venerdì 4 febbraio 2011

IL DIRITTO ISLAMICO

Già ai tempi del Profeta si sviluppa il primo nucleo di uno stato islamico sotto forma di una confederazione che, intorno al nucleo centrale rappresentato dalla comunità di Medina si allarga alla Mecca e a tutta l'Arabia occidentale e centrale grazie all'associazione più o meno volontaria delle varie tribù beduine. Naturalmente questa comunità non presenta ancora i tratti giuridici e amministrativi propri di uno stato moderno; e tuttavia si può parlare di un'attiva compagine di dominio istituzionalizzato su un vasto territorio, indipendente da ogni controllo esterno, in grado di imporre il suo controllo sui territori e, quindi non più una società frammentata di tribù e clan in guerra tra loro, ma una costruzione politica unità e centralizzata.
Gli agenti di Muhammad danno inizio a una integrazione politica con la riscossione del contributo sociale; più tardi questa integrazione prosegue attraverso il reclutamento di contingenti di truppe presso le tribù beduine, orgogliose stirpi aristocratiche di guerrieri. Il carattere militante della comunità è tuttavia un carattere che avvicina l'Islam all'Ebraismo primitivo invece che al Cristianesimo.
Sotto i primi quattro califfi e giungendo attraverso le conquiste a contatto con organizzazioni statuali estremamente civilizzate ed organizzate (l'impero Sassanide, l'impero Bizantino), e grazie alle prime raccolte degli "adith" del Profeta da parte dei compagni "ben guidati" di Muhammad la Umma musulmana originaria configurabile come "stato-comunità" evolve rapidamente verso una struttura organizzata che può già definirsi uno stato ordinamento, che esercita la sovranità in forme organizzate in grado di esercitare una compiuta sovranità. Le fonti del diritto, costituite dai precetti coranici e da quelli contenuti negli adith, sono configurabili come un vero e proprio sistema giuridico distinto dal diritto consuetudinario: esse richiedono l'opera di esperti della tradizione (Sunna) autorizzati alla raccolta e alla spiegazione di sempre nuovi elementi.
Accanto alla Sunna come uso locale nasce una Sunna fondata sulle scelte giuridiche di base fatte dai califfi nella pienezza dei propri poteri. Il Profeta aveva già accolto e gestito il diritto consuetudinario pre-islamico. I califfi in qualità di guida politica della comunità islamica, esercitano sempre meno la funzione di giudici arbitrali e sempre più quella di legislatori, le cui formulazioni si rivolgono all'organizzazione dei territori conquistati. Nel diritto penale vengono in particolare introdotti alcuni isolati irrigidimenti: forse viene usata la frusta per gli autori di poesie satiriche contro altre tribù, e quasi certamente la lapidazione degli adulteri non prescritta nel Corano.

Sotto i califfi Omayyadi le cose cambiano da ogni punto di vista influenzando profondamente anche la sfera del diritto. Sotto la dominazione Omayyade si giunge:
1 - Alla nascita di un diritto islamico comune, la "Sharia" ("La via per l'Acqua" o Legge Sacra che avrà poi una lunga evoluzione);
2 - All'impiego di giudici statali (Qudat, Sing. Qadi) e alla formazione di studiosi di diritto islamico (Fuqhaha, Sing. Faqih);
3 - Alla creazione di una scienza giuridica islamica (Fiqh) fino ad allora inesistente.
I Qadi in particolare sono i giuristi delegati dal governatore di un territorio che all'inizio agiscono in posizioni subordinate ma alla fine della dinastia Omayyade assumono un ruolo indipendente all'interno dell'apparato governativo. Le loro decisioni gettano le basi di un diritto islamico indipendente dalle prescrizioni del Corano e della tradizione e le loro sentenze permettono di orientare le sentenze successive. La giurisdizione acquista così un pieno sviluppo: una figura esemplare tra i primi giudici è Iyas Ibn Muhawiya le cui decisioni sembrano fare affidamento sulla ragione umana, sulla conoscenza della natura umana e sull'acume intuitivo. Tutto ciò provoca notevoli differenziazioni nell'amministrazione della giustizia: da un lato, infatti nelle diverse regioni vige un differente diritto consuetudinario, dall'altra parte ogni giudice decide in base alla propria decisione personale. Tuttavia non c'è alcuna corte al di sopra dei giudici e il governo centrale non aspira in alcun modo all'uniformazione del diritto. Di fronte alle circostanze sempre più complesse delle nuove epoche, i Qadi sono sempre più costretti a specializzarsi e già negli ultimi decenni del dominio Omayyade vengono nominati giudici soltanto gli specialisti.

Con l'espressione "Tii specialisti" si intendono esperti formati non con il metodo sistematico e scientifico, ma professionisti di stato. Essi erano interessati più alla religione che al diritto. Si tratta di laici impegnati dal punto di vista religioso, che nel tempo libero discutono e riflettono privatamente del Corano, riuniti in gruppi di amici che condividono le stesse concezioni e forniscono comunque informazioni giuridiche e pareri (Fatwa). Tra gli specialisti religiosi e i loro gruppi vi sono numerosi neo musulmani il cui interesse primario non è la pratica giuridica delle corti, ma una sorta di Way of Life islamica aperta a tutti. A loro parere qualsiasi accertamento del diritto non può fondarsi sul buon senso o sulla sottigliezza ma solo sul Corano e sulla Sunna del Profeta. In un primo momento essi non partecipando come consulenti alle sedute dei tribunali, hanno scarsa influenza sull'amministrazione della giustizia da parte dei Qadi; e tuttavia essi creano lentamente i presupposti per un processo di islamizzazione del vigente diritto consuetudinario.
Questo comincia all'inizio in modo molto discreto, grazie all'opera di singoli esperti particolarmente numerosi a Medina che forniscono informazioni giuridiche alla gente alle prese con conflitti di coscienza riguardanti il matrimonio, la separazione dei coniugi, i tributi statali e il digiuno. Questi esperti e consiglieri religiosi stimatissimi dal popolo per il loro pio impegno e per le loro attività di consulenze e di guide, spesso criticano le decisioni del potere: essi tuttavia non si schierano apertamente contro il governo e lo stato degli Omayyadi e guadagnano la fiducia del popolo. Negli ultimi decenni del periodo Omayyade, con l'aumento del numero degli studiosi di diritto, si costituiscono le antiche scuole giuridiche, che operano nelle zone più disparate, Kufa, Medina, la Mecca e in Siria. Esse non hanno uno status ufficiale, ne un'organizzazione rigida, ne un piano unitario di insegnamento; continuano ad operare a livello privato, supportate dall'amministrazione e dal sostegno popolare. Le differenze tra le scuole si definiscono solo in base alle diversità tra provincie culturali, senza seguire determinati metodi giuridici. Infatti, in questa prima fase della giurisprudenza islamica, esiste un notevole corpus di dottrina comune, che solo in seguito verrà ridimensionato da sempre più marcate differenziazioni tra scuole.
Le norme del Corano non sono mai considerate tanto da trarne troppe ampie deduzioni, applicabili ai più svariati ambiti della vita sociale. Ogni scuola rappresenta una tradizione viva, una propria dottrina consolidata definita "Sunna"; si riesce comunque a stabilire tra gli studiosi un consenso che va ben oltre il comune e generale consenso fra musulmani. In tale consenso le varie scuole che in molti casi hanno opinioni diverse concorrono tutte alla ricerca di corrispondenze comuni.
Non basta tuttavia aver dato fondamenti teorici al diritto religioso islamico grazie al consenso tra gli studiosi: esso deve essere saldamente fondato anche dal punto di vista storico e in tal modo gli studiosi musulmani tendono a ricollegarsi all'opera di grandi maestri.
La maggior parte delle informazioni riguarda la scuola di Kufa, dove l'intera dottrina scolastica è attribuita a Ibrahim Al-Nabai. Un altro esempio è Medina dove ci si richiama a sette giuristi dell'epoca precedente. Il processo di proiezione inversa va comunque oltre, sicché la fondazione del diritto islamico viene ricollegata alla diffusione iniziale dell'Islam: a Kufa ad un amico del Profeta di nome Ibn Masud, alla Mecca al califfo Omar. L'ultimo passo nella proiezione al ritroso finisce con l'essere il legame con il Profeta in persona sicché in tutte le comunità, anche nelle più lontane la dottrina dei giuristi e la pratica giuridica vengono identificate con "la Sunna del Profeta", non intesa come elemento teologico e politico ma come fatto giuridico.


"Basta dittatura, Il Cairo sia un esempio" così la rivoluzione dilaga nel mondo arabo

Per anni la gente qui ha cercato un appiglio per ribellarsi: ora lo ha trovato. Anche i Fratelli musulmani sono rimasti sorpresi dall´impatto delle proteste 

IL CAIRO - Mercoledì, nelle strade del centro del Cairo si è combattuto non solo per il futuro dell´Egitto ma per quello del mondo arabo, in bilico tra rivolta e il disprezzo per un assetto che sta andando in frantumi. Durante una settimana di tumulti e provocazioni, decine di migliaia di dimostranti hanno ridefinito il concetto stesso di cittadinanza in quest´area del mondo: armati di bastoni, bombe di costruzione artigianale e una pioggia di pietre, hanno proclamato di non voler rinunciare alla rivoluzione malgrado la reazione di un governo autoritario.
In attesa di capire se ad affermarsi sarebbero state la protesta o la repressione, il mondo arabo ha assistito in questi giorni a momenti in cui sembrava che nulla sarebbe più stato come prima. Parole come "insurrezione" e "rivoluzione" sfiorano appena la portata degli eventi di questi giorni, che già hanno avuto delle ripercussioni in Yemen, in Giordania, in Siria e persino in Arabia Saudita, proponendo un modello per il cambiamento in una regione che da tempo annaspa in situazione stagnante.
«Adesso, ogni egiziano capisce», dice Magdi al-Sayyid, uno dei dimostranti. I dimostranti sono riusciti a farsi ascoltare e da un governo che, come molti altri in Medio Oriente, li considera una realtà molesta. Mercoledì scorso, appostandosi presso le barricate improvvisate di piazza Tahrir, gli egiziani hanno smentito coloro che non riconoscono il potere della piazza nel mondo arabo. «La piazza non ha più paura», commenta Shawki al-Qadi, parlamentare dell´opposizione in Yemen, paese a sua volta attraversato dal vento del cambiamento. «Adesso sono i governi e le forze di sicurezza a temere il popolo. La generazione di Internet, non ha paura. Reclama pieni diritti e una vita. Una vita dignitosa».
I fatti di mercoledì hanno trasformato queste astrazioni in realtà. Tra i dimostranti c´erano Mohammed Gamil, un dentista in cravatta blu che si è lanciato verso le barricate. Dietro di lui è accorsa Fayeqa Hussein, una donna velata, madre di sette figli, che ha riempito di pietre un contenitore di polistirene. Prima di dirigersi a sua volta verso la folla, Magdi Abdel-Rahman, un nonno sessantenne, ha baciato il suolo. A guidare la carica è stato Yasser Hamdi, dicendo che sua figlia, due anni, avrà una vita migliore della sua. «Siete uomini o no? - ha urlato - Andiamo!».
Anche i Fratelli musulmani, principale forza di opposizione in Egitto, si è aggiunta alla mischia. All´imbrunire i loro seguaci si sono inginocchiati in preghiera, i volti rischiarati dal tenue bagliore dei fuochi che bruciavano poco distante. Ma gli eventi di questi giorni hanno colto di sorpresa persino la Fratellanza, considerata da tempo l´unica possibile fonte di cambiamento. Il movimento che ad oggi non ha ancora trovato dei leader: né i Fratelli né i pochi rappresentanti dell´opposizione - come Mohamed ElBaradei o Ayman Nour - sono riusciti a dare voce alle speranze negate, alle umiliazioni subite per mano della polizia e all´onta di non avere abbastanza denaro per sposarsi. Sentimenti che accomunano gli abitanti dei campi palestinesi di Giordania a quelli del quartiere degradato di Sadr City, a Bagdad. Per molti ormai, la Fratellanza non è che ciò che resta di un assetto obsoleto, che ha fallito la propria missione. «Il problema è che per trent´anni Mubarak non ci ha permesso di costruire un´alternativa», dichiara Adel Wehba.
È stata forse la mancanza di alternative che ha portato alla rivolta, obbligando a scendere in strada giovani, poveri, e ogni altro segmento della popolazione egiziana: leader religiosi con turbante, uomini d´affari provenienti dai quartieri residenziali, registi e ricchi ingegneri. Mesi fa, in pochi avrebbero sperato che qualcosa nel mondo arabo potesse davvero cambiare.
Dalle telecronache minuto-per-minuto sui canali arabi ai dibattiti che riecheggiavano dall´Iraq al Marocco, il mondo arabo ha assistito con il fiato sospeso ad un momento di svolta: per la prima volta in una generazione, gli arabi tornano a guardare all´Egitto in cerca di una guida, con un tangibile senso di fatalità. «Chiedo al mondo arabo di restarci vicino sino a quando non avremo conquistato la nostra libertà», ha affermato Khaled Yusuf, esponente di Al Azhar, un´istituzione di studi religiosi un tempo stimata e oggi sottomessa al governo. «E dopo che ci saremo riusciti, libereremo il mondo arabo!».
Il mondo arabo attende da decenni un salvatore; aveva creduto di scorgerlo in Gamal Abdel-Nasser, il carismatico presidente egiziano, e addirittura, per qualche tempo, in Saddam Hussein. Mercoledì scorso però, nessuno aspettava più nulla: forte di un´autorità consolidata da quasi tre decenni di attesa, il popolo ha ritrovato se stesso. «Sto lottando per la mia libertà», affermava Noha al-Ustaz, intenta a frantumare dei mattoni sul marciapiede. «Libertà per il mio diritto di espressione. Per porre fine all´oppressione. Per porre fine all´ingiustizia». «Vai, vai!», riecheggiavano intanto le urla nelle strade. E lei è andata, inghiottita da un mare di uomini.


ALLAHU AKBAR!

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