Il generale moto di rinascita dei popoli arabi, che si sviluppò a partire dal 1951 e procedette per quasi un ventennio, ebbe come tappe più significative la vittoriosa guerra di liberazione algerina, la piena indipendenza della Tunisia sotto la guida di Habib Bourguiba, il rovesciamento della monarchia senussita di Libia e l'avvento al potere del colonnello Gheddafi, il pieno affrancamento da ogni controllo coloniale dell'Iraq, del Libano e della Siria. Nei suoi aspetti non sempre positivi al centro del moto di rinascita vi fu la figura del leader egiziano Gamal Abd El-Nasser che diede vita a un generale movimento politico più tardi definito panarabismo nazionalista socialisteggiante o "socialismo arabo".
Solo la popolazione araba di Palestina, sia quella rimasta in Cisgiordania e a Gerusalemme Vecchia, sotto sovranità giordana, sia il milione circa di profughi disseminati in condizioni drammatica di disperazione, di miseria e persino di fame non risentirono molto del generale moto di riscossa, anche se i diversi regimi arabi non mancarono di usarli come pedina propagandistica per rafforzare le proprie istanze di egemonia.
Negli stessi anni andava invece aumentando la potenza militare ed economica dello stato di Israele, pur tra continue crisi di governo e una lotta politica inter partitica particolarmente accesa. Al rafforzamento di Israele contribuì il sempre crescente sostegno fornito sotto il profilo finanziario e militare dai vari governi statunitensi, non tanto e non solo per la grossa influenza che la lobby ebraica esercitava sull'opinione pubblica e sulla finanza statunitense, quanto invece perché gli americani, dopo la vicenda del 1956, avevano intravisto in Israele un possibile bastione da porre a sentinella degli interessi petroliferi USA in medio oriente. A rafforzare Israele contribuì anche l'adozione della cosiddetta "Legge del Ritorno", in forza della quale chiunque fosse di religione ebraica poteva emigrare in Israele ottenendo la piena cittadinanza; il che consegnò allo stato sionista una consistente riserva di addestrati piloti americani.
Naturalmente gli israeliani di qualsiasi tendenza politica non avevano affatto rinunciato al proposito di occupare l'intera Palestina: bastava solo che si presentasse l'occasione favorevole, e questa non tardò ad arrivare.
Alla fine della guerra per il canale di Suez l'assemblea generale dell'ONU aveva deliberato di schierare un corpo di frapposizione ai confini orientali della penisola del Sinai, lungo una serie di postazioni che andavano da Suez al Porto di Aqaba. Nel Maggio 1967, più per motivi propagandistici che per convinzione fondata su una potenza militare in gran parte inesistente, Nasser minacciò di bloccare gli stretti di Tiran e le navi israeliane in partenza dal Porto di Eilat, e a questo fine intimò al segretario generale dell'ONU, il birmano U-Thant di ritirare il contingente dei caschi blu. Questi fece un errore di grave dabbenaggine; e il governo israeliano accampando a pretesto le minacce di blocco formulate da Nasser scatenò ai primi di Giugno l'intera sua aviazione, che distrusse al suolo il 90% degli aerei egiziani. Prive di copertura aerea, le truppe corazzate egiziane di stanza nel Sinai vennero letteralmente cancellate nel giro di 6 giorni e Nasser fu costretto a chiedere l'armistizio. Intanto Israele, oltre all'intera penisola del Sinai fino al canale di Suez aveva annientato la legione araba giordana, occupato l'intera Cisgiordania, Gaza e la parte araba di Gerusalemme; rimasta sola, la Siria, tentò di fronteggiare l'offensiva israeliana ma la superiorità delle truppe corazzate ebraiche sfondò le linee siriane e rese possibile l'occupazione delle alture di Golan, che rivestivano una particolare importanza non solo strategica, ma anche economica perché si trovano in esse le sorgenti del fiume Giordano.
Mentre Nasser presentava le dimissioni al parlamento egiziano, assumendosi la responsabilità della irreparabile sconfitta (ma il voto unanime del parlamento e le imponenti manifestazioni di massa in suo favore lo indussero a ritirarle), il ministro della difesa israeliano, il generale Moshe Dayan poteva annunciare trionfalmente che ora Israele aveva riconquistato i territori dell'antico regno di David e che, data la forza delle sue nuove posizioni, si poteva permettere di proporre al re di Giordania una fantomatica confederazione israelo giordana nella quale naturalmente la parte del leone l'avrebbe svolta Israele. La proposta venne respinta dalla maggioranza dei partiti israeliani, i quali avevano fatto i conti con il futuro mortale pericolo della incontrollabile crescita demografica della popolazione araba inglobata che, secondo accurati calcoli, avrebbe nel giro di un trentennio portato gli ebrei ad essere minoranza nel nuovo ipotizzato stato allargato. Tra i più accaniti oppositori all'ipotesi di Dayan vi era il comandante dell'esercito israeliano che aveva annientato nel Sinai le truppe nemiche e che si era distinto per la spietata ferocia con la quale aveva eliminato migliaia di prigionieri egiziani che si erano arresi per non rallentare la sua avanzata e altre migliaia gli aveva abbandonati feriti nel deserto, dove morirono di sete.
Eppure, proprio nel momento del massimo trionfo cominciò a profilarsi all'orizzonte un nuovo grave pericolo.
Stanchi di essere soggetti passivi, trascurati e senza speranza nel futuro, i profughi palestinesi stavano riscuotendosi dallo shock provocato dalla "catastrofe" del 1948. Già nel 1964 era stato convocato a Gerusalemme est un congresso nazionale palestinese nel corso del quale era stata fondata l'organizzazione per la liberazione della Palestina (OLP) con l'obbiettivo di abbattere lo stato sionista e di costituire uno stato laico multinazionale in cui dovevano avere diritto di cittadinanza gli arabi musulmani e cristiani, e gli ebrei nati in Palestina prima del 1920. Dopo la disfatta degli eserciti arabi nella guerra dei 6 giorni la guida dell'OLP passò ad una nuova generazione politica formata da persone di diversa formazione ideologica ma concordi nello sforzo di riconoscersi in un nazionalismo palestinese, distinto da quello arabo a guida nasseriana, nella convinzione che solo la lotta armata avrebbe potuto porre le basi per l'affermazione dei diritti palestinesi dando ad essi visibilità a livello internazionale.
Il gruppo che si mise maggiormente in luce fu Al-Fatah, fondato da un ingegnere originario di Haifa, Abu Ammar, destinato a diventare famoso con il nome di Yasser Arafat. Al-Fatah entrò nell'OLP nel 1969 e vi assunse subito un ruolo di guida, mentre Arafat diventava presidente dell'organizzazione. Altri gruppi che in quello stesso periodo vennero fondati furono: il fronte popolare per la liberazione della Palestina (FTLP) di orientamento marxista lieninista e preceduto da un ingegnere cristiano conosciuto con il nome di George Habash; il fronte democratico popolare per la liberazione della Palestina (FDPLP) presieduto dal maestro Nayef Hawatmeh, anch'egli cristiano e di orientamento marxista. La resistenza palestinese si identificò in breve tempo con l'OLP, un fronte in cui vennero riconoscendosi tutti i gruppi politici e militari palestinesi e che, nei rapporti con gli stati arabi rivendicò immediatamente il diritto di essere considerato l'unico legittimo rappresentante degli interessi palestinesi.
Questa presa di posizione portò a un inevitabile scontro con re Hussein di Giordania il quale rivendicava per se tale ruolo, sia perché la maggioranza della popolazione giordana era formata da profughi palestinesi, sia perché egli non aveva rinunciato alle prerogative del nonno Abdullah.
Quasi sicuramente finanziato e armato dagli israeliani re Hussein, accusando l'OLP di tramare un colpo di stato a suo danno scatenò contro l'OLP le sue forze armate. I palestinesi, benché inferiori di numero si batterono come leoni e per l'intero mese di Settembre 1970, tennero testa alle truppe giordane. Alla fine essi dovettero rassegnarsi ad accettare la mediazione di Nasser che gli convinse a trasferire le loro basi operative dalla Giordania al Libano, dove erano stanziati non meno di 200 mila profughi.
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