"Libia, una nuova missione guidata dal Qatar"
TRIPOLI - La Libia chiede ancora aiuto alla Nato, per rendere più sicuri i suoi confini e assicurare alla giustizia internazionale i fedeli di Gheddafi in fuga. La richiesta di prolungare la missione degli alleati fino alla fine dell´anno - richiesta che l´Italia sarebbe pronta a soddisfare - è del presidente del Consiglio nazionale transitorio, Mustaf Abdel Jalil, proprio nel giorno in cui torna alla ribalta Saif Al Islam, il figlio del colonnello sfuggito all´assedio di Sirte. Saif, dice l´alto ufficiale del Cnt Abdel Majid Mlegta, sarebbe al confine con il Niger e avrebbe avviato trattative per consegnarsi alla Corte penale dell´Aja insieme all´ex capo dei servizi segreti di Gheddafi, Abdullah Al Senussi. La Corte penale internazionale, che a giugno aveva spiccato un mandato di cattura per entrambi, accusandoli insieme al Colonnello di crimini contro l´umanità, non conferma la notizia: «Stiamo tentando di contattare il Cnt per ottenere maggiori informazioni», fa sapere l´Aja.
Ieri mattina si è anche diffusa la notizia di un messaggio, affidato da Saif ad alcuni siti Internet di lealisti, con il quale promette di continuare la lotta. Isham Buhagiar, capo della sezione di intelligence del Cnt, deputata alla ricerca dei lealisti in fuga, sottolinea però: «Sono accertati i casi di depistaggio, sia da parte di prigionieri, sia di espatriati. Abbiamo invece avuto conferma che Abdullah Al Senussi aspettava i Gheddafi al confine con il Niger il giorno in cui il Colonnello è stato catturato». Sulla possibilità che Saif si arrenda, l´ufficiale sostiene: «La gente non ha motivi per appoggiarlo, Saif non ha nulla da proporre al Paese, nessuno lo seguirebbe».
Man mano che le forze di liberazione acquistano autorità in Libia, Saif potrebbe avere più problemi a comprare la protezione di Paesi come il Niger, dove la presenza del fratello Saadi già mette in difficoltà le autorità di Niamey. La necessità di far sentire la pressione internazionale su Stati come il Niger, e di difendere meglio i confini, potrebbe essere tra i motivi per cui il presidente ad interim del Cnt, Jalil, ha chiesto il prolungamento della missione Nato con l´obiettivo di «sostenere noi e gli Stati vicini». Ma si lavora a una nuova coalizione multinazionale guidata dal Qatar, che ieri ha ammesso che centinaia di soldati hanno combattuto con gli insorti contro i gheddafiani. Il «Comitato degli Amici a sostegno della Libia» comprenderà 13 Paesi - tra cui Francia, Gran Bretagna, Italia e Stati Uniti - e si occuperà «dell´addestramento militare, della raccolta delle armi e dell´integrazione degli ex insorti» nelle nuove forze armate libiche. Secondo una fonte diplomatica italiana, citata
Ieri mattina si è anche diffusa la notizia di un messaggio, affidato da Saif ad alcuni siti Internet di lealisti, con il quale promette di continuare la lotta. Isham Buhagiar, capo della sezione di intelligence del Cnt, deputata alla ricerca dei lealisti in fuga, sottolinea però: «Sono accertati i casi di depistaggio, sia da parte di prigionieri, sia di espatriati. Abbiamo invece avuto conferma che Abdullah Al Senussi aspettava i Gheddafi al confine con il Niger il giorno in cui il Colonnello è stato catturato». Sulla possibilità che Saif si arrenda, l´ufficiale sostiene: «La gente non ha motivi per appoggiarlo, Saif non ha nulla da proporre al Paese, nessuno lo seguirebbe».
Man mano che le forze di liberazione acquistano autorità in Libia, Saif potrebbe avere più problemi a comprare la protezione di Paesi come il Niger, dove la presenza del fratello Saadi già mette in difficoltà le autorità di Niamey. La necessità di far sentire la pressione internazionale su Stati come il Niger, e di difendere meglio i confini, potrebbe essere tra i motivi per cui il presidente ad interim del Cnt, Jalil, ha chiesto il prolungamento della missione Nato con l´obiettivo di «sostenere noi e gli Stati vicini». Ma si lavora a una nuova coalizione multinazionale guidata dal Qatar, che ieri ha ammesso che centinaia di soldati hanno combattuto con gli insorti contro i gheddafiani. Il «Comitato degli Amici a sostegno della Libia» comprenderà 13 Paesi - tra cui Francia, Gran Bretagna, Italia e Stati Uniti - e si occuperà «dell´addestramento militare, della raccolta delle armi e dell´integrazione degli ex insorti» nelle nuove forze armate libiche. Secondo una fonte diplomatica italiana, citata
dall´Ansa, «l´Italia sta esplorando e valutando le modalità della partecipazione».
Cristina Nadotti
Libia, la promessa del Cnt "Processo ai killer di Gheddafi"
TRIPOLI - Nel gioco del dare e avere tra la Libia e gli alleati occidentali, ieri il Consiglio nazionale transitorio si è impegnato a processare i responsabili dell´uccisione di Muammar Gheddafi e ha diffuso un "codice etico sui prigionieri di guerra". In cambio, la nuova Libia ha ottenuto, grazie alla risoluzione Onu votata ieri, una attenuazione dell´embargo internazionale sulle armi, la fine del congelamento dei beni della compagnia petrolifera libica di stato, la Zuetina Oil Company, e delle restrizioni che bloccavano le operazioni delle principali banche libiche.
Il punto di partenza della riunione del Consiglio di sicurezza dell´Onu è stato l´approvazione della fine del mandato per l´intervento militare, che ha come conseguenza l´abolizione della no fly zone sui cieli libici dal 31 ottobre e la cessazione di ogni intervento aereo della coalizione. Ciò non esclude tuttavia che l´impegno della Nato, alla quale mercoledì il presidente ad interim del Cnt, Jalil, ha chiesto di restare almeno fino a fine anno, non possa essere ridiscusso con obiettivi diversi da quello iniziali di «protezione dei civili». Ieri sono stati soprattutto gli Stati Uniti a mostrarsi possibilisti su un aiuto alla Libia per l´organizzazione delle forze armate e di polizia essenziali alla normalizzazione del Paese. La Nato, e gli Stati Uniti su tutti, sono infatti preoccupati che l´arsenale militare di Gheddafi, di cui si è persa in gran parte traccia, possa finire nelle mani di Al Qaeda nel Maghreb. La Libia cerca di rassicurare gli alleati, ma ha dovuto al tempo stesso ammettere che non è in grado di pattugliare i suoi ampi confini e ci sono già state numerose segnalazioni di movimenti di truppe lealiste soprattutto verso il Niger, il Chad e il Mali. La zona è instabile anche a causa delle rivendicazioni indipendentiste dei Tuareg e c´è chi ha ipotizzato uno scambio tra questi ultimi e i gheddafisti: i fedeli del colonnello (forse lo stesso figlio Saif al Islam) avrebbero promesso l´indipendenza ai Tuareg in cambio di aiuto militare e protezione.
In questo momento la nuova Libia fatica già a tenere sotto controllo le zone pacificate senza ricorrere, come ha già fatto, a violazioni dei diritti umani, non può impegnarsi in un conflitto al confine. Si spiegano con la paura, il desiderio di fornire punizioni esemplari, ma anche con la difficoltà a tenere unite le diverse anime della ribellione (le divisioni tra combattenti di Misurata, Bengasi e Tripoli sono sempre più marcate) le ormai conclamate esecuzioni sommarie dei prigionieri avvenute soprattutto a Sirte e Bani Walid. Quando ieri il vice presidente del Cnt, Abdel Hafiz Ghoga, ha annunciato che i responsabili dell´uccisione di Muammar Gheddafi saranno «giudicati» e avranno un «processo equo» e ha ammesso che ci sono state violazioni, ha tenuto a sottolineare: «Non aspettiamo che nessuno ci venga a dire cosa fare». In questa frase c´è l´impasse della Libia, che non può sminuire i suoi combattenti, ma non può ancora farcela da sola.
Il punto di partenza della riunione del Consiglio di sicurezza dell´Onu è stato l´approvazione della fine del mandato per l´intervento militare, che ha come conseguenza l´abolizione della no fly zone sui cieli libici dal 31 ottobre e la cessazione di ogni intervento aereo della coalizione. Ciò non esclude tuttavia che l´impegno della Nato, alla quale mercoledì il presidente ad interim del Cnt, Jalil, ha chiesto di restare almeno fino a fine anno, non possa essere ridiscusso con obiettivi diversi da quello iniziali di «protezione dei civili». Ieri sono stati soprattutto gli Stati Uniti a mostrarsi possibilisti su un aiuto alla Libia per l´organizzazione delle forze armate e di polizia essenziali alla normalizzazione del Paese. La Nato, e gli Stati Uniti su tutti, sono infatti preoccupati che l´arsenale militare di Gheddafi, di cui si è persa in gran parte traccia, possa finire nelle mani di Al Qaeda nel Maghreb. La Libia cerca di rassicurare gli alleati, ma ha dovuto al tempo stesso ammettere che non è in grado di pattugliare i suoi ampi confini e ci sono già state numerose segnalazioni di movimenti di truppe lealiste soprattutto verso il Niger, il Chad e il Mali. La zona è instabile anche a causa delle rivendicazioni indipendentiste dei Tuareg e c´è chi ha ipotizzato uno scambio tra questi ultimi e i gheddafisti: i fedeli del colonnello (forse lo stesso figlio Saif al Islam) avrebbero promesso l´indipendenza ai Tuareg in cambio di aiuto militare e protezione.
In questo momento la nuova Libia fatica già a tenere sotto controllo le zone pacificate senza ricorrere, come ha già fatto, a violazioni dei diritti umani, non può impegnarsi in un conflitto al confine. Si spiegano con la paura, il desiderio di fornire punizioni esemplari, ma anche con la difficoltà a tenere unite le diverse anime della ribellione (le divisioni tra combattenti di Misurata, Bengasi e Tripoli sono sempre più marcate) le ormai conclamate esecuzioni sommarie dei prigionieri avvenute soprattutto a Sirte e Bani Walid. Quando ieri il vice presidente del Cnt, Abdel Hafiz Ghoga, ha annunciato che i responsabili dell´uccisione di Muammar Gheddafi saranno «giudicati» e avranno un «processo equo» e ha ammesso che ci sono state violazioni, ha tenuto a sottolineare: «Non aspettiamo che nessuno ci venga a dire cosa fare». In questa frase c´è l´impasse della Libia, che non può sminuire i suoi combattenti, ma non può ancora farcela da sola.
Cristina Nadotti
Nessun commento:
Posta un commento