In concomitanza con quella che sembrava l'effettivo avvio del processo di pace, vi fu una drammatica recludescenza dell'estremismo più aggressivo dei gruppi sionisti e, almeno sotto il profilo propagandistico dello stesso Likud. I muri delle città israeliane, a cominciare da Gerusalemme vennero inondati da provocatori manifesti che ritraevano insieme Arafat e Rabin uniti da una svastica nazista. Agli occhi dei sionisti Rabin, firmatario con Arafat del primo tentativo di pace tra israeliani e palestinesi, fondato sul principio "sicurezza in cambio dei territori" e sul riconoscimento di un'autorità nazionale palestinese da parte dello stato di Israele, durante una imponente manifestazione pacifista venne assassinato con 3 colpi di pistola a Tel Aviv il 4 Novembre 1995 da un giovane studente di legge nato negli Stati Uniti e appartenente a un piccolo partito ebraico dell'ultra destra. Il killer, Yigal Amir, riuscì ad avvicinarsi al primo ministro israeliano senza che nessuno lo notasse; ma dopo lo sgomento e lo sconforto dei primi giorni andarono crescendo le perplessità sulla reale natura dell'attentato, che assunse sempre più i contorni di un vero e proprio complotto e non un folle gesto di un giovane isolato. Nel corso dell'inchiesta crebbero i dubbi sull'operato dello Shin Bet e dei servizi di sicurezza. Le indagini e le dichiarazioni di Amir misero in evidenza che l'attentatore sarebbe stato spalleggiato da un gruppo di giovani ultras, da alcuni elementi del Mossad e persino da una delle guardie del corpo di Rabin. La mattina era comparso a Tel Aviv un manifesto che ritraeva Rabin sotto la scritta "Wanted". Leah, la vedova di Rabin respinse le condoglianze di Sharon e di Netanyahu, leader del Likud, e gli accusò senza mezzi termini di complicità morale dell'assassinio del marito nonostante la gravissima perdita e la crescente opposizione anche violenta che alcuni gruppi palestinesi opposero al prosieguo del processo di pace, agli inizi del 1996 si tennero le prime elezioni generali nei territori consegnati all'autorità palestinese: Arafat ne fu eletto presidente e il suo partito (Al-Fatah) si aggiudicò la maggioranza dei seggi nel consiglio nazionale dell'autonomia. L'affluenza alle urne fu eccezionale nonostante il boicottaggio del fronte di Abash e del fronte popolare di Hawatmeh e di un nuovo movimento di recente nascita, destinato ad avere largo sviluppo in prosieguo di tempo: si trattava di un organizzazione, Hamas che si diceva essere sostenuta dai Fratelli Musulmani e dall'Iran Khomenista (ma non mancava chi denunciava il lavoro sotto banco di Sharon, che nell'estremismo di Hamas vedeva un elemento che poteva indebolire Arafat). Sempre nel 1996 in un clima di crescente tensione dovuta alla ripresa degli attentati anti israeliani, si tennero nuove elezioni in Israele che furono vinte dal Likud, il cui leader Benjamin Netanyahu, divenne primo ministro. Egli si alleò con l'estrema destra, avviò in violazione degli accordi di pace la ripresa della colonizzazione in tutti i territori occupati, impose in ripetuti rinvii delle date concordate per l'evacuazione delle truppe e causò in tal modo un acuto ritorno di ostilità con l'OLP e con l'intero mondo arabo.
La coalizione governativa di destra fu presto indebolita a causa di alcune defezioni e nel 1999 si tennero nuove elezioni, che portarono alla guida del paese il laburista Ehud Barak, che sembrava intenzionato a riprendere il processo di pace fino ad ammettere in maniera esplicita il riconoscimento di uno stato arabo palestinese. Anche il governo Barak ebbe vita difficile per i contrasti interni alla coalizione di maggioranza e perchè fallirono le trattative di pace con Arafat avviate alla fine del 2000 a Camp David (USA) con la mediazione del presidente americano Clinton.
All'inizio sembrò che tutto procedesse per il meglio ma i 3 protagonisti della trattativa erano in qualche modo delle "anatre zoppe": Clinton stava per cessare il suo secondo mandato; Barak, ammesso che fosse in buona fede sapeva in partenza che non avrebbe mai potuto accettare almeno due delle richieste che Arafat gli aveva rivolto, e cioè la riconsegna della parte araba di Gerusalemme e il rientro dei profughi nel futuro stato palestinese; Arafat sapeva che, anche a causa della corruzione di molti rappresentanti dell'OLP il suo partito si era fortemente indebolito. D'altra parte mentre avveniva la trattativa, a Gerusalemme Ariel Sharon, sfidando ogni regola di correttezza che nessuno aveva mai avuto l'ardire di violare, si produsse con la protezione di un imponente schieramento di poliziotti israeliani in una provocatoria passeggiata sulla spianata delle moschee a Gerusalemme. L'ira che l'irresponsabile gesto, per altro accuratamente studiato in vista delle quasi certe nuove elezioni israeliane, scatenò la popolazione palestinese che diede vita a sanguinose manifestazioni e alla proclamazione di una seconda "Intifada".
Dimessosi Barak, nelle elezioni anticipate del Febbraio 2001 si affermò la coalizione di destra guidata da Sharon che formò un governo di unità nazionale con i laburisti e con i partiti religiosi. Nel 2001/2002 un'ondata di attentati terroristici senza precedente colpì Israele, la cui opinione pubblica rimase sconvolta dal fatto che gli attentatori erano giovanissimi, che si facevano saltare in aria insieme alle loro vittime in spaventosi attentati suicidi. Israele rispose con pesanti rappresaglie nei territori occupati, in particolare in Cisgiordania, fino a confinare Arafat ormai vecchio e ammalato, nel suo quartier generale Ramallah. Alla fine del terribile scontro si contarono 320 vittime nella popolazione civile israeliana e quasi 4000 morti dalla parte palestinese.
Tra gli episodi nei quali si sviluppò la tragica vicenda spiccò per la sua drammaticità quanto avvenne alla Chiesa della natività a Betlemme, dentro la quale si erano rifugiati un centinaio di palestinesi, alcuni dei quali sospettati di essere terroristi vennero esiliati alla fine di una lunga trattativa, grazie anche all'attivo intervento di Papa Giovanni Paolo II, che senza mezzi termini accusò Israele di imporre al popolo palestinese un doloroso e ingiusto calvario.
Le elezioni anticipate del Gennaio 2003 videro la schiacciante vittoria del Likud guidato da Sharon, la sconfitta dei laburisti e il successo di una nuova formazione a orientamento laico, lo Shinui che pur opponendosi ai partiti religiosi non era per questo meno intransigente nei confronti degli arabi. A Sharon venne affidato il compito di formare un nuovo governo e nel Febbraio dello stesso anno egli presentò alla Knesset una coalizione formata dal Likud, dallo Shinui e dal partito nazionalreligioso, piccola formazione estremista che rappresentava i "coloni".
Per fronteggiare gli attacchi terroristici degli attentatori suicidi il governo israeliano rispose ordinando la costruzione di un alto muro di cinta che, oltre a circondare i territori palestinesi ne approfittava per incorporare nei confini israeliani sempre nuove terre. Nel corso dello stesso anno tuttavia ripresero i tentativi da parte della comunità internazionale di arrivare a una soluzione del conflitto tra israeliani e palestinesi, anche perchè l'11 Settembre del 2001 era avvenuto il tragico attentato alle Torri Gemelle di New York e al Pentagono da parte di un gruppo di terroristi sauditi, affiliati ad un organizzazione, Al-Qaida, guidata dallo sceicco Osama Bin-Laden. Il nuovo governo americano, guidato da George W. Bush aveva urgente bisogno di isolare il conflitto israelo palestinese da tutto ciò che poteva offrire spazio e motivazioni al nuovo nemico affacciatosi all'orizzonte e in tale contesto venne presentato un nuovo piano di pace denominato "Road Map", elaborato, oltre che dagli USA, dall'Unione Europea, dalla Russia, e dalle Nazioni Unite, che veniva affidato alla discussione tra i leader palestinesi e israeliani. I fatti avrebbero presto dimostrato che si era in presenza di una nuova infruttuosa illusione: ormai, come ebbe a commentare uno scrittore israeliano, israeliani e palestinesi erano come due scorpioni chiusi in una bottiglia.
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