in persona e Golda Meir vestita da uomo: gli israeliani non ponevano obiezioni sul fatto che il re trans giordano si annettesse i fertili terreni di Cisgiordania, una cospicua parte del fiume Giordano e la parte araba di Gerusalemme, diventando in tal modo re di Giordania. In cambio egli garantiva che dai territori sotto il suo controllo non sarebbero mai partiti attacchi guerriglieri di disperati gruppi di profughi palestinesi, non rassegnati alla perdita definitiva delle loro case, dei loro villaggi e delle loro coltivazioni di ulivo e di agrumi.
Il re giordano pagò molto presto il suo tradimento. Un profugo palestinese lo freddo con tre colpi di pistola sulla spianata delle moschee di Gerusalemme e al suo posto salì sul trono di Giordania il fratello Talal, il quale aveva idee assai meno concilianti circa i rapporti con lo stato israeliano.
Il problema fu presto risolto. Prendendo a pretesto la sua decisione di licenziare l'inglese Grubb Pascià da comandante della legione araba, gli inglesi riuscirono a far interdire Talal come pazzo, lo fecero deporre dal trono e al suo posto insediarono il figlio 18enne Hussein, destinato a diventare famoso come Hussein di Giordania.
In quegli anni, in Egitto la confraternita dei Fratelli Musulmani fornì una forte base di massa al colpo di stato con il quale i quadri migliori dell'esercito egiziano spazzarono via il corrotto re Faruk e il suo governo filo inglese. Al loro posto il potere passo nelle mani delle forze nazionaliste a tendenza socialista guidate dal colonnello Abd El-Nasser, il quale dichiarò immediatamente che uno dei suoi propositi era quello di lavare l'onta della sconfitta riportata nel 1949 e di spazzare via il sopruso dello stato israeliano. L'ascesa al potere di Nasser provocò una reazione a catena che un paradosso della storia finì col rafforzare lo stato di Israele. In tutti i paesi arabi, dal Marocco all'Iraq, partì un'unanime campagna anti ebraica che si concluse con la espulsione delle numerose colonie ebraiche del nord Africa e del Medio Oriente, che fornirono nuova linfa alla ancora scarsa popolazione ebraica dello stato di Israele: si calcola che più di mezzo milione di persone si rifugiarono nei confini del neonato "focolare" ebraico. Intanto i governi israeliani maturavano disegni ancora più ambiziosi: i loro fondatori erano partiti dall'Europa perseguendo il proposito di aiutare le popolazioni arabe del Medio Oriente ad affrancarsi dal potere degli imperi coloniali; ora il governo Ben Gurion, dopo gli eventi egiziani decise che il più conveniente ruolo dello stato ebraico doveva diventare quello di sentinella armata degli interessi occidentali in Medio Oriente e così quando nel 1956 Nasser decise di nazionalizzare il Canale di Suez togliendone il controllo al consorzio anglo francese che lo gestiva, l'esercito israeliano decise di intervenire ed invase la penisola del Sinai, portando a pretesto il fatto che il governo egiziano e il dittatore Nasser avrebbero impedito alle navi israeliane di avvalersi della vitale via di transito tra il Mediterraneo e il Mar Rosso. Con tale iniziativa gli israeliani fornirono il pretesto all'intervento militare anglo-francese: il primo ministro inglese Anthony Eden e quello francese Vuimollet raccontarono la frottola che lo sbarco delle loro truppe a porto Said sul Canale di Suez aveva il compito di "separare l'esercito israeliano che avanzava nel Sinai dalle forze armate egiziane". Fortunatamente nessuno credette alla favola: l'assemblea dell'ONU votò quasi all'unanimità la condanna per aggressione della Gran Bretagna, della Francia e di Israele e ordinò l'immediato ritiro delle loro truppe dal Sinai e dal Canale di Suez. L'Unione Sovietica minacciò di bombardamento atomico Londra e Parigi se i loro governi non avessero obbedito. Il governo americano che vedeva nello scivolone dei due soci europei l'occasione per subentrare agli inglesi come potenza dominante nel Medio Oriente si associarono alla condanna; e gli israeliani dovettero con la coda tra le gambe rientrare nei loro confini. Il loro proposito di eliminare l'Egitto nasseriano da ogni possibilità di guerra futura contro Israele era per questa volta fallito.

martedì 8 febbraio 2011

IL CONFLITTO ISRAELO PALESTINESE

Il ruscello dell'emigrazione ebraica, abbastanza contenuto fino a metà degli anni 30', era destinato a diventare fiume quando iniziarono le politiche di persecuzione contro gli ebrei da parte del governo nazista in Germania e di quello fascista in Italia. La fuga dall'Europa fornì inoltre alla popolazione ebraica di Palestina gruppi dirigenti di notevole livello: ingegneri, intellettuali, insegnanti e tutto quanto poteva servire a costruire l'ossatura di un nuovo stato. Viceversa i palestinesi si trovarono a fronteggiare l'ondata sionista nel momento peggiore che potesse capitare: le rivolte anti inglesi degli anni precedenti avevano fornito il pretesto per esiliare gran parte degli attivisti politici arabi, mentre il terrorismo dell'Irgun aveva spinto la borghesia commerciale e gli agricoltori più ricchi a rifugiarsi in Libano o in Egitto, lasciando la comunità palestinese di fatto decapitata.
Le vicende palestinesi durante la Seconda Guerra Mondiale furono solo apparentemente contraddittorie. La popolazione ebraica alternò momenti di contrapposizione dura contro l'occupazione inglese a fasi di convinta collaborazione che culminò con la costituzione di una brigata ebraica che dal '43 al '45 combatté a fianco degli alleati su tutti i fronti europei contro il comune nemico nazista; agli arabi non rimase che la controproducente risorsa di qualche isolato attentato contro le comunità agricole ebraiche (Kibbutz), grazie alle quali gli ebrei di Palestina accreditarono un ben modesto volto "socialista" e, addirittura, "comunista". L'Irgun proseguì invece un'azione di terrorismo sempre più massiccia contro i villaggi palestinesi per iniziare a futura memoria una efficace pulizia etnica dei territori.
Nel frattempo l'Organizzazione Sionistica Mondiale mise appunto un compiuto di stato ebraico, che trovò crescente riscontro nell'agenzia ebraica per la Palestina.
Terminata la Seconda Guerra Mondiale, nel Febbraio 1947 la Gran Bretagna annunciò la propria rinuncia al mandato palestinese rimettendo ogni decisione sulla Palestina all'ONU: a indurre il governo inglese a tale decisione furono diversi fattori:
1 - La ininterrotta serie di azioni terroristiche dell'Irgun che culminò nel terribile attentato al King David Hotel di Gerusalemme dove 232 cittadini britannici, in gran parte donne e bambini, vennero uccisi;
2 - L'impopolarità che i tentativi britannici suscitavano nell'opinione pubblica europea e americana nel momento in cui le loro navi da guerra cercavano di bloccare le navi che trasportavano i superstiti ebrei dei campi di sterminio in Palestina: tale impopolarità raggiunse il culmine quando una nave ebraica piena di profughi si fece saltare in aria nel Mar Nero, piuttosto che tornare ai porti di partenza;
3 - La tragedia della Shoah venne abilmente usata come strumento propagandistico dalle organizzazioni sionistiche, anche se, per la verità raggiunsero la futura Israele non più di 20.000 sopravvissuti ai lager. I sionisti non mancarono anche di accreditare la leggenda secondo la quale numerosi ex ufficiali delle SS avevano trovato rifugio nei paesi arabi ed erano diventati ufficiali o consiglieri dell'esercito egiziano ed iracheno: favola del tutto inconsistente se si considera che i due governi erano totalmente subalterni alla potenza britannica, mentre il comandante della Legione Araba di re Abdullah di Transgiordania era l'inglese Glubb Pascià. A tutto questo gli arabi non avevano molto da contrapporre ove si eccettui l'argomento che i loro rappresentanti nell'assemblea delle nazioni uniti cercarono in vano di far valere: "L'Europa nutre nei confronti del popolo ebraico un fondato complesso di colpa per aver fatto ben poco per bloccare le persecuzioni anti semite naziste. Ma perché vuole liberarsi di tale complesso facendolo pagare ai palestinesi? Perché non crea uno stato ebraico in Baviera o in qualche altra regione della Germania?"
A parte gli elementi di tipo propagandistico e psicologico gli ebrei di Palestina godevano di un'altra ben più forte arma, ed era l'appoggio totale da parte del governo sovietico e di Stalin, che non aspettò molto per riversare nel porto di Haifa centinaia di tonnellate di armi per l'esercito israeliano in fase di avanzata costituzione.
Si giunse così al Novembre 1947 quando l'assemblea generale dell'ONU votò un piano di spartizione della Palestina. Esso prevedeva due stati separati, uno arabo-palestinese e l'altro ebraico, geograficamente incastrati uno nell'altro. La decisione venne accolta con entusiasmo dagli ebrei i quali, consapevoli della debolezza del popolo palestinese, e della imbelle subalternità dei governi arabi all'Inghilterra e agli USA erano perfettamente consapevoli che di li a qualche anno avrebbero avuto la possibilità di impadronirsi dell'intera Palestina scacciandone o distruggendone la popolazione araba. Del resto i propositi sionisti vennero simbolicamente rappresentati sulla bandiera che lo stato nascituro avrebbe adottato: una bandiera nella quale la Stella di David a sei punte era contenuta tra due linee parallele azzurre, una delle quali rappresentava il Mar Mediterraneo mentre l'altra raffigurava il fiume Giordano (ma i gruppi ebraici più estremisti già sognava una grande Israele estesa dal Canale di Suez fino al fiume Eufrate e comprendente anche la Siria). Galvanizzati dal voto dell'assemblea i gruppi dell'Irgun cui si unì l'ancor più criminale "Brigata Stern", intensificarono i loro attacchi terroristici contro i villaggi arabi per costringerne gli abitanti alla fuga. I governi arabi, da parte loro contestarono il piano di spartizione, facendo notare come gli ebrei fossero proprietari solo del 26% del territorio della Palestina  mentre la parte che veniva loro assegnata era pari al 47%.
Secondo la risoluzione dell'assemblea ONU, i due nuovi stati avrebbero dovuto vedere la luce il 14 Maggio 1948. I mesi che precedettero tale data furono carichi di tensione, che giunse al massimo quando si diffuse la notizia che gruppi congiunti dell'Irgun e della Brigata Stern avevano attaccato di notte il villaggio palestinese di Dear Yassin distruggendolo a colpi di bombe a mano, fotografando i cadaveri e stampando manifestini diffusi in quasi tutte le comunità arabe con l'avvertimento "Se non ve ne andate, farete la stessa fine!". I palestinesi ricordano ancora oggi quei giorni come "la Catastrofe" perché circa 600.000 persone abbandonarono le loro case per rifugiarsi nei paesi arabi confinanti, in particolare in Giordania. Solo dopo molte situazioni gli eserciti d'Egitto, Siria e Libano, platonicamente appoggiati da modesti contingenti iracheni e sauditi, attaccarono Israele, ma vennero rovinosamente sconfitti. Del resto l'Egitto era all'epoca un protettorato britannico di fatto governato da un re fantoccio come Faruk e privo di un esercito moderno, Siria e Libano erano di fatto protettorati francesi, mentre l'Iraq, sotto controllo britannico aveva un re ascemita, figlio di Faysal il cui primo ministro Nuri Al-Sa'id era un'agente delle compagnie petrolifere inglesi. I soli che opposero un'effettiva resistenza agli Israeliani furono i beduini della legione araba giordana, che opposero una resistenza accanita in grado di impedire agli israeliani di impadronirsi della parte araba di Gerusalemme.
I combattimenti cessarono nel Gennaio 1949, dopo aver creato quasi mezzo milione di profughi palestinesi. In seguito al conflitto i confini dello stato ebraico risultarono molto più estesi, fino a comprendere il 73% dell'intera Palestina. Al di fuori dei confini israeliani restarono la Striscia di Gaza, dove si riversarono molte migliaia di profughi e che passò sotto l'amministrazione dell'Egitto e la Cisgiordania, che divenne parte integrante della Giordania di re Abdullah (1950).

lunedì 7 febbraio 2011

LA COSIDDETTA QUESTIONE PALESTINESE

In data odierna abbiamo registrato alcune interessanti novità intorno alla vicenda egiziana:
1 - Parlando all'Angelus, Benedetto XVI si è augurato che il "diletto" popolo egiziano ritrovi presto la pace e la concordia. Ancora una volta il Papa non ha perduto l'occasione per stupire: una immensa folla di milioni di persone, assolutamente pacifica, ha sostenuto l'assalto omicida prima della polizia di Mubarak e poi di teppisti prezzolati a 40 euro al giorno, limitandosi a una quasi inerme autodifesa, e si viene a parlare di pace e di concordia, quasi che questa non sia venuta a mancare a causa di un regime autoritario che dura da decenni. Probabilmente al Papa è sfuggito il fatto, documentato da televisioni non italiane, che durante la preghiera del venerdì i musulmani sono stati difesi dagli assalti teppistici dei provocatori da una catena umana formata da cristiani copti che inalberavano bandiere egiziane con la croce e con la mezzaluna, mentre Domenica sono stati i musulmani a difendere dal pericolo degli stessi assalti i cristiani in preghiera;
2 - Dopo le ripetute dichiarazioni del presidente Barack Obama e del segretario di stato Hillary Clinton, relative alla necessità di un pronto allontanamento di Mubarack come condizione per avviare un serio processo di rinnovamento di riforme democratiche, l'inviato del governo americano al Cairo, Frank Wiesner, si è spinto a dire che il Rais deve rimanere al suo posto per guidare la transizione: affermazioni che sono state ridimensionate dal dipartimento di stato americano, il quale ha precisato che il Signor Wiesner ha parlato a titolo personale;
3 - Contemporaneamente il presidente in carica dello stato di Israele, Simon Peres, ha dichiarato che l'eventuale partecipazione nel nuovo governo egiziano dei Fratelli Musulmani non potrebbe che essere causa di guerra, ribadendo con ciò il presunto carattere terroristico di quella che resta, per giudizio comune la più consistente forza politica, assolutamente estranea ad ogni forma di terrorismo esistente in Egitto.
Quest'ultimo evento ci fa sorgere il sospetto che esso sia da mettere in relazione con le singolari dichiarazioni del citato rappresentante americano, confermandoci nella convinzione che quando Israele fa soffiare un pò di vento le foglie americane stormiscono.
Per questo ci vediamo costretti a dedicare i prossimi post del nostro blog ad un'esposizione il più possibile dettagliata e documentata della cosiddetta questione israelo-palestinese. Chiariamo fin d'ora che le nostre fonti saranno documenti ufficiali dell'ONU, e un testo di cui raccomandiamo la lettura che, pubblicato con il titolo "Vittime" dalla casa editrice Rizzoli, è opera dello storico israeliano Benni Smith, attualmente docente dell'università di Beersheba (Israele).


Quello che viene nella prevalente opinione pubblica internazionale come il conflitto eterno tra israeliani e palestinesi, e non invece come un permanente comportamento di violazione di centinaia di risoluzioni dell'ONU da parte del governo di Tel Aviv, con conseguente vergognosa oppressione di un popolo rimane la più pericolosa situazione a livello mondiale, in grado a causa delle passioni che suscita e operante nel profondo delle coscienze non soltanto nei suoi attori principali di provocare un incontrollabile conflitto dai confini indefinibili: una sorta di "metastasi" storica con effetti che possono sfuggire ad ogni controllo. Per rendercene conto sarebbe stato sufficiente valutare l'intensità delle polemiche suscitate da un articolo di Barbara Spinelli la quale, con il suo noto e notevole coraggio intellettuale sosteneva la tesi secondo la quale la nascita dello stato di Israele è stata OBBIETTIVAMENTE una violenza contro il mondo arabo della quale prima o poi non solo Israele ma tutti quanti coloro la hanno sostenuto dovranno chiedere perdono.
Che Israele appaia con fondamento un insostenibile sopruso consumato ai danni dell'intera nazione araba è una circostanza difficilmente contestabile; ma, per essere chiari fino in fondo, uno stato che crede di trarre la sua legittimità da una promessa che Dio fece qualche migliaio di anni fa e la sua identità dalla religione praticata dai suoi cittadini è qualcosa che contrasta l'idea stessa di stato moderno. Va anche ricordato che i padri fondatori del movimento sionista avviarono la costruzione dello stato di Israele sulla base dello slogan "Un popolo senza terra, l'ebraico, per una terra senza popolo". Si sorvolava sul fatto che quella terra si chiamava Palestina e traeva il suo nome "Thilistin" o filistei che ci vivevano, con altri popoli ben prima degli ebrei; si sorvolava inoltre sul fatto che, in base alla Bibbia quella terra era stata promessa da Dio, ai "figli di Abramo", e cioè sia agli ebrei, sia agli arabi.
Non c'è bisogno di ricordare che a partire dal III secolo d.C. e dopo le distruzioni e le deportazioni operate dagli imperatori romani Tito e Adriano, la presenza ebraica in Palestina fu sempre marginale. I crociati trovarono in Terra Santa i turchi Selgiuchidi e i musulmani in genere: le poche migliaia di ebrei che risiedevano a Gerusalemme quando i crociati la conquistarono nel 1099 furono praticamente sterminate; e solo il sultano ottomano Suleiman il Magnifico permise a una piccola comunità di ebrei Sefarditi, scacciati dalla Spagna dai Re Cattolici, di stabilirsi in un quartiere di Al-Qutz (nome arabo di Gerusalemme).
Il filosofo francese Voltaire scrisse un quasi preveggente brano nel suo "trattato sulla tolleranza":
"Anticamente gli ebrei, rivendicando per benevolenza divina il diritto di sgozzare, derubare e anatemizzare gli idolatri massacrarono e scacciarono dalla loro terra numerosi popoli o ne risparmiarono solo le figlie nubili, destinate nella migliore ipotesi a diventare concubine. In tal modo essi si impossessarono del territorio degli Etei, dei Gebusei, degli Amorrei, dei Cinei e dei Samaritani. Con lunghe guerre costrinsero la confederazione delle 10 città dei Filistei a pagare tributi a re David: sulle modalità con le quali il re israeliano, "unto del Signore" condusse le sue guerre è conveniente non soffermarsi. Del territorio così acquisito essi furono privati dagli Assiri, dai Siriani e dai Romani. Più tardi quello stesso territorio fu occupato dai musulmani che vi sono insediati da più di mille anni. Credo che se oggi gli ebrei considerassero usurpatori i Turchi musulmani e si sentissero in diritto di assassinarli o di scacciarli per rientrare in possesso di quelle terre, non vi sarebbe altro modo di rispondere loro mandandoli in prigione; e questo sarebbe uno dei pochi casi in cui l'intolleranza sarebbe ragionevole".
Il brano riportato fu scritto nel 1764; e se a metà del XVIII secolo un filosofo europeo considerava assurda un'ipotesi paradossale, proviamo ad immaginare come sia apparsa agli arabi in generale e ai palestinesi in particolare la decisione dei francesi e degli inglesi di costituire in Palestina un "focolare ebraico".
Per rendere anche quantitativamente l'entità del "sopruso" è comunque sufficiente ricordare che, secondo il censimento del 1907 la popolazione della provincia ottomana di Palestina era di poco inferiore al milione: 600.000 arabi musulmani, 120.000 arabi cristiani, 50.000 tra Drusi e Armeni e meno di 20.000 ebrei. Durante la prima guerra mondiale inglesi e francesi convinsero gli arabi a condurre al loro fianco la guerra contro i Turchi: attraverso il loro agente Lawrence d'Arabia ad essi venne fatta la promessa di favorire la rinascita di un regno arabo esteso dai deserti d'Arabia fino al Tigri e all'Eufrate sotto la guida dello sceicco di Medina, l'Hascevita Feisal. Le tribù beduine combatterono eroicamente contro i Turchi, a prezzo di pesanti perdite, e prima che la guerra finisse arrivarono a conquistare Damasco. Naturalmente gli inglesi e i francesi non avevano nessuna intenzione di mantenere le promesse e portarono avanti una cinica operazione di spartizione coloniale delle spoglie dell'impero Ottomano. Invece del promesso regno indipendente gli arabi videro gli inglesi imporre il loro protettorato sulla Palestina e sull'Iraq, mentre i francesi si contentarono della Siria e del Libano. Feisal venne anche privato dello sceiccato dell'Hedyaz e di Medina che, probabilmente per umoristico spregio venne consegnato ai suoi nemici secolari appartenenti alla setta Wahabita guidata da Ibn Saud, fondatore appunto dell'Arabia Saudita. Feisal fu nominato re di un'area desertica cui venne dato il nome di Trans Giordania; come ciliegina sulla torta fu concesso al movimento sionista di costituire un "focolare ebraico" in Palestina.

La fine dell'800 aveva visto svilupparsi, intrecciati tra loro un ancora timido "Rinascimento arabo" e una crescita dell'immigrazione ebraica in Palestina stimolata dal nascente movimento sionista, che nel Congresso di Basilea del 1886 si era dato l'obiettivo di costituire in Palestina uno stato ebraico. La frammentazione della società palestinese prevalentemente stanziata nell'ultima fase dell'impero Ottomano in piccoli villaggi agricoli, facilitò gli sforzi degli ebrei volti ad acquistare terre; ma almeno fino al 1897 gli immigrati ebrei, in maggioranza fuggiti dalla Russia dove la persecuzione zarista esploda in periodici massacri (Pogrom) e non suscitarono reazioni ostili nella popolazione araba, che in gran parte considerava gli ebrei "fratelli in Abramo".
Il primo cambiamento radicale collegato alla crisi del dominio ottomani maturò alla fine della Prima Guerra Mondiale quando Francia e Gran Bretagna impostarono in Palestina un triplice gioco politico. Le due potenze, infatti dopo aver ottenuto la cobelligeranza araba con la promessa dell'indipendenza (1915) si impegnarono con la dichiarazione Balfour a riconoscere il diritto degli ebrei a costituire in Palestina un "focolare nazionale" (1917); nel frattempo, infine stipulavano segretamente gli accordi Sykes-Picot (1916). Con il trattato di Sevres (1920) la Gran Bretagna assunse il mandato della Società delle Nazioni per amministrare la Palestina, continuò a mantenere un atteggiamento peggio che ambiguo.
Gli inglesi infatti, pur dichiarando che il mandato aveva lo scopo di preparare gli arabi in Palestina all'indipendenza, continuarono a favorire l'immigrazione ebraica, che nel giro di pochi anni raggiunse le 35.000 persone. Gli ebrei, sulla base di precedenti esperienze di "autodifesa" avevano frattanto costituito l'organizzazione armata Haganah; e quando il Gran Mufti di Gerusalemme, massima autorità religiosa degli arabi palestinesi, proclamò la resistenza a oltranza contro l'espansione ebraica, lo scontro tra arabi e sionisti si radicalizzò, anche perchè nelle file ebraiche sorsero organizzazione estremiste che praticavano forme indiscriminate di terrorismo, dirette a terrorizzare la popolazione araba per spingerla alla fuga. Nel solo mese di Luglio 1937 gli attentati dell'associazione "Irgun Zewi Leumi" provocò nei mercati, nei mezzi di trasporto e nei luoghi di spettacolo oltre 3000 vittime, la maggior parte nella città di Haifa, la cui popolazione araba subì una drastica riduzione.
Alla vigilia della Seconda Guerra Mondiale gli inglesi, al fine di ovviare alla crescente anglofobia araba, abilmente alimentata dal regime fascista italiano e da quello nazista tedesco, limitarono drasticamente l'immigrazione ebraica proprio quando scoppiavano in Europa le persecuzioni anti semitiche naziste. Non è inopportuno ricordare che Benito Mussolini, pure essendo reduce dalla guerra di sterminio condotta contro la rivolta libica di Omar Al-Muktar, si fece fotografare a cavallo mentre impugnava una spada donatagli da un notabile libico, con la didascalia ridicola "La Spada dell'Islam"; Hitler, da parte sua ospitò personalmente il Gran Mufti di Gerusalemme Al-Husayni, condannato all'esilio dagli inglesi: il Fuhrer considerava gli ebrei degli "Untermenschen" (sotto uomini) e gli arabi "mezze scimmie"; ma Husayni era alto, biondo e aveva gli occhi azzurri e quindi nelle farneticazioni dei nazisti era sicuramente discendente di un legionario romano di stirpe germanica, al pari di Gesù.

sabato 5 febbraio 2011

ONORE AD AL-MISR!

Non ho mai raccontato che uno dei motivi che mi fornì la spinta decisiva alla mia conversione all'Islam fu una scena che mi capitò di vedere in un servizio di Al-Jazhera nei giorni tragici della criminale aggressione israeliana alla Striscia di Gaza, quella denominata con criminale umorismo "Piombo fuso": quel giorno l'aviazione sionista aveva bombardato con bombe al fosforo una scuola dell'ONU uccidendovi 36 persone di cui 16 bambini. I cadaveri erano disposti in fila, avvolti nei lenzuoli bianchi ormai intrisi di sangue e accanto ad essi vi era un uomo di mezza età con la canottiera insanguinata: aveva il volto dolente ma non disperato e i giornalisti gli si avvicinarono per chiedergli se fosse ferito. Egli rispose: "No. Ma oggi gli israeliani hanno ucciso i miei 6 figli, mia moglie e i miei genitori...Anche mio fratello con sua moglie e i suoi 2 figli sono stati uccisi. Anche la mia casa è stata distrutta e io non possiedo più neppure un letto in cui dormire...Mi resta solo Allah, ed Egli è Clemente e Misericordioso ma è anche Giusto e farà giustizia anche per me." Nel tono di voce e nelle parole di quell'uomo non vi era ombra di fanatismo ma solo fede: quella fede che come dice Gesù "sposta le montagne". Il giorno dopo ero in moschea per comunicare all'imam la mia decisione, già da molto tempo in viaggio di pronunciare la Shahada, e cioè la professione di fede dell'Islam.
Ringrazio l'Onnipotente di avermi offerto la via di coloro che incontrano la sua grazia; perché è anche in virtù di essa che quelli che si avviano ad essere ormai gli ultimi anni della mia esistenza terrena sono stati illuminati dal meraviglioso spettacolo dei milioni di egiziani di ogni condizione e ceto, ma soprattutto giovani riempire la grande piazza del Cairo gridando: "Libertà, Dignità, Democrazia"; milioni di uomini e donne musulmani e cristiani, esprimere agitando le bandiere del loro paese quanto privi di fondamento sono gli arzigogoli di tanti pseudo intellettuali di casa nostra che discettano sull'incompatibilità dell'Islam sulla democrazia; milioni di uomini e donne inginocchiarsi in preghiera dopo le parole dei loro imam che ricordavano al mondo che la Libertà e la Dignità sono l'essenza del messaggio di Gesù e di Muhammad (Che la Pace e la benedizione di Dio siano sopra di loro!).
Milioni di persone, che a mani nude hanno sfidato le squadracce dei servizi di sicurezza del trentennale "dittatorello", tanto caro a molti, troppi governi, dell'occidente, che per trent'anni ha soffocato il suo popolo derubandolo delle sue poche ricchezze così come ha fatto il suo consimile di Tunisia, cacciato anch'egli a furore di popolo; milioni di miei fratelli e sorelle di fede che hanno ricordato al mondo che non c'è forza che possa fermare la collera del popolo che rivendica la libertà e che raccoglie chi è pronto a far dono della sua vita pur di conquistarla.
C'era bisogno, di fronte allo squallore della politica del nostro paese, priva ormai di ogni barlume che ricordi sia pure in maniera offuscata il bagliore di quelli che un tempo di chiamavano ideali, di una così grande manifestazione, gioiosa e coraggiosa di ideali in cammino e in lotta. Mi sono tornate alla memoria le parole che un grande poeta tedesco Wolfgang Goethe, scrisse nel suo diario di corrispondente di guerra nel Settembre 1792, quando assistette allo spettacolo degli eserciti imperiali venuti da tutta Europa per soffocare la Rivoluzione Francese messi in fuga da una folla di francesi scalzi e quasi disarmati che si avventavano sui cannoni al grido: "Liberté, Fraternité, Egalité!". Era la battaglia di Valmy, che segnò la fine dell'Ancient  Regime. Goethe scrisse: "Oggi la storia ha voltato finalmente pagina".
In un'altra parte d'Europa il grande filosofo tedesco Immanuel Kant aveva annotato sul suo diario, alla notizia della presa della Bastiglia da parte dei rivoluzionari parigini: "Oggi si è aperta una finestra sull'avvenire!". Sono convinto che la grande rivoluzione araba che si è avviata in questi giorni con passo sicuro e vittorioso è una nuova finestra che si apre sull'avvenire; e non può che essere che una finestra che si apre su un mondo di Libertà: perché nel cuore dei milioni di giovani che la stanno portando avanti c'è un'entità che l'occidente ha quasi perduto: l'infinita potenza di Dio. Appaiono perciò abbastanza grottesche, ma anche rivelatrici di una grande paura, le disquisizioni che si sentono fare sui pericoli del fondamentalismo islamico sulle tendenze integraliste dei fratelli musulmani, su quali saranno le strade che prenderanno i popoli arabi dopo quanto sta succedendo.
Nel grottesco, tuttavia è ancora più giusto apprezzare la dignità con la quale il presidente degli Stati Uniti Barack Obama e anche il suo antagonista alle elezioni presidenziali dalle quali è uscito sconfitto, il senatore repubblicano Mc Caine hanno seguito gli eventi, dettando con decisione la strada che il regime egiziano in agonia deve seguire: avviare immediatamente e senza trucchi un percorso condiviso per la democrazia e per le riforme. Anche se con minore decisione e con qualche timidezza i leader dei principali paesi europei dal francese Sarkozy, alla tedesca Angela Merkel, dall'inglese Cameron, allo spagnolo Zapatero hanno intrapreso la stessa linea del governo americano, una volta tanto schierato dalla parte dei popoli.
In questo contesto "brilla" per la sua indecenza quell'ectoplasma nauseabondo che è ormai il quadro politico italiano. L'azzimato ministro degli esteri Frattini, che ricorda tanto un modello maschile di moda da mandare alle sfilate dell'ultima mostra di Armani, ha avuto la spudoratezza di dire che bisognava sostenere il presidente tunisino Ben Alì, "sicuro amico dell'occidente e baluardo contro il terrorismo". L'avvocaticchio Brianzolo, che nonostante il suo cripto secessionismo anti italiano, esercita l'incarico di ministro degli interni si è solo preoccupato di sottolineare che le rivolte arabe del nord Africa possono incrementare le spinte fondamentaliste terroriste delle comunità islamiche residenti in Italia: il solito cialtrone leghista anti islamico. Ma chi ha superato tutti gli altri per indecenza, del resto coerente con lo spettacolo complessivo che offre alle 4 direzioni del mondo, è stato l'ineffabile presidente del consiglio Silvio Berlusconi. Nel coro universale di quanti invitano Mubarak a fare le valigie egli ha prontamente sostenuto: "Solo un uomo saggio come Mubarak è in grado di guidare l'Egitto su un cammino di riforme democratiche" probabilmente il Silvio, ormai esaurito dalla sua intensa vita notturna di lavoro, riflessione e di dedizione al benessere del popolo italiano è convinto che l'Egitto sia stato governato con metodi repressivi ed autoritari (diciamo pure dittatoriali) da una controfigura di Mubarak, quasi sicuramente un magistrato della Procura di Milano.

P.S: Siamo in attesa che Papa Benedetto XVI esprima una parola di sdegnato cordoglio per le centinaia di giovani tunisini ed egiziani uccisi dalle forze di polizia del loro paese.

venerdì 4 febbraio 2011

IL DIRITTO ISLAMICO

Già ai tempi del Profeta si sviluppa il primo nucleo di uno stato islamico sotto forma di una confederazione che, intorno al nucleo centrale rappresentato dalla comunità di Medina si allarga alla Mecca e a tutta l'Arabia occidentale e centrale grazie all'associazione più o meno volontaria delle varie tribù beduine. Naturalmente questa comunità non presenta ancora i tratti giuridici e amministrativi propri di uno stato moderno; e tuttavia si può parlare di un'attiva compagine di dominio istituzionalizzato su un vasto territorio, indipendente da ogni controllo esterno, in grado di imporre il suo controllo sui territori e, quindi non più una società frammentata di tribù e clan in guerra tra loro, ma una costruzione politica unità e centralizzata.
Gli agenti di Muhammad danno inizio a una integrazione politica con la riscossione del contributo sociale; più tardi questa integrazione prosegue attraverso il reclutamento di contingenti di truppe presso le tribù beduine, orgogliose stirpi aristocratiche di guerrieri. Il carattere militante della comunità è tuttavia un carattere che avvicina l'Islam all'Ebraismo primitivo invece che al Cristianesimo.
Sotto i primi quattro califfi e giungendo attraverso le conquiste a contatto con organizzazioni statuali estremamente civilizzate ed organizzate (l'impero Sassanide, l'impero Bizantino), e grazie alle prime raccolte degli "adith" del Profeta da parte dei compagni "ben guidati" di Muhammad la Umma musulmana originaria configurabile come "stato-comunità" evolve rapidamente verso una struttura organizzata che può già definirsi uno stato ordinamento, che esercita la sovranità in forme organizzate in grado di esercitare una compiuta sovranità. Le fonti del diritto, costituite dai precetti coranici e da quelli contenuti negli adith, sono configurabili come un vero e proprio sistema giuridico distinto dal diritto consuetudinario: esse richiedono l'opera di esperti della tradizione (Sunna) autorizzati alla raccolta e alla spiegazione di sempre nuovi elementi.
Accanto alla Sunna come uso locale nasce una Sunna fondata sulle scelte giuridiche di base fatte dai califfi nella pienezza dei propri poteri. Il Profeta aveva già accolto e gestito il diritto consuetudinario pre-islamico. I califfi in qualità di guida politica della comunità islamica, esercitano sempre meno la funzione di giudici arbitrali e sempre più quella di legislatori, le cui formulazioni si rivolgono all'organizzazione dei territori conquistati. Nel diritto penale vengono in particolare introdotti alcuni isolati irrigidimenti: forse viene usata la frusta per gli autori di poesie satiriche contro altre tribù, e quasi certamente la lapidazione degli adulteri non prescritta nel Corano.

Sotto i califfi Omayyadi le cose cambiano da ogni punto di vista influenzando profondamente anche la sfera del diritto. Sotto la dominazione Omayyade si giunge:
1 - Alla nascita di un diritto islamico comune, la "Sharia" ("La via per l'Acqua" o Legge Sacra che avrà poi una lunga evoluzione);
2 - All'impiego di giudici statali (Qudat, Sing. Qadi) e alla formazione di studiosi di diritto islamico (Fuqhaha, Sing. Faqih);
3 - Alla creazione di una scienza giuridica islamica (Fiqh) fino ad allora inesistente.
I Qadi in particolare sono i giuristi delegati dal governatore di un territorio che all'inizio agiscono in posizioni subordinate ma alla fine della dinastia Omayyade assumono un ruolo indipendente all'interno dell'apparato governativo. Le loro decisioni gettano le basi di un diritto islamico indipendente dalle prescrizioni del Corano e della tradizione e le loro sentenze permettono di orientare le sentenze successive. La giurisdizione acquista così un pieno sviluppo: una figura esemplare tra i primi giudici è Iyas Ibn Muhawiya le cui decisioni sembrano fare affidamento sulla ragione umana, sulla conoscenza della natura umana e sull'acume intuitivo. Tutto ciò provoca notevoli differenziazioni nell'amministrazione della giustizia: da un lato, infatti nelle diverse regioni vige un differente diritto consuetudinario, dall'altra parte ogni giudice decide in base alla propria decisione personale. Tuttavia non c'è alcuna corte al di sopra dei giudici e il governo centrale non aspira in alcun modo all'uniformazione del diritto. Di fronte alle circostanze sempre più complesse delle nuove epoche, i Qadi sono sempre più costretti a specializzarsi e già negli ultimi decenni del dominio Omayyade vengono nominati giudici soltanto gli specialisti.

Con l'espressione "Tii specialisti" si intendono esperti formati non con il metodo sistematico e scientifico, ma professionisti di stato. Essi erano interessati più alla religione che al diritto. Si tratta di laici impegnati dal punto di vista religioso, che nel tempo libero discutono e riflettono privatamente del Corano, riuniti in gruppi di amici che condividono le stesse concezioni e forniscono comunque informazioni giuridiche e pareri (Fatwa). Tra gli specialisti religiosi e i loro gruppi vi sono numerosi neo musulmani il cui interesse primario non è la pratica giuridica delle corti, ma una sorta di Way of Life islamica aperta a tutti. A loro parere qualsiasi accertamento del diritto non può fondarsi sul buon senso o sulla sottigliezza ma solo sul Corano e sulla Sunna del Profeta. In un primo momento essi non partecipando come consulenti alle sedute dei tribunali, hanno scarsa influenza sull'amministrazione della giustizia da parte dei Qadi; e tuttavia essi creano lentamente i presupposti per un processo di islamizzazione del vigente diritto consuetudinario.
Questo comincia all'inizio in modo molto discreto, grazie all'opera di singoli esperti particolarmente numerosi a Medina che forniscono informazioni giuridiche alla gente alle prese con conflitti di coscienza riguardanti il matrimonio, la separazione dei coniugi, i tributi statali e il digiuno. Questi esperti e consiglieri religiosi stimatissimi dal popolo per il loro pio impegno e per le loro attività di consulenze e di guide, spesso criticano le decisioni del potere: essi tuttavia non si schierano apertamente contro il governo e lo stato degli Omayyadi e guadagnano la fiducia del popolo. Negli ultimi decenni del periodo Omayyade, con l'aumento del numero degli studiosi di diritto, si costituiscono le antiche scuole giuridiche, che operano nelle zone più disparate, Kufa, Medina, la Mecca e in Siria. Esse non hanno uno status ufficiale, ne un'organizzazione rigida, ne un piano unitario di insegnamento; continuano ad operare a livello privato, supportate dall'amministrazione e dal sostegno popolare. Le differenze tra le scuole si definiscono solo in base alle diversità tra provincie culturali, senza seguire determinati metodi giuridici. Infatti, in questa prima fase della giurisprudenza islamica, esiste un notevole corpus di dottrina comune, che solo in seguito verrà ridimensionato da sempre più marcate differenziazioni tra scuole.
Le norme del Corano non sono mai considerate tanto da trarne troppe ampie deduzioni, applicabili ai più svariati ambiti della vita sociale. Ogni scuola rappresenta una tradizione viva, una propria dottrina consolidata definita "Sunna"; si riesce comunque a stabilire tra gli studiosi un consenso che va ben oltre il comune e generale consenso fra musulmani. In tale consenso le varie scuole che in molti casi hanno opinioni diverse concorrono tutte alla ricerca di corrispondenze comuni.
Non basta tuttavia aver dato fondamenti teorici al diritto religioso islamico grazie al consenso tra gli studiosi: esso deve essere saldamente fondato anche dal punto di vista storico e in tal modo gli studiosi musulmani tendono a ricollegarsi all'opera di grandi maestri.
La maggior parte delle informazioni riguarda la scuola di Kufa, dove l'intera dottrina scolastica è attribuita a Ibrahim Al-Nabai. Un altro esempio è Medina dove ci si richiama a sette giuristi dell'epoca precedente. Il processo di proiezione inversa va comunque oltre, sicché la fondazione del diritto islamico viene ricollegata alla diffusione iniziale dell'Islam: a Kufa ad un amico del Profeta di nome Ibn Masud, alla Mecca al califfo Omar. L'ultimo passo nella proiezione al ritroso finisce con l'essere il legame con il Profeta in persona sicché in tutte le comunità, anche nelle più lontane la dottrina dei giuristi e la pratica giuridica vengono identificate con "la Sunna del Profeta", non intesa come elemento teologico e politico ma come fatto giuridico.


"Basta dittatura, Il Cairo sia un esempio" così la rivoluzione dilaga nel mondo arabo

Per anni la gente qui ha cercato un appiglio per ribellarsi: ora lo ha trovato. Anche i Fratelli musulmani sono rimasti sorpresi dall´impatto delle proteste 

IL CAIRO - Mercoledì, nelle strade del centro del Cairo si è combattuto non solo per il futuro dell´Egitto ma per quello del mondo arabo, in bilico tra rivolta e il disprezzo per un assetto che sta andando in frantumi. Durante una settimana di tumulti e provocazioni, decine di migliaia di dimostranti hanno ridefinito il concetto stesso di cittadinanza in quest´area del mondo: armati di bastoni, bombe di costruzione artigianale e una pioggia di pietre, hanno proclamato di non voler rinunciare alla rivoluzione malgrado la reazione di un governo autoritario.
In attesa di capire se ad affermarsi sarebbero state la protesta o la repressione, il mondo arabo ha assistito in questi giorni a momenti in cui sembrava che nulla sarebbe più stato come prima. Parole come "insurrezione" e "rivoluzione" sfiorano appena la portata degli eventi di questi giorni, che già hanno avuto delle ripercussioni in Yemen, in Giordania, in Siria e persino in Arabia Saudita, proponendo un modello per il cambiamento in una regione che da tempo annaspa in situazione stagnante.
«Adesso, ogni egiziano capisce», dice Magdi al-Sayyid, uno dei dimostranti. I dimostranti sono riusciti a farsi ascoltare e da un governo che, come molti altri in Medio Oriente, li considera una realtà molesta. Mercoledì scorso, appostandosi presso le barricate improvvisate di piazza Tahrir, gli egiziani hanno smentito coloro che non riconoscono il potere della piazza nel mondo arabo. «La piazza non ha più paura», commenta Shawki al-Qadi, parlamentare dell´opposizione in Yemen, paese a sua volta attraversato dal vento del cambiamento. «Adesso sono i governi e le forze di sicurezza a temere il popolo. La generazione di Internet, non ha paura. Reclama pieni diritti e una vita. Una vita dignitosa».
I fatti di mercoledì hanno trasformato queste astrazioni in realtà. Tra i dimostranti c´erano Mohammed Gamil, un dentista in cravatta blu che si è lanciato verso le barricate. Dietro di lui è accorsa Fayeqa Hussein, una donna velata, madre di sette figli, che ha riempito di pietre un contenitore di polistirene. Prima di dirigersi a sua volta verso la folla, Magdi Abdel-Rahman, un nonno sessantenne, ha baciato il suolo. A guidare la carica è stato Yasser Hamdi, dicendo che sua figlia, due anni, avrà una vita migliore della sua. «Siete uomini o no? - ha urlato - Andiamo!».
Anche i Fratelli musulmani, principale forza di opposizione in Egitto, si è aggiunta alla mischia. All´imbrunire i loro seguaci si sono inginocchiati in preghiera, i volti rischiarati dal tenue bagliore dei fuochi che bruciavano poco distante. Ma gli eventi di questi giorni hanno colto di sorpresa persino la Fratellanza, considerata da tempo l´unica possibile fonte di cambiamento. Il movimento che ad oggi non ha ancora trovato dei leader: né i Fratelli né i pochi rappresentanti dell´opposizione - come Mohamed ElBaradei o Ayman Nour - sono riusciti a dare voce alle speranze negate, alle umiliazioni subite per mano della polizia e all´onta di non avere abbastanza denaro per sposarsi. Sentimenti che accomunano gli abitanti dei campi palestinesi di Giordania a quelli del quartiere degradato di Sadr City, a Bagdad. Per molti ormai, la Fratellanza non è che ciò che resta di un assetto obsoleto, che ha fallito la propria missione. «Il problema è che per trent´anni Mubarak non ci ha permesso di costruire un´alternativa», dichiara Adel Wehba.
È stata forse la mancanza di alternative che ha portato alla rivolta, obbligando a scendere in strada giovani, poveri, e ogni altro segmento della popolazione egiziana: leader religiosi con turbante, uomini d´affari provenienti dai quartieri residenziali, registi e ricchi ingegneri. Mesi fa, in pochi avrebbero sperato che qualcosa nel mondo arabo potesse davvero cambiare.
Dalle telecronache minuto-per-minuto sui canali arabi ai dibattiti che riecheggiavano dall´Iraq al Marocco, il mondo arabo ha assistito con il fiato sospeso ad un momento di svolta: per la prima volta in una generazione, gli arabi tornano a guardare all´Egitto in cerca di una guida, con un tangibile senso di fatalità. «Chiedo al mondo arabo di restarci vicino sino a quando non avremo conquistato la nostra libertà», ha affermato Khaled Yusuf, esponente di Al Azhar, un´istituzione di studi religiosi un tempo stimata e oggi sottomessa al governo. «E dopo che ci saremo riusciti, libereremo il mondo arabo!».
Il mondo arabo attende da decenni un salvatore; aveva creduto di scorgerlo in Gamal Abdel-Nasser, il carismatico presidente egiziano, e addirittura, per qualche tempo, in Saddam Hussein. Mercoledì scorso però, nessuno aspettava più nulla: forte di un´autorità consolidata da quasi tre decenni di attesa, il popolo ha ritrovato se stesso. «Sto lottando per la mia libertà», affermava Noha al-Ustaz, intenta a frantumare dei mattoni sul marciapiede. «Libertà per il mio diritto di espressione. Per porre fine all´oppressione. Per porre fine all´ingiustizia». «Vai, vai!», riecheggiavano intanto le urla nelle strade. E lei è andata, inghiottita da un mare di uomini.


ALLAHU AKBAR!