Dal punto di vista strategico più evidente, Israele appare in impressionante declino geopolitico: dal punto di vista di un occidentale la "Primavera Araba" è con tutta evidenza "l'Inverno Israeliano". Sotto il profilo della sicurezza dello stato ebraico la contabilità degli sconvolgimenti in corso dalla fine del 2010 nella regione porta la bilancia a "meno 5". L'unico segno "più" può forse considerarsi la reazione immediata dell'Arabia Saudita al pericolo di destabilizzazione del Golfo, cui l'Arabia Saudita ha fatto fronte con l'invasione militare del Bahrein; e tuttavia l'attivismo del Qatar, con la sua bomba atomica mediatica di Al Jazeera non serve certo gli interessi di Gerusalemme.
Sulla colonna negativa della sicurezza israeliana vanno allineati i seguenti punti:
I - La perdita della Turchia, massimo bastione "dell'alleanza della periferia" che un tempo comprendeva Iran ed Etiopia;
II - La caduta di alcuni dei più affidabili dittatori arabi, da Ben Alì a Mubarak;
III - La prospettiva di una coalizione di fatto tra militari nazionalisti e Fratelli Musulmani in Egitto;
IV - Lo scivolamento dell'Iraq, con le sue risorse energetiche, nell'orbita dell'arci-nemico iraniano;
V - La mossa di Abu Mazen a caccia di un seggio o, almeno, di una presenza non solo simbolica all'ONU, che internazionalizza la disputa con Israele;
VI - Il rischio di perdere l'imbelle nemico siriano, che non è stato mai un gran problema;
VII - La caduta di influenza degli Stati Uniti, massimo garante della sicurezza israeliana, nel Medio Oriente del mondo; ed è proprio quest'ultimo elemento la radice di tutti i punti prima elencati. Alla perdita di potenza USA si accompagna anche la divaricazione tra interessi israeliani e americani, percepita a Washington e specialmente al Pentagono. Le affinità elettive fra Israele e Stati Uniti restano, ma nell'immediato la concordia è meno scontata.
Robert Gaters, già capo della CIA e Ministro della Difesa, ha espresso giudizi durissimi su Netanyahu: "Malgrado l'assistenza militare, tecnologica e di intelligence offerta a Gerusalemme, gli Stati Uniti non hanno ottenuto niente in cambio, specie per quel che riguarda il processo di pace". Netanyahu non è solo ingrato, ma mette in pericolo il suo paese rifiutandosi di affrontare il crescente isolamento di Israele e le sfide demografiche che gli derivano da voler controllare la Cisgiordania.
Gli osservatori più approfonditi tendono a ricollegare tutte queste debolezze al contesto della plurimillenaria vicenda ebraica, perché è in questa, e non nell'olocausto strumentalizzato in chiave propagandistica che l'Israele odierna trova la sua legittimazione.
Il carattere permanente di Israele è il particolarismo ebraico che ha tenuto gli ebrei non in sincronia con il resto del mondo (da notare che questo giudizio non è di un assatanato anti sionista ma di uno storico ebraico come Dan Vittorio Segre. Si tratta di un isolazionismo genetico stabilito nella sacra scrittura e prescritto agli ebrei osservanti ma sentito anche da numerosi ebrei che si professano laici. Il testo più citato sono le parole di Dio a Mosè (Esodo, XIX, 6): "Sarete per me un regno di sacerdoti e una nazione santa...Ecco un popolo che abita a parte e non si conta tra le genti, perché tu sei un popolo consacrato al tuo Dio. Il Signore ti ha scelto per essergli popolo prediletto fra tutti i popoli che ci sono sulla faccia della Terra".
Secoli di diaspora, assimilazione, persecuzioni e tentativi di sterminio non hanno sradicato nella nazione ebraica il segno del patto divino. Il terzo Israele fondato nel 1948 è la moderna traduzione geopolitica del contratto tra Dio e la nazione eletta ristabilita "nella nostra terra" come canta l'inno nazionale di Israele. Non un popolo tra gli altri e neppure uno stato tra gli altri ma un popolo e uno stato superiori agli altri. Ciò spiega molto del vincolo con l'America, celebrata da numerosi scrittori e pensatori americani come l'Israele dei nostri giorni: una nazione grande e una piccola, accomunate da un Manifest Destiny di matrice divina, non omologabili alle sovranità banalmente terrestri: in buona sostanza l'alleanza tra Israele e gli Stati Uniti è il legame tra due "fuori classe".
Di tale elemento era ben consapevole il primo vero leader dell'OLP (Organizzazione per la Liberazione della Palestina) Yassir Arafat il quale, facendo delle acute considerazioni sul suo popolo, paragonò il destino dei palestinesi a quello degli indiani d'America, quasi sterminati e chiusi nelle riserve per far posto al miti americano del "Destino-Manifesto". Cos'è in fin dei conti la politica cocciutamente perseguita da tutti i governi di Israele di "rosicchiare" come un famelico topo i territori palestinesi per insediarvi isole di civiltà in un mare di barbarie. Del resto l'attuale revisionismo nazionalista degli intellettuali israeliani, teorici del muro di ferro tra il futuro Israele e gli arabi, non fa che aggiornare l'immagine cara al leader laburista Ehud Barak, oggi ministro della difesa: "Israele è come una villa nella giungla, un'isola di civiltà circondata da barbari di basso spirito e privi di civiltà".
Netanyahu ha in qualche modo aggiornato questa visione e l'ha resa se possibile ancora più drastica e stanno cedendo a una pericolosissima visione dettata da una sorta di ubriacatura nazional-religiosa. Egli sogna, con molti dei suoi ministri un quarto Israele ispirato a re David quando gli ebrei dominavano dal Sinai a Damasco e all'Eufrate. Fondare la geopolitica su una religione che, oltretutto inventa una Israele mitica che non è mai esistita, significa negare la geografia e la politica. La geoteologia è una droga potente, perché fa sentire liberi da ogni vincolo di tempo e di spazio e padroni assoluti del proprio destino, e del tutto indifferenti agli altri.
C'è solo da chiedersi in che cosa il delirio ultrà degli attuali governanti sionisti si differenzia dal delirio fortemente beffeggiato di Osama Bin Laden, che vagheggiava la rinascita di un califfato musulmano esteso dall'Atlantico al fiume Indo e comprendente anche la Spagna. I metodi, a ben vedere dello stato di Israele e del terrorismo di Al Qaeda, differiscono solo nelle dimensioni; ma almeno i sogni di Bin Laden facevano riferimento ad un califfato musulmano che è effettivamente esistito ed è stato fattore di civiltà, e a un impero Ottomano che per almeno 300 anni è stato la massima potenza politica e militare del mondo.
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