martedì 10 maggio 2011

LA MORTE DI BIN LADEN (4)

Articolo di Tahar Ben Jelloun, La Repubblica, 09/05/2011

"UN VECCHIO SOLO E INFREDDOLITO - COSI' IL VIDEO HA DISTRUTTO UN MITO"



Un uomo imbacuccato in una coperta, una kefiah in testa, mentre col telecomando in mano guarda le sue proprie immagini alla televisione. Si può vedere un ambiente più che modesto, ingombro di fili attaccati qua e là. C´è qualcosa di patetico in questo filmato, privo di audio per non fare pubblicità ad Al Qaeda. 
Il nemico numero uno dell´America era di fatto solo un vecchio, nascosto in una stanza per nulla confortevole. Un altro video lo mostra mentre sta leggendo un messaggio: barba tinta di nero, abito bianco, aria serena. Sta minacciando il mondo di nuovi massacri. È il suo mestiere, la sua passione, la sua follia. Queste immagini hanno uno scopo: quello di distruggere un mito, e di impedire che questo personaggio diventi il martire di una causa che ha provocato la morte di circa novemila persone, in maggioranza cittadini musulmani. Il mondo arabo e musulmano, che ha sofferto per i suoi attentati, non nutre alcun rimpianto per la morte dei quest´uomo che ne ha distrutto la reputazione. 
In Marocco, subito dopo l´attentato di Marrakech, ho sentito moltissima gente insultare Bin Laden e augurargli l´inferno: non c´è dunque alcun rischio che la diffusione dei video susciti pietà per la sorte di quel grande criminale. La primavera araba avanza nella riconquista della dignità del cittadino. Non c´è spazio per ricordare Bin Laden. E´ anzi il momento di espellerlo dalla memoria araba, rammentando che quest´uomo ha distrutto migliaia di famiglie in lutto per la morte dei loro cari, dall´Egitto all´Iraq, dall´Algeria alla Tunisia e al Marocco. 
Secondo alcuni, è un peccato che una parte dei media abbia omesso di ricordare come Bin Laden avesse collaborato con gli americani in Afganistan, e di far notare come dietro il suo astio e la sua follia omicida vi fosse una sorta di regolamento di conti di ordine personale. Spinto dal narcisismo e dalla megalomania, favoriti oltre tutto da una grande disponibilità di denaro, quest´uomo ha voluto diventare celebre stringendo un patto con il Male, il male assoluto di uccidere gente innocente per una causa priva di senso. Ha sfidato l´islam dei Lumi, predicando invece un ritorno agli albori dell´islam, quello del VII° secolo: un anacronismo che aveva
qualcosa di patologico.
Il mondo arabo non ha avuto fortuna in questi ultimi decenni: quando a infangarlo e a bistrattarlo non erano i dittatori quali Saddam, Gheddafi e vari altri, è stato umiliato da psicopatici come Bin Laden o Zawahiri, che hanno fatto dell´islam una religione di odio e di morte.
Oggi l´islam sta ritornando nei cuori e nelle moschee, non più come ideologia jihadista volta a mettere bombe nei caffè o nei bus. Gli islamisti che vedevano in Bin Laden un leader stanno rivedendo le proprie scelte. Che la sua barba fosse bianca o nera, Bin Laden era un assassino. Nessuno piange la sua scomparsa. C´è invece un sollievo generale - anche se gli americani hanno agito come in un film di guerra.  Ma poco importa. Colui che ha fatto male all´America non esiste più. Ora gli arabi sperano di non essere più guardati con sospetto, ma trattati con dignità e rispetto quando si presentano a un confine. Non sono portatori di alcun messaggio postumo di Bin Laden.


Come con il precedente articolo, sono costretto a polemizzare in maniera argomentata con i contenuti dell'articolo di Ben Jelloun, che in tre punti essenziali dimostra almeno di non conoscere bene la storia dell'Islam e la vicenda "umana e politica" di Osama Bin Laden:
I - Ben Jelloun seguita a ripetere che lo sceicco del terrore voleva riportare l'intero mondo islamico all'Islam del VII secolo che, è bene ricordarlo, è quello in cui è vissuto Muhammad e i primi califfi, che hanno ampliato i domini musulmani dall'Atlantico al fiume Indo quasi senza combattere guerre e praticando nei confronti dei popoli conquistati una tolleranza religiosa e politica ignota ad un'Europa occidentale immersa nella più totale barbarie. Non so quale sarebbe stato "l'Islam dei Lumi" cui Ben Jelloun fa riferimento. Secondo tutti gli storici, il periodo in cui il mondo islamico e la civiltà araba sono state ispirate dal dono divino della ragione è quello che va dalla morte del Profeta ai califfati Omayyadi e Abbasidi, che hanno dato vita allo splendore di città come Damasco, Il Cairo, Palermo, Cordoba e Siviglia. Sono i secoli in cui sono fiorite le scienze, le arti, la filosofia. Non credo che Bin Laden ne avesse grande conoscenza e ammirazione. Egli si rifaceva più che altro al rigorismo fanatico del Wahhabismo, abbracciato con tanto entusiasmo dalla monarchia saudita che egli considerava usurpatrice perché gli aveva impedito di assumere il potere in prima persona. Mi piace anche ricordare a Ben Jelloun che il califfo Omar non appena entrò vincitore in Alessandria d'Egitto diede incarico ai suoi fedeli di recuperare il maggior numero possibile di papiri scampati all'incendio della grande biblioteca distrutta dal fanatismo del vescovo della città nel 404 d.C.
Questo signore si chiamava Cirillo e non solo è stato proclamato santo nel 1883 da Papa Leone XIII ma lo ha addirittura inserito fra i dottori della Chiesa;
II - Che Bin Laden fosse un megalomane narcisista sanguinario e feroce che, oltretutto, si è macchiato di quelli che sono i peccati più gravi per l'Islam: l'uccisione di persone innocenti e di credenti in Dio. Per dire tuttavia che con la sua morte "Giustizia è stata fatta", come ha fatto Obama, sarebbe stato necessario trascinarlo davanti al tribunale internazionale dell'Aia per i crimini contro l'umanità in compagnia del suo partner in nefandezze, già presidente degli Stati Uniti, noto col nome di George W. Bush. Costui non solo ha scatenato una guerra sulla base di colossali menzogne, ma l'ha portata avanti con la complicità di una congrega di affaristi criminali mossi solo dal desiderio di guadagno: dai petrolieri texani fino al suo ministro della difesa Donald Henry Rumsfeld, già venditore di armi di distruzione di massa a Saddam Hussein, e al suo vice presidente Cheney, titolare di una grossa impresa di costruzioni che si era già prenotato la ricostruzione dell'Iraq distrutto. Henry Kissinger, che certo non era un'educanda, ha definito Cheney uno degli esseri più malvagi che ha conosciuto. Se tutta questa congrega di personaggi fosse stata condannata insieme a Bin Laden si sarebbe potuto dire che la giustizia aveva trionfato. E non voglio far cenno di alcuni personaggi che hanno governato e governano lo stato di Israele;

III - Stiamo attenti a non calcare troppo la mano sul fatto che Bin Laden aveva l'aspetto di un vecchio cadente e stanco. A molti potrebbe venire in mente che quel vecchio malato che viveva in una casa che era poco più di una stamberga da più di cinque anni vedendo poco presumibilmente la luce del Sole era un uomo ricchissimo che avrebbe potuto vivere negli agi, nella ricchezza e negli onori. Qualcuno potrebbe interrogarsi sulla potenza, ancorché negativa, degli ideali che lo spingevano.


Come opportuno contro altare dell'articolo di Ben Jelloun mi piace pubblicare quello di Mario Pirani
"MA OSAMA NON HA FATTO LA FINE DI MUSSOLINI?" (La Repubblica, 09/05/2011)

Personalità di mezzomondo, dall' ex cancelliere Schimdt al Dalai Lama, si dividono di fronte all' uccisione di Osama Bin Laden. Chi festeggia senza mezzi termini la fine del capo del terrorismo islamico, e chi vi affianca la deplorazione per una esecuzione senza processo che violerebbe alcuni principi etico giuridici basilari delle civiltà democratiche. Anche se il mio Dna politico si ritrova istintivamente in quest' ultima riflessione, debbo anche confessare qualche dubbio che forse nonè solo mio. È probabile questo avvenga per il sovrapporsi di motivazioni, di per sé convincenti e plausibili, ancorché contraddittorie. Per questo mi ritrovo nella claudicante affermazione dello scrittore americano, Jonathan Safran Foer: «Si può fare giustizia in molti modi diversi. E non tutti sono egualmente buoni. In questo caso forse si poteva fare meglio. Ma non vuol dire che giustizia non sia stata fatta». Solo chi, come Antonio Cassese ("Repubblica" 6 maggio), è convinto che «tra gli Usae Al Qaeda non c' è guerra, né internazionale né civile, e che l' azione statunitense contro le reti terroristiche è solo azione di polizia» può avvalorare con assoluta fermezza la tesi dell' «assassinio». Non così per chi, dal "bombardamento" di New York in poi, ha pensato che l' Islam moderato e le democrazie occidentali si trovavano coinvolte in una guerra scatenata dal fondamentalismo islamico secondo parametri del tutto diversi da quelli dei passati conflitti, sotto l' incubo di una minaccia permanente, diffusa ovunque, priva di potenziali vie diplomatiche in cui incanalarsi per tregue, trattative, modalità di pace. Si può combatterla, come vorrebbe Antonio Cassese, proclamando, prima di ogni altolà, il cavalleresco motto: " Messieurs les anglais, tirez les premiers" ? Forse la risposta della mia generazione è dettata dall' esperienza vissuta, quando ci trovammo di frontea quesiti non del tutto dissimili e il peso della Storia, drammatica, sanguinosa e coinvolgente che attraversavamo, ci aiutò in quel momentoa risolverli meglio del richiamo all' etica del diritto che Auschwitz aveva svuotato di contenuto cogente. Così quando Mussolini, la sua compagna e i suoi sodali furono giustiziati per rapida decisione del Cln e i loro corpi finirono impiccati a piazzale Loreto - laddove un gruppo di giovani partigiani aveva fatto la stessa fine - l' evento, malgrado la sua brutalità, venne salutato da milioni di italiani come un atto di giustizia indispensabile e tempestivo. Le rare voci che lamentarono il mancato arresto e conseguente processo vennero giudicate con diffidenza. E, del resto, se il dittatore fosse stato sottoposto a giudizio, non è improbabile che alla fine avrebbe fruito della amnistia come molti fra i più efferati carnefici delle brigate nere. Certamente il paragone non è applicabile ad Osama, ma vogliamo per un attimo immaginare cosa avrebbe significato trascinare quell' icona idolatrata da folle fanatizzanti davanti a un tribunale statunitense con l' inevitabile conclusione della sedia elettrica? A quale scia di sangue, di attentati, di ritorsioni terroristiche, di rapimenti ricattatori avrebbe dato il via? Davvero ne avrebbe guadagnato la democrazia? O piuttosto il disagio etico giuridico per la morte "scorretta" del maxi assassino delle Due Torri scaturisce oggi, quasi inconsciamente, anche dai dieci anni ormai trascorsi e dagli errori accumulati nel frattempo dall' America di Bush, a cominciare dal più grave e gravido di conseguenze negative, la guerra dell' Iraq ? Ragion per cui un atto che se avvenuto subito, sulla scia dell' intervento in Afghanistan, avrebbe fatto esclamare con sollievo a tutto l' Occidentee all' Islam moderato: "Giustizia è fatta!", secerne invece dubbi e riflessioni critiche. Deve essere stata difficilissima la decisione per un uomo come Obama. Deve averlo sorretto in un frangente tanto impervio non solo la ragion di Stato ma un principio giuridico arduo da attuare ma decisivo:" Summa jus, summa iniuria ".




Nel rigore politico, giuridico e morale che lo ispirano e nella passione del combattente per la libertà di ebreo anti-fascista mi riconosco in pieno. Pirani ha ragione: "A volte, di fronte a vicende tragiche, viene in mente l'antico motto latino: "Summum jus, summa iniura".

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