L´Unesco riconosce la Palestina Gli Usa: "Inopportuno, stop ai fondi"
GERUSALEMME - «Una vittoria del diritto, della giustizia, della libertà». «Una tragedia». Non potrebbero essere più distanti in questo momento Israele e Palestina. Il voto parigino dell´Assemblea generale dell´Unesco ieri pomeriggio sulla richiesta di adesione presentata dall´Anp - passata con 107 sì, 52 astensioni e 14 no - ha aperto un nuovo fronte: quello diplomatico, che coinvolge anche gli Stati Uniti e l´Europa. Gli Stati Uniti fortemente contrari insieme a Israele all´adesione - convinti che solo da negoziati diretti fra le parti ci possa essere il riconoscimento della Palestina come Stato - hanno messo in campo tutto il loro peso politico e tutte le loro risorse, minacciando o blandendo i delegati, per evitare il voto e la dèbacle annunciata. «Una mossa controproducente, inopportuna e prematura», il secco e stizzito commento della Casa Bianca dopo la votazione. Minaccia il premier israeliano Netanyahu: «Non ce ne staremo seduti con le braccia conserte verso queste mosse che danneggiano Israele». Difficile in questo clima riavviare i tanto evocati negoziati diretti di pace. I delegati europei hanno votato in ordine sparso, sancendo ancora una volta le divisioni dentro l´Unione su una politica estera comune: sì della Francia, del Belgio, della Spagna e dell´Austria, no della Germania, astensione della Gran Bretagna e dell´Italia. Favorevoli la Russia, la Cina, l´India insieme alla quasi totalità dei Paesi arabi e latinoamericani. Deluso sull´Italia il ministro degli Esteri palestinese al-Malki: «Visti i nostri rapporti Roma avrebbe dovuto votare sì».
Il voto dell´Unesco - l´organizzazione per l´Educazione, la Scienza e la Cultura creata nel 1946 - ha un grande valore simbolico per i palestinesi ma uno scarso peso politico. Per Abu Mazen rappresenta un primo importante successo in attesa che il Consiglio di sicurezza dell´Onu si pronunci sull´ammissione della Palestina alle Nazioni Unite. Ma su quella richiesta pende il veto annunciato dagli Stati Uniti al Consiglio di sicurezza, nella convinzione che uno Stato palestinese vada riconosciuto nell´ambito di un negoziato con Israele, che bloccherà la richiesta.
L´Unesco, la prima agenzia Onu ad aver messo in agenda la questione dello status palestinese, adesso si trova esposta ai tagli del contributo che gli Stati Uniti le versano. Ieri sera il Dipartimento di Stato americano ha annunciato il congelamento dei finanziamenti di Washington che da soli rappresentano il 22 per cento del budget dell´Agenzia. Due leggi approvate negli anni ´90 dagli Usa vietano il finanziamento di qualsiasi organizzazione Onu che accetti la Palestina come membro a pieno titolo. Problema che ha ben chiaro anche il segretario generale dell´Onu Ban Ki-moon. «L´ammissione della Palestina come membro dell´Unesco ha potenziali implicazioni sui finanziamenti garantiti da alcuni degli Stati membri», ha detto il segretario in una conferenza stampa a New York, ma ha anche voluto ricordare che il compito dei Paesi che fanno parte del sistema Onu è di assicurare il supporto politico e finanziario all´organizzazione. Gli Usa sono rientrati nell´Unesco solo nel 2003, dopo anni di boicottaggio nei confronti di quella che il Dipartimento di Stato definiva «la crescente disparità tra la politica estera Usa e gli obiettivi dell´Unesco».
Il primo passo della Palestina all´Unesco, ora che ne è Stato membro e può chiedere la protezione dei suoi siti storici e religiosi, sarà quello di far partire la richiesta ufficiale perché Betlemme - la città della Natività strangolata dal Muro "di sicurezza" - entri a far parte della lista dei siti protetti come Patrimonio universale
Il voto dell´Unesco - l´organizzazione per l´Educazione, la Scienza e la Cultura creata nel 1946 - ha un grande valore simbolico per i palestinesi ma uno scarso peso politico. Per Abu Mazen rappresenta un primo importante successo in attesa che il Consiglio di sicurezza dell´Onu si pronunci sull´ammissione della Palestina alle Nazioni Unite. Ma su quella richiesta pende il veto annunciato dagli Stati Uniti al Consiglio di sicurezza, nella convinzione che uno Stato palestinese vada riconosciuto nell´ambito di un negoziato con Israele, che bloccherà la richiesta.
L´Unesco, la prima agenzia Onu ad aver messo in agenda la questione dello status palestinese, adesso si trova esposta ai tagli del contributo che gli Stati Uniti le versano. Ieri sera il Dipartimento di Stato americano ha annunciato il congelamento dei finanziamenti di Washington che da soli rappresentano il 22 per cento del budget dell´Agenzia. Due leggi approvate negli anni ´90 dagli Usa vietano il finanziamento di qualsiasi organizzazione Onu che accetti la Palestina come membro a pieno titolo. Problema che ha ben chiaro anche il segretario generale dell´Onu Ban Ki-moon. «L´ammissione della Palestina come membro dell´Unesco ha potenziali implicazioni sui finanziamenti garantiti da alcuni degli Stati membri», ha detto il segretario in una conferenza stampa a New York, ma ha anche voluto ricordare che il compito dei Paesi che fanno parte del sistema Onu è di assicurare il supporto politico e finanziario all´organizzazione. Gli Usa sono rientrati nell´Unesco solo nel 2003, dopo anni di boicottaggio nei confronti di quella che il Dipartimento di Stato definiva «la crescente disparità tra la politica estera Usa e gli obiettivi dell´Unesco».
Il primo passo della Palestina all´Unesco, ora che ne è Stato membro e può chiedere la protezione dei suoi siti storici e religiosi, sarà quello di far partire la richiesta ufficiale perché Betlemme - la città della Natività strangolata dal Muro "di sicurezza" - entri a far parte della lista dei siti protetti come Patrimonio universale
dell´Umanità.
Fabio Scuto
"America e Stato ebraico isolati questo voto è segno di una svolta"
«La conquista di un seggio palestinese all´Unesco ha un valore simbolico. Quel riconoscimento, però, è anche un segnale importante: rivela un cambiamento profondo nell´opinione mondiale, l´isolamento crescente di Stati Uniti e Israele». Juan Cole, storico del Medio Oriente all´Università del Michigan, invita a calcolare i voti espressi ieri dall´assemblea di Parigi per distillarne il significato politico. «L´ingresso della Palestina all´Unesco è stato approvato dalla stragrande maggioranza: 107 membri a favore, e soltanto 14 contrari. Siamo di fronte a un´inversione di rotta, anche rispetto a pochi anni fa».
Professore Cole, la Francia ha rotto i ranghi. Italia e Gran Bretagna si sono astenute. Lei come lo interpreta?
«È la dimostrazione che il fronte del rifiuto contro la nascita di uno Stato palestinese va sfaldandosi. Ieri si sono viste diserzioni significative, in particolare della Francia. Tutto questo annuncia due novità: la prima è la debolezza crescente, l´irrilevanza dell´America nelle questioni del mondo arabo. Per Washington, si è trattato di una sconfitta. La seconda novità è la percezione diversa di Israele da parte della comunità internazionale».
Che cos´è cambiato?
«Sono cambiate molte cose nell´ultimo decennio: ci sono state la guerra del Libano nel 2006, di Gaza nel 2008-2009, il blocco della Striscia, poi l´affare della Mavi Marmara con l´assalto alla nave turca della Freedom Flotilla nel 2010. Sono episodi che hanno modificato l´immagine di Israele, nel trattamento dei palestinesi. Il voto all´Unesco manifesta l´opposizione dell´America Latina, l´Africa, l´Asia, e anche parte dell´Occidente, alla politica della destra al governo in Israele».
Ma l´accesso all´Unesco non garantirà ai palestinesi uno Stato. La loro, è una diplomazia vincente?
«Intanto, il risultato di ieri ha ramificazioni legali: se alcuni siti storici e religiosi verranno designati patrimonio dell´umanità sotto la bandiera palestinese, questi saranno in qualche misura protetti dall´espansione delle colonie israeliane. Quanto alla strategia diplomatica, l´efficacia si vedrà nel lungo termine. Del resto, dopo le promesse inevase di Oslo, dopo l´inconsistenza del processo di pace, una nuova generazione colta di avvocati palestinesi vuole rompere l´isolamento indirizzandosi alla comunità internazionale».
E che risultato otterrà, secondo lei, quando il Consiglio di sicurezza voterà il riconoscimento di uno Stato palestinese?
«Probabilmente, otterrà niente. Servono 9 voti per una maggioranza, e i palestinesi ne hanno soltanto 8. Washington non dovrà nemmeno opporre il veto. È una faccenda tutta simbolica. Però si capisce che il vento è cambiato. Il mondo si muove in una nuova direzione».
Professore Cole, la Francia ha rotto i ranghi. Italia e Gran Bretagna si sono astenute. Lei come lo interpreta?
«È la dimostrazione che il fronte del rifiuto contro la nascita di uno Stato palestinese va sfaldandosi. Ieri si sono viste diserzioni significative, in particolare della Francia. Tutto questo annuncia due novità: la prima è la debolezza crescente, l´irrilevanza dell´America nelle questioni del mondo arabo. Per Washington, si è trattato di una sconfitta. La seconda novità è la percezione diversa di Israele da parte della comunità internazionale».
Che cos´è cambiato?
«Sono cambiate molte cose nell´ultimo decennio: ci sono state la guerra del Libano nel 2006, di Gaza nel 2008-2009, il blocco della Striscia, poi l´affare della Mavi Marmara con l´assalto alla nave turca della Freedom Flotilla nel 2010. Sono episodi che hanno modificato l´immagine di Israele, nel trattamento dei palestinesi. Il voto all´Unesco manifesta l´opposizione dell´America Latina, l´Africa, l´Asia, e anche parte dell´Occidente, alla politica della destra al governo in Israele».
Ma l´accesso all´Unesco non garantirà ai palestinesi uno Stato. La loro, è una diplomazia vincente?
«Intanto, il risultato di ieri ha ramificazioni legali: se alcuni siti storici e religiosi verranno designati patrimonio dell´umanità sotto la bandiera palestinese, questi saranno in qualche misura protetti dall´espansione delle colonie israeliane. Quanto alla strategia diplomatica, l´efficacia si vedrà nel lungo termine. Del resto, dopo le promesse inevase di Oslo, dopo l´inconsistenza del processo di pace, una nuova generazione colta di avvocati palestinesi vuole rompere l´isolamento indirizzandosi alla comunità internazionale».
E che risultato otterrà, secondo lei, quando il Consiglio di sicurezza voterà il riconoscimento di uno Stato palestinese?
«Probabilmente, otterrà niente. Servono 9 voti per una maggioranza, e i palestinesi ne hanno soltanto 8. Washington non dovrà nemmeno opporre il veto. È una faccenda tutta simbolica. Però si capisce che il vento è cambiato. Il mondo si muove in una nuova direzione».
Alix Van Buren
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