domenica 15 maggio 2011

L'ISLAM NEL MONDO ATTUALE - 3a parte

III - L'IRAN


In Iran, paese a grande maggioranza sciita, l'Islam ebbe uno sviluppo totalmente diverso da quello avvenuto in Arabia e in Turchia. All'indomani della Prima Guerra Mondiale, un colpo di stato del 1921 portò il filo britannico Sayyid Ziya Ud-Din Tabatabai a occupare la poltrona di primo ministro e Rezza Khan Pahlevi, già ufficiale cosacco dell'esercito zarista, a occupare quella di primo ministro. Ben presto i due si scontrarono e Rezza Khan ebbe la meglio. Nel 1925 egli fece dichiarare decaduta la ormai spenta dinastia dei Sawafidi e si fece proclamare Scià, dando inizio alla dinastia dei Pahlevi.
La nuova dinastia avviò una politica di graduale modernizzazione del paese e rinegoziò le concessioni petrolifere all'Anglo-Persian Oil Company (1939) assicurando maggiori fonti finanziari al bilancio della Persia. Rezza Pahlevi appoggiandosi all'esercito e alla burocrazia riorganizzò energicamente lo stato dal punto di vista militare, finanziario e giuridico, introdusse una legislazione penale e civile europea, accelerando l'industrializzazione e la meccanizzazione (ferrovie), eliminò l'obbligo del velo femminile e introdusse l'abbigliamento europeo. Dal 1934 l'antico nome "Iran" (terra degli Ari) diventò l'ufficiale denominazione dello stato.
Allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale l'Iran si dichiarò neutrale ma le spiccate simpatie filo tedesche dello Scià indussero le truppe britanniche e sovietiche ad occupare il paese e costrinsero Rezza ad abdicare in favore di suo figlio Muhammad Rezza. Questi riuscì a regolarizzare i rapporti con le potenze occupanti tramite un trattato che garantiva la sovranità persiana e prometteva il ritiro delle truppe straniere entro sei mesi dalla fine del conflitto. Al trattato seguì nel 1942 la dichiarazione di guerra alla Germania.
Terminata la Seconda Guerra Mondiale l'Iran, preso nella morsa delle contrastanti influenze dei due blocchi mondiali, pur avendo cominciato a distanziarsi da Mosca nonostante la grande forza del partito comunista iraniano (Tudeh) attraversò anni molto difficili, che divennero particolarmente agitati quando il leader del partito nazionalista "Istaqlal" Muhammad Mossadeq, divenne primo ministro nel 1951. Il suo governo, infatti, nazionalizzò l'industria petrolifera, scontrandosi in tal modo con gli interessi petroliferi della Gran Bretagna e delle altre potenze occidentali (le cosiddette "Sette Sorelle del Golfo") anglo-olandesi-statunitensi. Seguì un periodo di forti tensioni non tanto a livello internazionale ma all'interno, perché Mossadeq, forte del consenso popolare e dell'appoggio del Tudeh, entrò in aspro conflitto con lo Scià che non condivideva la linea politica del primo ministro e che per circa un mese fu costretto a lasciare il paese e a rifugiarsi a Roma. Grazie all'appoggio dell'esercito e delle forze conservatrici e reazionarie, nel 1953, lo Scià riuscì a riprendere le redini del potere nominando come nuovo primo ministro il generale Zahevi, facendo processare Mossadeq che venne condannato al manicomio criminale a vita. Da allora l'Iran convertì la propria politica estera alla causa dell'occidente, aderì al patto militare di Baghdad in funzione anti sovietica (1955), e negoziò nuovi accordi petroliferi ed economici con Londra, Washington, Bonn e Roma. Con quest'ultima, grazie all'intraprendenza di Enrico Mattei, presidente dell'ENI, stipulò il primo accordo con il quale si stabiliva che i proventi del petrolio sarebbero stati divisi in una misura molto più vantaggiosa per lo stato che concedeva l'utilizzazione dei pozzi (75 % e 25%): ciò costò la vita a Mattei, che venne quasi sicuramente assassinato dalla CIA.
In Iran i governi Zahevi, Hussein Ala e Manou Chehr Eghbal consolidarono le posizioni ultra conservatrici e si limitarono a ripristinare qualche parvenza di parlamento rappresentativo. Nonostante il formale ricorso nei primi anni sessanta a consultazioni elettorali, lo Scià continuò di fatto ad imporre a capo dell'esecutivo uomini a lui vicini. Il potere rimase così saldamente ancorato alla dinastia, mentre l'opposizione nazionalista, organizzata nel Fronte Nazionale, rimase ai margini della legalità e il Tudeh fu messo fuori legge. In questa situazione venne rilanciata la politica paternalistica dello Scià, che si fece promotore di un programma di riforme sociali, successivamente definite "Rivoluzione Bianca". Sottoposta all'approvazione popolare tramite referendum (1963) il programma prevedeva l'attuazione di una riforma elettorale per eliminare i brogli, il varo di un  piano per favorire l'istruzione elementare e, il varo di una legge di riforma agraria. Una nuova opposizione di segno reazionario, appoggiata da una parte del potente clero musulmano sciita si schierò contro le cosiddette riforme dello Scià; ma ancora più decisa fu l'opposizione dello schieramento progressista, che contestava l'impostazione autoritaria del piano di riforme e la sua sostanziale demagogia, che rendeva una velleitaria riforma agraria che non stanziava alcun credito a favore dei nuovi piccoli proprietari. Il governo iraniano poté tuttavia vantare alcuni risultati concreti, quali l'avvio di un programma di alfabetizzazione nelle campagne, il diritto di voto alle donne e l'insediamento di numerose famiglie su terre espropriate. E' difficile valutare in che misura le condizioni di vita della popolazione migliorarono con le riforme del 1963, ad ogni modo esse segnarono una svolta nella storia del paese. I grandi latifondi furono tutti ridotti anche se non eliminati; l'industria, trainata dal petrolio, ebbe un grande incremento. Tuttavia non vi fu in Iran un cambiamento nella composizione della classe dominante. Le vecchie clientele legate alla grande proprietà terriera rimasero di fatto padrone del paese, pur essendo ormai orientate in senso capitalistico invece che feudale. La nuova borghesia burocratico-imprenditoriale rimase invece un'entità posticcia che prosperava solo grazie alla protezione accordatale dal palazzo reale.
Negli anni successivi all'approvazione delle riforme un ruolo chiave fu ricoperto dal primo ministro Amir Abbas Hoveyda che, eletto nel 1966, diresse per più di un decennio il rapido sviluppo industriale iraniano trasformando le forze armate iraniane in una gigantesca macchina da guerra che perfezionò l'apparato repressivo dello stato. Nel 1975 lo Scià fondò il partito unico della Resurrezione Nazionale di cui Hoveyda divenne segretario. Contemporaneamente, in politica estera si pose termine nel 1975 a un contrasto territoriale con l'Iraq (Accordo di Algeri). A partire dalla metà degli anni 70' la classe dirigente iraniana cominciò ad accusare difficoltà nel gestire il rapido processo di industrializzazione del paese, che aveva dato luogo a un aumento indiscriminato degli squilibri sociali, tanto che le manifestazioni del malumore popolare divennero sempre più dure. Nel 1977 Hoveyda venne sostituito da Jamshid Amuzegar, un tecnico che adottò un severo programma di austerità; tuttavia i suoi tentativi di riportare ordine nei piani di investimenti e di fermare l'espansione dei redditi parassitari fallirono. Essi, infatti, erano inchiodati alla logica di un regime che non era in grado di reggersi sulle sue gambe; il che apparve chiaro quando il malessere delle masse si andò gradualmente trasformando in rivolta e quando il popolo iraniano trovò un leader nella figura carismatica dell'Ayatollah Khomeyni.
Il sempre crescente appoggio politico militare all'occidente accrebbe inoltre il disagio di nuovi strati sociali, soprattutto i commercianti dei Bazar e i religiosi sciiti. Gli intellettuali cominciarono a ribellarsi apertamente contro l'immensa corruzione dei ceti più elevati e contro la repressione di tutta l'opposizione attraverso la polizia e i servizi segreti statali. Nel 1977 il numero dei prigionieri politici passò da 25 mila a 100 mila.
Già nel 1964 l'Ayatollah Khomeini era stato espulso dall'Iran a causa della sua opposizione contro orientamento non islamico del regime dello Scià ed era andato in esilio in Iraq, nella città santa degli sciiti Najaf.
L'indifferenza dello Scià nei confronti dei valori dell'Islam culminò nel 1971 con quella che i fedeli musulmani giudicarono una bestemmia: i festeggiamenti in pompa magna della monarchia, che si voleva falsamente antica di 2500 anni, nell'antico Persepoli, in linea con l'ideologia paleo-persiana del re e la sostituzione del compito islamico del tempo con un calendario che si basava sulla conta degli anni di regno dello Scià. Evidentemente colpito da megalomania, il re, una volta incoronato, si presentò agli ospiti politici provenienti da tutto il mondo come successore di Ciro il Grande (560-530 a.C.). Gli USA, alleati da più di mezzo secolo con potentati e dittatori di ogni tipo, erano abituati ad ignorare le proteste di piazza dei popoli musulmani dal Marocco all'Indonesia e non si accorsero quindi che in Iran vi erano segnali che preludevano a un brusco cambiamento politico.
L'opposizione allo Scià, infatti, stava montando ed era ormai inarrestabile e a dirigerla era sempre l'Ayatollah Komeyni, prima dall'esilio iracheno e poi da una cittadina francese nei pressi di Parigi.
In tutte le principali città del paese, per mesi, si susseguirono imponenti manifestazioni che rivendicavano maggiori libertà. Presto ci fu una durissima repressione posta in atto dallo Scià, con migliaia di morti. Vi furono allora alcuni tentativi da parte delle forze governative di riacquistare il controllo del paese. Lo Scià varò alcune riforme che accoglievano almeno in parte le rivendicazioni degli oppositori senza ottenere tuttavia significativi risultati. Neppure la formazione di un governo militare ferocemente repressivo, che tuttavia non riuscì a placare le agitazioni e le sommosse. Alle manifestazioni in piazza si affiancarono infatti durissimi scioperi nei settori produttivi più importanti, mentre i movimenti di opposizione laica facevano formale atto di sottomissione alla direzione islamica della rivolta.
In Dicembre si giunse all'insurrezione armata con l'obiettivo dichiarato di rovesciare lo Scià. All'inizio del 1979 vi fu un ultimo tentativo di mediazione con le opposizioni in rivolta: al governo militare subbentrò un nuovo governo civile, con il compito di varare incisive riforme e stabilire contatti con i capi dell'opposizione, in particolare con Komeyni, che si dimostrò irremovibile respinse ogni tentativo di approcciò. Le forze armate, ultimo baluardo della monarchia, si divisero in seguito a oscuri ammutinamenti. Fu nel Febbraio 1979 che l'intero Iran insorse e l'impero crollò.
Tornato in patria tra trionfali accoglienze, Komeyni assunse il controllo di incontrastato leader della rivoluzione, mentre la classe dirigente dei tempi dello Scià venne duramente colpita o costretta all'esilio. Furono attuate urgenti riforme per sollevare le condizioni di vita dei più poveri e, nello stesso tempo i consiglieri militati americani furono espulsi dall'Iran in nome del non-allineamento e i rapporti con gli USA divennero sempre più tesi. La dinasta Pahlevi fu dichiarata decaduta e venne proclamata la repubblica islamica, alle cui istituzioni venne data una decisa impronta religiosa.
Nel 1980 ebbero luogo le elezioni presidenziali, da cui risulto vincitore Abolhassan Bani Sadr, uno stretto collaboratore di Komeyni nell'esilio parigino, anche se di ispirazione laica e progressista. Nello stesso anno si svolsero le elezioni legislative, da cui emerse trionfante il partito della repubblcca islamica, che interpretava gli ideali della rivoluzione in senso conservatore e sostanzialmente islamista. Presto si creò un contrasto al vertice tra Bani Sadr e Komeyni, che presto assunse toni drammatici, acuiti dal precipitare dei rapporti con l'Iraq, che nel Settembre 1980 denunciò gli accordi di Algeri e invase l'Iran, dando inizio a un cruento conflitto. In un clima di tensione crescente del paese lo scontro tra Bani Sadr e Komeyni si concluse con la facile vittoria di quest'ultimo. Nel 1981 Bani Sadr fu costretto a riparare all'estero e la sua fuga coincise con l'inasprimento della repressione contro un'opposizione ormai costretta a giocare la disperata carta del terrorismo.
In breve tempo tutte le opposizioni vennero messe a tacere e la situazione istituzioanle si stabilizzò. Nel 1983 Komeyni si liberò anche dell'ultimo alleato, i comunisti del Tudeh, che obbedendo ai dettami di Mosca avevano sempre appoggiato l'azione di Komeyni. L'anno seguente venne rinnovato il parlamento in una situazione ormai simile a un sistema a partito unico. Su queste lotte interne dominò la guerra con l'Iraqc che contrariamente ad ogni previsione e grazie alla disperata resistenza iraniana, ebbe un andamento a fasi alterne e si protrasse fino al 1988 quando i due paesi, ormai stremati, giunsero a un accordo per il cessate il fuoco: l'esercito iracheno aveva perduto non meno di 400 mila uomini mentre le perdite iraniane rasentaraono un milione di caduti. Un contributo decisivo alla sostanziale vittoria iraniana venne dato dai corpi di volontari della rivoluzione o “Pasdaran”.
La conclusione del conflitto permise all'iran di migliorare la situazione politica interna ed estera. Dal punto di vista internazionale il governo di Teheran si era dovuto confrontare da un lato con l'ostilità e il sempre più tiepido appoggio sovietico, dall'altro con i paesi arabi, interpreti di un islam sunnita ben diverso da quello oltranzista proclamatlo da Komeyni. Anche la situazione interna presentava grossi elementi di incertezza a causa delle gravi condizioni di salute dell'anziano Komeyni. Alla sua morte (1989) prevalsero i sostenitori dell'allora presidente della repubblcca, Alì Khamenei che divenne in tal modo capo religioso e guida della rivoluzione, anche se cedette la presidenza della repubblica e la guida del governo ad ‘Ali Akbar Hāshemi Rafsanjāni. Questi propose un programma basato sulla continuità con il suo predecessore, per altro dotato di maggiore pragmatismo e moderazione essendo egli espressione della potente classe dei commercianti del Bazar.
In genere gli anni 90' furono caratterizzati da momenti di apertura e chiusura nei confronti dell'occidente e di possibili mutamenti nella vita sociale e politica. Nel 1996 le elezioni per il rinnovo dell'assemblea non attribuirono ad alcun gruppo la maggioranza assoluta: la destra conservatrice emerse come la principale forza parlamentare, la sinistra islamica tornò in parlamento con un alto numero di rappresentanti indipendenti.
Le elezioni presidenziali del 1997 videro la vittoria di Muhammed Khatami, riconfermato nelle successive elezioni del 2001, che durante le campagne elettorali aveva promesso moderazione e rinnovamento: egli, del resto, era uomo di grande cultura cosmopolita, ed era in possesso perfino di una laurea in filosofia teoretica conseguita presso l'università tedesca di Heidelberg. Negli anni successivi fu inevitabile una divaricazione sempre più netta tra il conservatorismo islamista di Khamenei e la tendenza riformista di Khatami, sostenuto da una parte sempre crescente della società civile. Manifestazioni di protesta contro la politica repressiva delle autorità religiose coinvolsero tra il giugno e il luglio 2003 gli studenti di Teheran e di altre città in scontri violenti con le forze governative e in particolare con i Pasdaram: Sul piano della politica estera, nei primi anni del 2000 si assistette a un irrigidimento dei rapporti con gli USA, che dopo aver varato nel 1995 l'embargo commerciale nei confronti con l'Iran, inclusero il paese nella lista degli “stati canaglia”, responsabili di sostenere il terrorismo internazionale: la tensione, d'altra parte, era esplosa mentre era ancora in vita Komeini, in seguito al sequestro durato più di un ann dell'intero personale dell'ambasciata americana a Teheeran, che sottopose i governi americani a brutte figure a ripetizione e a crescenti umiliaizioni: tra l'altro il presidente Carter tentò con un'azione di commando di liberare i diplomatici prigionieri, ma gli elicotteri incaricati della missione furono abbattuti e i corpi dei marines caduti nell'attacco vennero trionfalmente esibiti nella grande piazza di Teheran (Komeyni prima e Khamenei dopo ripagarono le gentilezze statunitensi attribuendo all'avversario il titolo di “grande satana”).
La violazione degli impegni presi nel quadro del trattato di proliferazione nucleare accertata dall'Agenzia Internazionale dell'Energia Atomica nel giugno 2003, rese tese, intolre i rapporti dell'Iran anche con la Russia e l'Unione Europea. Lo scoppio della seconda guerra del golfo, dichiarata avventuristicamente da George Bush in seguito agli attentati dell'11 settembre 2001, provocarono una reazione di irrigidimento nell'opinione pubblica iraniana che portò alla sconfitta elettorale delle componenti riformste e al nuovo prevalere di quelle più accesamente conservatrici e islamiste, che sfociarono nella elezione a presidente della repubblica dell'intransigente Ahmadiinejad al potere. Il neo eletto, anche per fronteggiare le crescenti difficoltà economiche e sociali in cui si dibatteva il paese, accentuò le sue posizioni inflessibilmente anti americane e la sua politica accesamente anti israeliana. Senza essere troppo favorevoli ne confronti di un regime che fonda la vita dei suoi cittadini sulla versione più arcaica della Sharia, non si può tacere che molto di quanto si predica nei confronti dell'Iran sciita va sfrondato dalle esagerazioni propagandistiche occidentali: tanto per fare un esempio, la tanto conclamata situazione di grave inferiorità della donna simboleggiata dall'obbligo del Chador (velo nero) ha come corrispettivo il fatto che la metà circa degli studenti universitari iraniani sono donne mentre sono di sesos femminile la maggioranza dei medici. 
L'aggravamento dell'embargo anti iraniano ha tuttavia provocato una profonda crisi economica e un generale impoverimento della popolazione. Per fronteggiare il crescente malcontento, sfociato in sanguinose rivolte soprattutto la parte degli studenti universitari dei maggiori atenei, il regime ha reso più feroce la repressione poliziesca e ha dato mano libera ai Pasdaran, che infieriscono contro gli oppositori con pratiche che superano i limiti del più intollerabile sadismo. E' anche cresciuta l'ostilità di alcuni dei paesi arabi (in particolare dell'Arabia Saudita e degli Emirati del Golfo perché, nonostante le sue ardue difficoltà, il regime iraniano non manca di fomentare rivolte da parte delle minoranze sciite ivi residenti. 



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