"Israele, non colpire Teheran"
Benjamin Netanyahu sta tenendo molti discorsi in questi giorni. Dinanzi ai nostri occhi infiamma i suoi ascoltatori, e anche se stesso, con ricorrenti riferimenti alla Shoah, al destino degli ebrei e delle generazioni future.
Di fronte a questa retorica catastrofistica e apocalittica ci si può chiedere se Netanyahu distingua i pericoli reali che Israele deve affrontare dagli echi e dalle ombre dei traumi del passato. Questa è una domanda importante, cruciale, perché una confusione fra le due cose potrebbe condannare Israele a rivivere quegli echi e quelle ombre.
Ovviamente se tutto questo - il pathos, il grande mantice della Shoah - non è che un espediente destinato a indurre il mondo a esercitare pressione sull'Iran,e se l'espediente funzionerà senza che Israele sferri un attacco, allora ammetteremo con gioia che il primo ministro ha compiuto un ottimo lavoro e merita tanti complimenti. Ma se Netanyahu pensa e agisce secondo una visione del mondo ermetica, che oscilla tra i poli della tragedia e della salvezza, ecco che ci troviamo in un ambito di discussione completamente diverso.
Anziché tradurre in maniera monodimensionale l'Israele del 2012 nella Shoah degli ebrei d'Europa dovremmo porci un'altra domanda: è opportuno che Israele, di propria iniziativa, scateni una guerra contro un paese come l'Iran (una guerra dalle conseguenze imprevedibili) per prevenire uno scenario futuro, indubbiamente pericoloso, ma che nessuno è sicuro che si realizzi? In altre parole: Israele dovrebbe rischiare una catastrofe certa nel presente per impedirne una futura? (segue dalla copertina) Èdifficilissimo prendere una decisione oculata in una situazione simile. Sarebbe difficile per qualsiasi leader israeliano e senza dubbio lo sarà per Netanyahu, sul quale agiscono con forza il trauma del passato e quello possibile del futuro. Potrà Netanyahu, nel groviglio di pressioni da lui stesso create e fomentate, trovare un punto di appoggio in un presente ragionevole, lucido e pragmatico? Un presente che non sia parte di un mito tragico e apocalittico che sembra volere ripetersi per noi in ogni generazione? Anche questa è infatti la realtà del presente: già oggi tra Israele e Iran esiste un equiliIran" brio del terrore. Gli iraniani proclamano che centinaia di loro missili sono puntati verso le città israeliane, ed è ipotizzabile che Israele non rimanga a braccia conserte davanti a un simile pericolo. Questo equilibrio del terrore, che a detta degli esperti comprende armi non convenzionali, chimiche e biologiche, finora non è stato violato e nessuno può stabilire con certezza se sarà mantenuto in futuro. Nessuno può nemmeno sapere se armi o capacità nucleari "filtreranno" dall'Iran a gruppi terroristici o se l'attuale regime iraniano sarà sostituito da uno più moderato. Anche il capo del governo, il ministro della Difesa e i membri del gabinetto di sicurezza israeliani che dovranno votare a favore o contro un attacco all'Iran operano, nell'attuale dilemma, sulla base di '' ,, supposizioni, timori, congetture e ansie. Senza sottovalutare l'importanza di congetture e di ansie possiamo ritenere che siano una base solida per un'azione che potremmo rimpiangere per generazioni? Nessuno in Israele è assolutamente certo che tutto il potenziale nucleare iraniano verrà distrutto da un attacco israeliano. Nessuno sa neppure con esattezza quale livello di morte e distruzione una reazione iraniana seminerà nelle città di Israele. Non è superfluo ricordare la sicurezza e l'illusione di conoscenza e di informazioni precise con le quali lo stato maggiore dell'esercito e il governo israeliani affrontarono lo scoppio della seconda guerra del Libano, né il fallimento delle previsioni della prima guerra del Libano a seguito della quale Israele si ritrovò invischiata in un'occupazione di 18 anni. E ci sono altri innumerevoli esempi.
Inoltre, anche se le infrastrutture del potenziale nucleare dell'Iran verranno distrutte, non si potranno cancellare le conoscenze accumulate. Queste conoscenze, e i loro depositari, si risolleveranno dalla polvere e creeranno nuove infrastrutture e questa volta, insieme all'intero popolo iraniano, bruceranno di offesa, di odio sfrenato e di sete di vendetta per la profonda umiliazione subita.
L'Iran, come si sa, non è solo un paese fondamentalista ed estremista. Ampie fasce della sua popolazione sono laiche, colte e progredite. Numerosi rappresentanti del suo vasto ceto medio hanno manifestato con coraggio e a rischio della propria vita contro un regime religioso e tirannico che detestano. Non sto dicendo che una parte del popolo iraniano provi simpatia per Israele ma un giorno, in futuro, queste persone potrebbero governare l'Iran ed essere forse più propense a Israele. Una tale possibilità sfumerebbe tuttavia se Israele attaccasse l'Iran raffigurandosi come una nazione arrogante e megalomane, un nemico storico contro il quale lottare strenuamente, anche agli occhi dei moderati iraniani. Questa eventualità è più o meno pericolosa di un Iran nucleare? E cosa farà Israele se a un certo punto anche l'Arabia Saudita deciderà di volere armi nucleari e le otterrà? Sferrerà un altro attacco? E se anche l'Egitto, sotto il nuovo governo, sceglierà questa strada? Israele lo bombarderà? E rimarrà per sempre l'unico paese della regione autorizzato ad avere armi nucleari? Sebbene questi interrogativi siano già noti e risaputi occorre ripeterli costantemente un attimo prima che le orecchie si otturino nella foga della battaglia: una guerra porterà un vantaggio concreto? Un vantaggio tale da assicurare a Israele una vita tranquilla per molti anni futuri? Un vantaggio tale da far sì che un giorno, forse lontano, lo stato ebraico verrà accettato come legittimo vicino e partner così che l'intera questione delle armi nucleari, israeliane e di altri paesi, risulti superflua? Una risposta legittima a questi interrogativi, difficile da digerire ma che vale la pena di discutere pubblicamente, è che se le sanzioni economiche non indurranno l'Iran a interrompere la produzione di uranio arricchito, e se gli Stati Uniti, per motivi loro, non attaccheranno l'Iran, Israele farebbe meglio a non sferrare un attacco, anche se questo significherà doversi rassegnare, a denti stretti, a un Iran nucleare.
Questa possibilità sarebbe estremamente dura da accettare e la nostra speranza è che le pressioni internazionali la vanifichino. L'eventualità di un attacco israeliano potrebbe però essere altrettanto dura e amara. E siccome non c'è modo di stabilire con certezza se un Iran dotato di armi nucleari attaccherà Israele, Israele non dovrà attaccare l'Iran.
Un simile attacco sarebbe azzardato, sconsiderato, precipitoso e potrebbe cambiare completamente il nostro futuro, non oso nemmeno immaginare come. Anzi, no: lo posso immaginare, ma la mano si rifiuta di scriverlo.
Non invidio il capo del governo, il ministro della Difesa e i membri del gabinetto. Sulle loro spalle pesa una responsabilità indescrivibile. Penso al fatto che in una situazione tanto ambigua e controversa l'unica cosa certa talvolta è la paura. Sarebbe allettante aggrapparvisi, consentirle di consigliarci e guidarci, percepire il palpito familiare che noi israeliani riconosciamo. Sono sicuro che chi è a favore di un attacco all'Iran lo giustifica sostenendo che in questo modo si eviterà la possibilità di un incubo peggiore in futuro. Ma chi ha il diritto di condannare a morte così tante persone solo in nome di un timore che potrebbe non concretizzarsi mai?
David Grossman
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