mercoledì 21 marzo 2012

AFGHANISTAN

Karzai: «La sicurezza la gestiremo da soli a partire dal 2013»
WASHINGTON - La distruzione del Corano, la strage di civili ad opera di un soldato e la visita del segretario alla Difesa americano Leon Panetta. Tre elementi contingenti che hanno spinto il presidente afghano Hamid Karzai alla grande provocazione: «Le forze Nato lascino subito villaggi e zone remote, restino nelle loro basi. Alla sicurezza baderanno le nostre unità». Una sortita per ridurre frizioni, spesso insostenibili, tra quelli che sono visti comunque come dei corpi estranei e la popolazione. A giudizio del presidente i «soldati afghani sanno fare mille volte meglio di qualsiasi straniero», loro sì che hanno la giusta «sensibilità» nei rapporti con i civili. Affermazioni usate anche per riconquistare un po' di credito in un momento segnato da episodi gravi che hanno causato proteste violente nel Paese. L' idea (di fondo) di Karzai non è poi diversa da quella della Casa Bianca che sogna una «afghanizzazione» del conflitto ma con tappe più lente. Non subito ma dal 2014, quando le unità afghane saranno pronte (si spera). O, forse un po' prima, come qualcuno dei collaboratori di Obama sollecita da tempo convinto che sia meglio andarsene lasciando il campo alle unità speciali. Un dibattito forte a Kabul come a Washington, poiché tra al Pentagono l' ipotesi di accorciare i tempi è vista come una ritirata. Ma il punto è che questi temi andrebbero discussi in privato. Invece Karzai ha sfruttato i disastri combinati da alcuni soldati americani per rilanciare in modo clamoroso. E gli Usa, colti di sorpresa, hanno cercato di minimizzare: «Non c' è alcun contrasto. E non crediamo che Kabul ci voglia tagliar fuori», sono stati commenti di portavoce e dello stesso Panetta, obiettivo di un mezzo attentato nella base di Helmand. A ristabilire con decisione i parametri, la Casa Bianca: «Il calendario per il ritiro resta quello fissato. La transizione sarà completata nel 2014». Come aveva ribadito, mercoledì, lo stesso Obama con a fianco il principale alleato, il premier britannico Cameron. C' è da fissare un accordo sulle basi e soprattutto gli alleati devono preparare le truppe afghane per i compiti che li attendono. Una missione per nulla facile e che molti ritengono destinata a fallire. Per questo si è cercato di intavolare negoziati con i talebani. Una trattativa che, dopo un paio di piccoli passi, si è subito bloccata. Ieri gli insorti hanno deciso di interrompere i contatti in corso nel Qatar accusando gli americani di non aver mantenuto gli impegni presi. E il guaio è che la lite non è neppure su questioni di fondo, bensì sulle precondizioni. In questo caso uno scambio di prigionieri che dovrebbe portare al trasferimento di 5 talebani da Guantanamo in Qatar. Le parti, però, non hanno trovato l' accordo su come debbano essere «sistemati» una volta arrivati nel Golfo. Nodi resi ancora più stretti dalle proteste di alcuni parlamentari repubblicani che hanno contestato aspramente l' ipotesi. La campagna elettorale Usa incide, tutto è buono per colpire l' avversario. Toccherà allora aspettare e sperare anche che passi la rabbia per la strage compiuta dal sergente uscito fuori di testa a Kandahar. Ieri il Pentagono ha annunciato che il militare è stato trasferito in una base in Kuwait, primo passo verso un procedimento giudiziario americano e non afghano come invece aveva auspicato Kabul. La decisione non piacerà certo a Karzai e a quanti in Afghanistan volevano processarlo in un loro tribunale. Il percorso era però segnato.


Olimpio Guido

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