venerdì 18 febbraio 2011

IL CONFLITTO ISRAELO PALESTINESE - 6a parte

Le elezioni israeliane del 1988 confermarono la preminenza nella Knesset dei Likud e dei laburisti, che diedero vita a un governo contrassegnato dalla contrapposizione netta sulla questione dei territori palestinesi occupati. Il contrasto portò all'inevitabile crisi di governo e alla nascita di un governo di estrema destra appoggiato dai partiti religiosi e presieduto dal leader del Likud Shamir. La vita della coalizione fu breve e all'inizio del 1992 si ebbero nuove elezioni vinte dai laburisti che formarono un governo di coalizione ad egemonia laburista guidato da Yitzhak Rabin.
Già agli inizi degli anni 90', in concomitanza con la prima guerra del Golfo contro il regime iraqeno di Saddam Hussein, Arafat e i capi laburisti israeliani avevano tentato di raggiungere un accordo. Rabin e Peres erano stati convinti dalla prima Intifada che i palestinesi dei territori non erano più la mandria tranquilla e rassegnata, con la quale si erano trovati a confrontarsi. Arafat si trovava invece con le spalle al muro per il contesto internazionale: poco prima egli aveva commesso un gravissimo errore schierandosi con il dittatore iracheno e la circostanza aveva azzerato le sue risorse finanziarie perché l'Arabia Saudita e gli Emirati del Golfo, alleati di Bush Senior nella guerra anti Saddam gli avevano tagliato ogni aiuto. Nello stesso tempo era venuta a mancare anche la protezione dell'URSS e con essa ogni possibilità di avere un qualche aiuto militare. Fu così che essi si accinsero a trattare in uno stato di quasi costrizione e portandosi dietro tutte le loro riserve mentali. Ciò valeva anche per la "colomba" Shimon Peres in quel momento ministro degli esteri israeliano, il quale, quasi sicuramente pensava di guadagnar tempo per imporre alla fine la soluzione alla quale Israele aveva sempre puntato. In un colloquio del 1992 rimasto riservato fu chiesto a Peres se egli pensasse veramente ad uno stato palestinese; egli rispose che i palestinesi avrebbero potuto avere un loro stato soltanto nella striscia di Gaza, non più di questo; quanto alla Cisgiordania la sua idea era quella di una specie di condominio israelo/giordano/palestinese; della spartizione di Gerusalemme, che da anni era stata proclamata "capitale eterna" di Israele e del ritorno dei profughi palestinesi nei territori non era neppure il caso di parlare.
Nonostante tutto nel 1993 si assistette a una storica svolta: Israele e OLP proclamarono il riconoscimento reciproco e stipularono una avvio di negoziato che prevedeva l'autonomia amministrativa della striscia di Gaza e della città di Gerico. Fu finalmente l'avvio di un processo visibile di mediazioni positive che nel 1994 portò alla concessione della effettiva autonomia di Gaza e di Gerico e al ritiro dell'esercito israeliano dalla striscia di Gaza. Nel Settembre 1993 dopo ulteriori lunghi negoziati si giunse allo storico accordo di Oslo in cui venne formalizzata la dichiarazione di principio sulle disposizioni interinali di "autonomia" per i territori occupati che prevedeva l'entrata in vigore dell'autonomia palestinese, non più formale, ma sostanziata nella formula riconoscimento dell'autorità nazionale palestinese sui territori occupati. La dichiarazione fu poi precisata l'anno successivo al Cairo con l'accordo definitivo su Gaza e Gerico il cui controllo fu trasferito ufficialmente all'autorità dell'OLP.
Nel Settembre 1995 Rabin e Arafat firmarono alla presenza del presidente americano Bill Clinton l'accordo per l'estensione della piena autonomia palestinese all'intera Cisgiordania e al progressivo ritiro da essa di tutte le truppe israeliane.
La stretta di mano tra Arafat e Rabin e gli accordi di Oslo, dai quali parve avviarsi una effettiva tela di dialogo tra gli antagonisti, si sono costruite delle grosse illusioni in larga misura infondate. Quasi certamente l'unico personaggio certamente in buona fede era Yitzhak Rabin ma intanto il processo di pace fu fin dall'inizio aspramente contestato dalle frange estremiste delle due parti, e in particolare di quelle israeliane. A pesare sulle possibilità di successo del processo di pace seguitò infatti a pesare la vicenda degli insediamenti di colonie israeliane in Cisgiordania. Più si estendevano le colonie e più si rafforzavano i partiti ultra ortodossi, la destra radicale sionista e la linea di coloro che hanno sempre perseguito l'annesione dei territori. In tale politica infatti ci sono sempre stati precisi interessi economici. I territori occupati da Israele sono sempre stati un mercato vitale per l'industria israeliani che vi ha potuto reclutare mano d'opera a buon mercato; ma ai palestinesi è sempre stato vietato di avviare attività che facessero concorrenza alle imprese ebraiche, e il tutto senza alcuna contro partita. In oltre trenta anni di occupazione Israele non ha costruito una sola scuola, strada, ospedale mentre il primo semaforo stradale si è visto a Gaza, città con oltre un milione di abitanti nel 1995, ma è stato instaurato dall'autorità nazionale palestinese.
Gli insediamenti di colonie sono sempre stati una stabile e strutturale linea politica di tutti i partiti israeliani. Il regime di occupazione fu sempre una gara tra laburisti e destre tra chi costruiva un numero più alto di "colonie ebraiche" nei territori; e il tutto per guadagnarsi i voti della destra più radicale che non ha mai nascosto di volere l'espulsione degli arabi dalla Cisgiordania e degli ultra ortodossi religiosi, che sognavano una grande Israele dal Nilo all'Eufrate (che non è mai esistita).
Il risultato dell'insediamento di 400 mila ebrei intorno alla Gerusalemme araba in Cisgiordania a Gaza fu quella di un'annessione di fatto: e il segnale della massima prepotenza sionista e dell'umiliazione più profonda e continua subita dai palestinesi. La comunità internazionale per bocca dell'ONU e persino gli USA intervennero molte volte per fermare gli insediamenti, ma i governi israeliani continuarono imperterriti, intensificando l'azione proprio nei periodi che sembravano di più proficua trattativa.
Le terre confiscate per costruirvi fattorie fortezza con piscina incorporata, in una regione dove l'acqua certo non abbonda, vennero difese da nuove truppe, da nuovi posti di blocchi e da nuove devastanti strade militari.
Nel 1995 i coloni ebrei di Cisgiordania (il 10% degli abitanti della regione consumavano il 40% dell'acqua disponibile. I 4000 coloni di Gaza arrivarono ad occupare il 30% delle terre coltivabili della zona pur essendo meno del 3% della popolazione. Nel 1994 inoltre, ad Hebron un pazzo criminale israeliano, affiliato a un partito di estrema destra, ammazzò in una moschea trenta arabi in preghiera. L'anno seguente 300 ortodossi fanatici innalzarono a loro spese un monumento al pazzo criminale, e per proteggerlo costruirono alcune case a ridosso del vecchio centro, e per "proteggerli" il governo israeliano ha dovuto impiegare un'intera brigata dell'esercito.
Di fronte a questo quadro la cosiddetta sinistra israeliana e lo stesso movimento "Peace Now" si sono sempre limitati a reazioni sostanzialmente platoniche, perseverando nell'errore di non riconoscere che i palestinesi, pur non avendo alcuna colpa per l'Olocausto, avevano subito con la nascita dello stato ebraico una dura ferita. La sinistra israeliana non ha mai voluto riconoscere quel "vulnus" e le sofferenze umane e le conseguenze morali e politiche che ne sono scaturite. La sola differenza con la destra sta nel fatto che la sinistra propugnava la restituzione dei territori alla sovranità palestinese come la soluzione politica per arrivare alla pace. Questo era importante, ma la sinistra intendeva la restituzione della terra palestinese come benevola concessione come il prezzo da pagare per risolvere la crisi, non come una presa di coscienza e una scelta etica che rimediasse alla catastrofe subita dal popolo palestinese: "In questo modo la sinistra pacifista è diventata la più marginale delle tante componenti del dibattito politico in Israele, mentre avrebbe potuto essere la forza morale capace di scuotere le coscienze e avviare lo stato ebraico sulla strada della coesistenza pacifica con lo stato palestinese". Immagino che chi leggerà questo blog mi accuserà di essere un antisemita. Debbo confessare un mio trucco: il 98% delle parole e dei concetti esposti non è farina del mio sacco, ma la fedele riproduzione di un'intervista di Amos Elon, scrittore israeliano.

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