venerdì 16 marzo 2012

SIRIA

La primavera siriana schiacciata dopo un anno

Questa constatazione, avremmo preferito non doverla fare, ma i fatti sono davanti a noi. A un
anno dall´inizio dell´insurrezione siriana, dopo dodici mesi, giorno dopo giorno, di manifestazioni
pacifiche su cui Bashar al-Assad ha ordinato sistematicamente di sparare a freddo, malgrado il
coraggio stupefacente di un popolo che ha sfidato le pallottole per conquistarsi la libertà, la
vittoria di quel regime di assassini appare sempre più vicina.      
Homs è caduta, schiacciata dai bombardamenti a tappeto, perché il suo martirio serva a
terrorizzare l´intero Paese. Ieri anche Idleb è stata costretta alla resa; gli oppositori e i loro
familiari sono braccati, votati alle torture e alla morte. Mentre dissemina mine lungo i confini con
la Turchia, l´esercito attacca le città e le regioni non ancora colpite dai massacri. La notte
scende sulla Siria, perché oramai quel popolo ha soltanto il suo eroismo e qualche misera
pistola da contrapporre ai blindati che nessuna aviazione straniera verrà a neutralizzare. A
meno che le minoranze cristiane, druse e curde depongano la loro neutralità; a meno che si
spezzi all´improvviso l´alleanza che hanno stretto con la minoranza alawita al potere, per
evitare il predominio della maggioranza sunnita; a meno che d´un tratto, nel momento stesso in
cui la forza trionfa, accada l´improbabile, l´insurrezione si spegnerà presto, e il mondo lo sa.
Il mondo lo vede, prostrato dall´impotenza e dalla vergogna, dato che non è indifferente, né
complice di questo massacro. Al contrario, le grandi potenze non hanno mai smesso di gridare
la loro indignazione. Gli Stati arabi, l´Europa, la Turchia, gli Stati Uniti e molti altri Paesi di tutti i
continenti hanno denunciato quei crimini e decretato pesanti sanzioni economiche; hanno
ostracizzato quella dittatura spietata, ma nessuno interverrà, né aiuterà gli insorti con forniture
di armi, non previste perché – orribile a dirsi, ma è così - vi sono motivi reali per non farlo.
Fornire armi a civili che non le hanno mai maneggiate non servirebbe a controbilanciare un
regime armato fino ai denti, al quale per di più si offrirebbe il pretesto che cercava per
moltiplicare i suoi crimini. A meno di voler ripetere l´avventura irakena, e di provocare una
rottura in seno all´Onu, nessuna potenza può intervenire senza l´avallo del Consiglio di
Sicurezza; e quest´avallo non sarà dato, perché Cina e Russia non vogliono che le Nazioni
Unite prendano l´abitudine di andare a difendere un popolo in lotta per la sua libertà. 
I siriani non possono sperare in un soccorso dall´esterno, e Bashar al-Assad lo sa benissimo,
tanto che può completare in piena tranquillità la sua mattanza. Il suo regime ha effettivamente
buone probabilità di superare quest´ondata. Ma poi?
Gli scenari possibili sono due. Secondo gli ottimisti, il dittatore siriano otterrà solo una vittoria di
Pirro, dato che con le baionette si può fare di tutto, ma non sedervisi sopra. Odiato dal suo
popolo, con le casse svuotate dalla guerra, potrà solo cadere come un frutto bacato, roso dalla
tempesta. Magari. 
Ma i pessimisti mormorano che innanzitutto il mondo dovrà pur finire per trattare con
l´assassino di Damasco, visto che resterà al suo posto; cosa peraltro già preannunciata dai
tentativi di mediazione rivolti a un capo di Stato nell´esercizio delle sua funzioni, per chiedere
gesti di apertura e umanità: un po´ come domandare a un antropofago di apparecchiare la
tavola.
Non lo sappiamo. Questi scenari sono entrambi plausibili, ma qualunque cosa accada nel breve
termine, il popolo siriano, sia pure sconfitto, non dimenticherà il sangue versato per la libertà, né
rinuncerà alle speranze che aveva destato. Anche perché in un anno tutto è cambiato.
L´economia è crollata; e gli ambienti d´affari ricercano una soluzione politica che ne consenta il
rilancio. Le minoranze si sono rese conto che non potranno governare in eterno contro la
maggioranza. La Siria è in attesa del secondo round; e una generazione si è formata in questa
battaglia. Dovrà forse passare molto tempo prima che riesca a vincere; ma chi avrebbe
immaginato, un anno fa, che il mondo arabo avrebbe respinto i suoi potentati, e che la dittatura
siriana, la più poliziesca e brutale di tutte, avrebbe subito scossoni tanto violenti?
Alla primavera araba è seguito l´inverno. Ma né la Storia, né la libertà avanzano d´un sol colpo.
Lo si era visto in Francia, così come in Polonia e in Italia; lo si vede in Russia. La libertà prende
slancio, retrocede sotto i colpi, stagna sotto il peso della reazione, ma una volta in marcia non si
ferma. Riprende fiato, e finisce per prevalere.

Bernard Guetta

Siria, caccia al tesoro del regime in fuga all' estero i capitali delle élite
NEW YORK - È la prima defezione di alto rango che colpisce il regime di Bashar al-Assad. Ieri il viceministro del petrolio siriano ha annunciato di essere passato dalla parte dell' opposizione. L' alto dignitario, Abdo Husameddine, ha affidato a un video su YouTube la sua dichiarazione, denunciando «la brutale repressione» e lanciando un appello perché altri esponenti del governo lo seguano. Il viceministro ha detto di volersi «unire alla rivoluzione di un popolo pieno di dignità». "Sono stato al governo per 33 anni - ha dichiarato Husameddine - e non voglio servire la mia carriera al servizio dei crimini di questo regime. Preferisco fare ciò che ritengo sia giusto, anche se so che questo regime distruggerà la mia casa e perseguiterà la mia famiglia». La notizia è stata accolta con interesse e cautela negli Stati Uniti. Si tratterebbe del primo esponente del governo di Assad che passa all' opposizione, ha sottolineato il deputato repubblicano Mike Rogers che presiede il comitato della Camera sui servizi segreti. La notizia arriva in una fase in cui l' intelligence americana è a caccia di notizie sulle fughe dei capitali siriani all' estero. La Cia e il Pentagono hanno ricostruito l' uscita di milioni di dollari da Damasco, finiti per lo più in conti offshore a Dubai e in Libano. I servizi americani sono certi che si tratta di capitali che appartengono all' oligarchia del regime, a personaggi molto vicini allo stesso Assad. Resta aperto però un interrogativo cruciale: queste fughe di capitali sono i sintomi che l' élite si sta disintegrando e che i notabili si preparano alla caduta di Assad? Oppure si tratta di una semplice precauzione, come spesso accade nei regimi autoritari e corrotti, i cui oligarchi si costruiscono delle "polizze assicurative" parcheggiando patrimoni all' estero? Quale delle due risposte sia giusta, è fondamentale per la Casa Bianca. Da tempo ormai Obama ha incaricato il Pentagono di mettere a punto piani dettagliati per un intervento militare in Siria. Anche se il presidente è molto riluttante ad aprire un nuovo conflitto, vuole che tutte le opzioni siano sul suo tavolo. Ma l' eventualità di un' azione militare è legata alla credibilità, alla forza e alla compattezza dell' opposizione siriana. Nonché alle probabilità di decomposizione del regime di Assad. Washington ha bisogno di capire anche in quale misura le sanzioni economiche imposte sulla Siria, da parte dell' Occidente e della Lega araba, stiano davvero "mordendo" negli interessi delle élite. È noto che Assad ha consolidato il suo potere in diversi modi: da una parte con la repressione militare degli avversari e di ogni protesta popolare; d' altra parte anche garantendo opportunità di arricchimento alla cerchia dei suoi alleati, in particolare i membri della religione alawita che è il nocciolo duro del consenso al regime. «Il collante che tiene insieme il sistema di potere a Damasco - ha dichiarato al Washington Post l' esperto Andre Tabler del Washington Institute for Near East Policy - è il fatto che quella vasta cerchia guadagna milioni di dollari all' anno. Hanno un investimento personale nella sopravvivenza del regime. Il problema è che ancora non riusciamo a capire dove sta il punto di rottura nelle relazioni che li legano». L' intelligence americana tende a interpretare le fughe di capitali a Dubai e in Libano come dei sintomi di crisi nell' entourage di Assad. Il deputato Rogers teme che si tratti solo di «gente che preferisce avere una forma di copertura dal rischio». La Cia e il Pentagono hanno coinvolto anche gli esperti del Dipartimento del Tesoro, per avere un' idea più chiara di quei flussi finanziari. Se si confermasse che le uscite di fondi segnalano uno sfrangiamento nel cuore del regime, allora anche l' ipotesi di un' azione militare in appoggio all' opposizione diventerebbe meno rischiosa. La defezione del viceministro del petrolio aggiunge un tassello all' interpretazione più ottimista, di chi considera imminente un fuggi fuggi dal regime di Assad sul modello di quel che avvenne in Libia nelle ultime settimane di Gheddafi.


Federico Rampini




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