martedì 25 ottobre 2011

CONTROCANTO
Anch’io aspettavo con dolorosa impazienza che l’eliminazione dell’irriducibile Gheddafi ponesse fine all’unica cosa sicura in questa strana, equivocabile, fumosa fiammata che ha lacerato l’unità libica: morte e distruzione. Ma nell’attimo in cui ho visto quel viso ingrassato e gonfiato della sua ultima fase “berlusconica”riportato dal dissanguamento e dalla tensione contro la morte a qualcosa dell’ asciuttezza giovanile, negli attimi a cavallo del linciaggio, anche mentre veniva trascinato nella polvere, il respiro di sollievo che stavo per emettere mi è morto dentro, insieme a qualsiasi altro impulso gioioso.
Ho ricordato quell’amico calabrese che, nel ’69, quasi si trattasse d’un fatto italiano, provava ammirazione per la presa del potere da parte di chi era il più giovane capo di stato del mondo. Ho ricordato il mio entusiasmo per l’efficienza con la quale egli si muoveva alla testa dei paesi non allineati, posizione nella quale mi riconoscevo pienamente. Ho ricordato lo sgomento profondo provato nel 1986, quando Reagan tentò d’assassinarlo con il bombardamento della sua abitazione.
Ho ricordato le testimonianze di amici che lavoravano in Libia, che mi fecero leggere il frutto del suo geniale tentativo di fusione tra Islam e socialismo, che è il “libro verde”.Ho ricordato una singolare affinità d’un interesse tra me e lui che dagli anni ottanta in poi portammo avanti, senza conoscerci e senza il minimo contatto, con mezzi economici infinitamente differenti, ma, oso dire, con eguale impegno: la salvezza del popolo più martoriato dalla natura, e più trascurato sia dai governi africani dei paesi in cui vivono, sia dalle istituzioni internazionali, i Tuarèg. E’ dalla bocca di miei amici di questo popolo che ho saputo delle grandi opere volute da Gheddafi, pozzi profondissimi, impianti d’irrigazione giganteschi, contro la desertificazione. Del suo accogliere migliaia di loro, prima reietti, negletti, abietti nelle grandi città saheliane, in Libia, assegnandogli un pezzo di terreno ed un lavoro, anche se generalmente la condizione era di militare nella sua armata: questo spiega come la sua guardia del corpo, fedele fino agli ultimi tragici giorni, fosse composta da questi figli del deserto che gli dovevano assolutamente tutto. Da loro ho anche conosciuto alcuni tratti del socialismo islamico realizzato: calmiere dei prezzi, contro la brutale dittatura del mercato che affama milioni d’innocenti, divieto di possedere più d’una casa ( non è la “funzione sociale della proprietà” di cui hanno cianciato e solo cianciato tante anime belle democristiane ?) , viaggi nel deserto per visitare le tribù più remote portandosi appresso carichi consistenti di aiuti alimentari. Se Gheddafi fosse stato processato regolarmente ed ognuna della persone che gli devono la vita e il lavoro avesse potuto testimoniare a favore, sia pure per un minuto, il processo sarebbe durato fino alla sua morte naturale.
Inoltre mi irritano o indignano addirittura certi atteggiamenti dei vincitori. Prima di tutto, se sono dei pezzi di ragazzoni ben nutriti, atletici e vivaci, anziché le masse cenciose, sottoalimentate, abbandonate che fluiscono nelle strade di tante metropoli africane, questi ribelli lo devono al regime del rais. Poi quello spreco continuo, consumistico, di benzina per caracollare coi loro fuoristrada armati, e di proiettili non disinteressatamente offerti sparando in segno di gioia e di vittoria, spreco che rischia di divenire blasfemo se contestuale al grido di “Allah akbar!” Poi gli oltraggi al monumento al “libro verde”, in parallelo con la fioritura incontenibile di bandiere del povero vecchio regime senussita, un vero e proprio salto indietro nella storia, un rinnegamento del meglio della Libia decolonizzata, una demonizzazione non solo ingenerosa e faziosa, ma stupida.
A questo punto chiarisco bene che con queste parole non ho voluto dare un giudizio generale su Gheddafi, lasciandolo, manzonianamente, ai posteri. Ho voluto solo affiancare, al coro enormemente maggioritario di chi, giustamente, condanna tante cose di Gheddafi che anch’io condanno- ultima, in concorso col pagliaccio di Arcore, il compromesso della riduzione di quello che avrebbe dovuto essere il punto ineludibile e fondante d’un nuovo rapporto italo-libico, la condanna esplicita e puntuale da parte nostra dei crimini di guerra di Badoglio e Graziani in Tripolitania, Cirenaica e Gebel, al semplice appuntarsi sul petto, tra decorazioni di dubbio gusto, della foto di Omar Al Mukhtar, il Garibaldi del deserto- una voce rievocante altre sue azioni, lasciate sepolte oggi. Azioni, per me, degne di vera gloria.
PIER LUIGI STARACE  



Pier Luigi Starace è un mio vecchio compagno di liceo, onesto in misura commovente, entusiasta e sempre giovane. Egli ha la mia età e come me ha abbracciato l'Islam. Sua moglie è una donna Tuareg; perciò nell'articolo parla di cose che ha imparato dalla vita e non dai giornali più o meno prezzolati, per i quali Gheddafi era diventato una specie di duplicato di Bin Laden. Neppure io mi unisco al coro esultante che richiama l'esclamazione giuliva pronunciata da Hilary Clinton nel momento in cui gli è capitata tra le mani la foto del cadavere sfregiato del leader libico: "Uau!". L'unica osservazione che mi sento di fare è che l'assemblea generale dell'ONU aveva deliberato un mandato di cattura internazionale a carico di Gheddafi che, come Milosevic, doveva essere trascinato VIVO davanti al tribunale internazionale dell'Aia contro i crimini di guerra. Uccidendolo senza processo è stata commessa una violazione di un deliberato internazionale e, in buona sostanza, un omicidio. Come musulmano mi limito a ricordare che Gheddafi, con quanto di positivo è riuscito a fare e con i suoi innumerevoli delitti è in questo momento di fronte al giudizio di Allah, il Clemente e Misericordioso. 

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