giovedì 5 maggio 2011

ANCORA SULLA MORTE DI BIN LADEN (2)

Articolo di Lucio Caracciolo, La Repubblica, 04/05/2011


"Ma l'America resta nel suo labirinto"


La morte di Osama Bin Laden avrebbe dovuto idealmente coronare la vittoria degli Stati Uniti nella guerra al terrorismo. Rischia invece di marcarne un altro passo verso la sconfitta.
Perché l'eliminazione del Nemico numero uno, che scatena l'entusiasmo degli americani, sta rieccitando la diffidenza e l'odio nei confronti dell'"alleato" a stelle e strisce nel più strategico dei teatri bellici, quello afghano-pakistano. Il labirinto da cui disperatamente il presidente Barack Obama cerca di uscire da quando è entrato alla Casa Bianca. Ma che non lascia facilmente chi vi si avventura.
Più che aprire nuovi orizzonti, l'esecuzione di Osama simboleggia il fallimento dell'opzione bellica perseguita da George W. Bush nei primi sei anni della sua presidenza, e che Obama non è riuscito a correggere. Di quella convinzione secondo cui all'11 settembre l'America non poteva rispondere che dispiegando la sua ineguagliata potenza militare per sradicare il Male e affermare l'Impero della Libertà (Jefferson).
Per la prima volta nella storia la potenza dominante, invece che difendere il sistema internazionale sul quale era egemone, cercava di rovesciarlo.
Rispondendo alla chiamata di Dio e aderendo alla "direzione della storia" (Bush, in vena hegeliana), che indica agli Stati Uniti la missione di eliminare la tirannia nel mondo.
Le campagne d'Afghanistan e d'Iraq erano solo le prime due tappe della redenzione dell'umanità. La guerra non doveva solo smantellare le cellule del terrore, ma i regimi che le proteggevano. Nel caso, i taliban e - secondo Bush - Saddam.
Grazie alla trionfale esibizione di forza tra Hindu Kush e Mesopotamia, si sarebbe prodotto un effetto domino per cui, nel tempo, i tiranni si sarebbero arresi uno dopo l'altro alla forza del Bene.
Dieci anni dopo, che cosa resta di tale visione? Per azzardare un bilancio di questo lunghissimo decennio, occorre resistere alla tentazione di scavare dietro i misteri che hanno accompagnato la fine dell'architetto dell'11 settembre. Non sapremo mai tutta la verità sui fatidici minuti del raid di Abbottabad. E possiamo star certi che fra qualche secolo vi sarà chi giurerà che Osama Bin Laden non è mai morto, ma si nasconde da qualche parte fra Terra e Cielo in attesa dell'ultima ora.
Lasciamo i dietrologi alle loro esercitazioni, non perché non siano legittime, ma perché inutili. Peggio: devianti. Ci impediscono di guardare alla sostanza. La valutazione strategica della guerra al terrorismo implica invece di rispondere a una domanda: che cos'era l'America il 10 settembre 2001, e che cos'è oggi? Dieci anni fa l'America era la "superpotenza solitaria". Vittoriosa nella guerra fredda e nelle due precedenti guerre mondiali. La prima economia, la primissima potenza militare, soprattutto la massima potenza soft. Termine con cui si intende la capacità di ottenere ciò che si vuole dagli altri soggetti della scena internazionale senza dover impiegare la forza. Qualcosa di simile alla gramsciana "egemonia".
L'America oggi resta la prima economia. Quasi tutti gli esperti concordano però sul fatto che il sorpasso cinese sia questione di anni, non decenni (il che non vuol dire che accadrà, viste le normali performance degli esperti). Ma a differenza di dieci anni fa, gli Stati Uniti sono indebitati fino al collo, soprattutto con la Cina.
Quanto può essere dominante una potenza il cui massimo creditore è anche il suo concorrente principe? Una delle radici del debito Usa sta nella sovraesposizione militare. I costi della guerra al terrore avvicinano secondo il Congresso i 1.300 miliardi di dollari, ma è una stima conservativa. Le campagne di Bush e di Obama sono state finanziate da Pechino, che naturalmente è stata ben felice di farlo. Perché? Lo spiega Hillary Clinton: «Come fai a essere duro col tuo banchiere?».
In termini globali, è dunque la Cina ad aver vinto, per ora, la guerra al terrore. A spese dell'America e di noi altri occidentali. I rapporti di forza nel mondo sono espressi dal pauroso indebitamento dei dominatori del Novecento nei confronti dell'Asia riemergente.
Nel decennio della guerra al terrorismo, la Cinaè tornata ad esprimere il 25% della crescita mondiale, quanto valeva a inizio Ottocento, prima di perdere il treno della rivoluzione industriale e di essere umiliata nelle guerre dell'oppio.
Le perdite più rilevanti nella guerra al terrorismo l'America le ha però subite quanto a potenza materiale ( hard) e immateriale ( soft ). A che serve la strapotenza militare se non a vincere le guerre? Washington non riesce nemmeno a terminarle. E se pure gli Stati Uniti mantengono una formidabile capacità tecnologica - ma la Cina si avvicina anche in questo campo - e un'ammirevole produzione culturale, non sono più in grado di esercitare quel soft power un tempo incarnato nel "Washington Consensus". Certo sarebbe ingeneroso attribuire alla sovraesposizione imperiale di Bush la responsabilità unica del declino americano. Ma non c'è dubbio che per sfortuna del suo paese - e di noi europei occidentali, che della protezione a stelle e strisce abbiamo goduto per i migliori decenni della nostra modernità - quella Casa Bianca sia caduta nella trappola dei terroristi islamici.
Esemplificata nel "messaggio al popolo americano" indirizzato nell'ottobre 2004, via Aljazeera, dallo stesso Osama: «E' stato facile provocare quest'amministrazione e portarla là dove noi volevamo; ci basta mandare in Estremo Oriente due mujaheddin a sollevare una banderuola di al-Qaida perché i generali vi si affrettino, aumentando così le perdite umane, finanziarie e politiche (...). Abbiamo imparato a condurre la guerriglia e la guerra di logoramento contro le superpotenze inique. (...) La Casa Bianca e noi operiamo come una stessa squadra che ha come scopo di segnare punti contro l'economia americana, nonostante le intenzioni siano differenti».
Per Barack Obama, la morte di Osama Bin Laden ha un valore tutto simbolico. Deve approssimare la fine della guerra al terrorismo, termine che peraltro ha già messo in naftalina. Non riuscendo a finirla materialmente, Obama deve lavorare sull'immaginario. Se non può vincere, deve almeno convincere il suo pubblico di essere sulla buona strada per farlo e cominciare a riportare i ragazzi a casa. Per occuparsi delle faccende serie, dall'economia alla Cina (la stessa cosa). Il problema è che il messaggio forse funziona con gli americani, molto meno con pakistani, afgani e altri musulmani. Se un giorno i terroristi islamici saranno definitivamente sconfitti lo dovremo dunque ai musulmani che in questi mesi dimostrano di rifiutare il nichilismo jihadista e i regimi che l'hanno sfruttato per spillare soldi e status all'America.
Gente di coraggio che noi, "guerra umanitaria" a parte, ci rifiutiamo di aiutare.


Poco meno di 24 ore mi sono state sufficienti per togliermi ogni dubbio sulla morte di Bin Laden, convincendomi che essa è avvenuta esattamente nei modi con i quali è stata comunicata nella lezione ufficiale.
Osama Bin Laden, sorpreso pressoché inerme al pari della sua piccola scorta in un nascondiglio dove ha potuto condurre la sua esistenza con moglie e figli per circa 6 anni in una località che dista 800 metri dalla scuola militare dei cadetti pakistani, è stato ucciso dopo che era stato immobilizzato da due "supereroi" di un corpo scelto dei marine, che non hanno proceduto al suo arresto ma gli hanno sparato un colpo in testa con una pallottola che ha provocato l'esplosione del suo cervello. All'eroico spettacolo ha avuto modo di assistere la figlioletta 12enne.
Cercherò di spiegare ai lettori i motivi per i quali mi sono convinto di questa verità, precisando che fra essi non vi è l'argomento usato da quell'inqualificabile personaggio che è il direttore de Il Giornale, Sallusti ("Un presidente degli Stati Uniti non può mentire su un fatto del genere"); in realtà se ci sono personaggi avvezzi a raccontare balle gigantesche finalizzate a provocare una guerra sono stati nel passato numerosi presidenti statunitensi, da Johnson, che motivò l'invasione del Vietnam con mezzo milione di marine inventandosi un'aggressione navale nord vietnamita nella baia del Tonchino, all'ineguagliabile George W. Bush che fece recitare all'ignaro Colin Powell, suo segretario di stato la tragi-commedia delle fiale contenenti la prova che Saddam Hussein era in possesso di armi di distruzioni di massa ed era il principale responsabile dell'attacco alle Torri Gemelle. Da quella guerra, basata su due menzogne è derivata una carneficina che ha provocato nella popolazione civile irachena un numero non inferiore alle 150 mila vittime civili, meno di 1/4 di quante può averne provocato Bin Laden in tutta la sua ultra ventennale attività di leader di Al Qaeda. Spiego ai lettori i motivi di questa mia convinzione:
I - Gli indiani d'America hanno elevato vibrate proteste perché all'operazione volta alla uccisione di Bin Laden hanno attribuito il nome di "Geronimo": l'irriducibile leader degli Apache Chiricahua che si arrese solo dopo 35 anni di guerriglia, quando era ridotto ad avere non più di 13 guerrieri ridotti alla fame, e quando fu in grado di consegnare il suo fucile ad un onesto ufficiale americano di cui si fidava. Gli indiani d'America hanno conservato una minuziosa memoria della loro tragica storia che gli portò nell'800 a sfiorare il genocidio. Lo storico americano Fredrick Turner ha definito la strombazzata epopea del West "una squallida operazione di polizia condotta da un moderno esercito di non meno di 30 mila uomini con cannoni e mitragliatrici contro non più di 10 mila guerrieri delle tribù delle pianure, costretti a combattere portandosi dietro moglie e bambini, un'operazione portata avanti con spietata efficienza in nome del progresso e della civiltà nella quale colpisce il raffronto tra l'umanità dei cosiddetti "selvaggi" e la ferocia implacabile degli uomini civilizzati". Di questa storia fa parte un lungo elenco di leader tribali uccisi a sangue freddo dopo che erano stati catturati vivi dalle truppe statunitensi. Sull'argomento ho scritto una decina di volumi. Ma mi riservo ad edificazione dei sempre più numerosi lettori un post che elenca i casi più eclatanti di esecuzioni capitali di cui si resero responsabili valenti ufficiali dell'Armata del West. Osama Bin Laden è stato ammazzato con le stesse identiche modalità con cui si uccidevano i capi indiani fatti prigionieri e identificati nell'800 come "il male assoluto". Anche il modo con il quale è stato fatto sparire il suo cadavere non è una novità, ma una replica di un sistema che veniva usato durante l'epopea del West nella quale numerosi numerosi corpi di capi indiani giudicati più pericolosi venivano fatti scomparire. Il caso più famoso è quello di Toro Seduto di cui non si conosce il luogo di sepoltura mentre quello del leader dei Dakota Santé, Piccolo Corvo fu eliminato dandolo in pasto ai maiali. Il cadavere di Che Guevara, che era stato ucciso dopo che già era stato catturato, fu esibito ai fotografi ma il suo cadavere è stato fatto scomparire per oltre 40 anni;

II - Si è sempre enfatizzata l'umanità delle forze armate americane nei confronti dei prigionieri di guerra. Oltre ai più recenti casi di Guantanamo e di Abu Ghraib dove migliaia di prigionieri "islamici" sono stati sottoposti a "democratiche torture", come italiano ritengo di dover ricordare un episodio, accuratamente dimenticato, avvenuto in Sicilia all'indomani dello sbarco alleato durante la Seconda Guerra Mondiale. Il generale USA George Patton, ansioso di arrivare per primo a Palermo, fu bloccato dall'inaspettata resistenza di una compagnia dell'esercito italiano. Quando i nostri soldati si arresero perché rimasti privi di munizioni, il generale Patton commentò: "Questi bastardi mi hanno fatto perdere due giorni di tempo" e ne ordinò la fucilazione. Più tardi si giustificò con il suo superiore generale Alexsander, addebitando l'episodio alla ferocia di molti dei suoi soldati che, purtroppo, erano Navaho e Pueblo. Naturalmente mentiva;

Colgo l'occasione per sottoporre ai lettori due brevi riflessioni:
A - George W. Bush affermò di iniziare la guerra contro i talebani perché tra di loro si nascondeva Bin Laden. Ora che lo "sceicco del terrore" è stato ammazzato e "giustizia è stata fatta", cosa aspettano gli americani e i loro alleati ad andarsene dall'Afghanistan?
B - Ieri le due forze politiche principali del popolo palestinese hanno siglato una pace definitiva. Hamas ha dichiarato che non si opporrà più al piano di Al-Fatah di costituire uno stato palestinese comprendente la Striscia di Gaza e i territori della Cisgiordania; Hamas ha anche aggiunto che non metterà più in discussione l'esistenza dello stato di Israele entro i confini precedenti alla guerra dei 6 giorni del 1967 in conformità ai contenuti di innumerevoli deliberazioni dell'ONU. Il primo ministro israeliano ha già fatto sapere che considera l'accordo Al-Fatah/ Hamas un pericoloso preludio di guerra. E pensare che ci sono in casa nostra dei politici sedicenti di sinistra che sono ancora pronti a marciare per solidarietà con Israele sventolando una patetica bandieretta con la Stella di David magari nel momento in cui il governo di Tel Aviv scatena una nuova operazione "Piombo Fuso". Poi l'occidente non si lamenti se qualche altro Bin Laden, prima o poi verrà fuori.

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