venerdì 2 marzo 2012

IRAN

Iran Le elezioni all' ombra della guerra

La prima cosa che ti colpisce, arrivando nel centro di Teheran, sono i grandi manifesti, almeno due metri per uno, agli incroci delle strade principali. Non puoi evitare di vederli, e ti colpiscono perché portano scritto a caratteri cubitali il logo di giornali e radio che non ti aspetteresti di vedere citati a Teheran: Washington Post, Voice of America, Radio Fardà (la radio dell' opposizione più ascoltata) o altre voci dell' opposizione: "Obama deve tacere per almeno un mese" si legge ad esempio nella citazione di Radio Fardà, "perché se parla e minaccia molti più iraniani andranno a votare". Il senso degli altri è lo stesso: "Stia attento Obama a non ripetere gli stessi errori di Bush: le minacce aumentano la partecipazione al voto, e la partecipazione al voto riduce i rischi di una guerra". L' ultimo di questi manifesti sventolanti come bandiere l' ho visto all' incrocio tra piazza Vali asre Enqelab. Piùa nord, dove vive la popolazione più ricca che ascolta regolarmente Radio Fardà, i manifesti scompaiono. Ma anche i messaggini elettorali che i candidati mandano sui cellulari hanno lo stesso tono: andare a votare significa dimostrare che il popolo è compatto e se siamo compatti nessuno ci attaccherà. Sembra un paradosso ma alla fine, se andrannoa votare più iraniani di quanti non si prevedesse pochi mesi fa, quando sembrava che nessuno sarebbe più andato a votare dopo le delusioni del 2009, saranno state le pressioni occidentali che avranno raggiunto così lo scopo non voluto di legittimare il regime. «La paura della guerra è il pensiero dominante degli iraniani in questo momento», mi spiega un giornalista che dai quotidiani è passato alle riviste dove, essendo lette da pochi, la censura è meno attenta e si può scrivere più liberamente. «Molti si sono lasciati convincere che la compattezza della nazione allontani la guerra, perché fa vedere che un attacco militare non sarebbe una passeggiata e che il popolo iraniano tende sempre a unirsi quando viene aggredito». E su questo tasto batte il regime. «Le elezioni daranno uno schiaffo ai nemici che sperano che pochi iraniani andranno a votare», ha ammonito ieri Khamenei. Quelle di domani sono le prime elezioni dopo quelle del 2009, diventate famose nel mondo per le proteste che portarono milioni di persone per strada per molti mesi. In Iran l' importanza del voto viene insegnata ai ragazzi fin dalle elementari, con elaborate elezioni dei rappresentanti di classe, e ad essere delusi della vistosa manipolazione del voto furono allora soprattutto i giovani, che dalla vittoria di Moussavi si aspettavano più libertà. Ma i conservatori e i radicali erano decisi a impedire con ogni mezzo la vittoria dei riformatori, che vedono come il preludio del disfacimento della Repubblica islamica. Si mise in moto così un meccanismo di violenza, di arresti, di processi farsa, di torture. Ancora oggi molti politici riformatori sono in carcere, e i due leader Moussavi e Karroubi restano agli arresti domiciliari, privi di ogni contatto con il mondo. «Non solo chi voleva una democrazia più occidentale, ma anche le persone religiose come me fino ad allora avevano creduto nella Repubblica islamica, hanno cominciato ad avere dubbi. Perché persone stimate come Moussabi, Karroubi e Khatami, che hanno ricoperto i massimi ruoli al vertice dello Stato dovrebbero venir trattati così? Tutto questo contraddice la mia idea di islam», mi dice un professore che ha insegnato fino a poco tempo fa teologia all' Università di Teheran. La perdita di credibilità del regime ha avuto conseguenze. Ha provocato tensioni all' interno del blocco antiriformatore e ha aumentato il potere dei pasdaran, il braccio militare della Repubblica islamica, che si sono inseriti in posizioni di primo piano anche nell' economia. Ahmadinejad ha cercato di colmarla puntando sul pathos nazionale. Ha rivalutato il passato preislamico, l' eredità di Persepolis, ha parlato di un «islam iranico» invece che arabo;e per darsi una legittimità religiosa ha insistito sull' ideologia messianica del ritorno del Mahdi, il messia sciita. Chi avesse un filo diretto con Dio attraverso il Mahdi toglierebbe però molte funzioni alla Guida suprema, che di Dio è il rappresentante sulla terra, e sebbene Ahmadinejad questo non l' abbia mai detto, le sue posizioni hanno allarmato il clero e soprattutto Khamenei. Ne è derivata una lotta di potere che ha messo il Leader contro il Presidente, il Parlamento contro il Governo, i ministri contro la magistratura. Rappresentanti del clero hanno accusato i più stretti collaboratori del presidente di essere un pericolo per l' islam, di corruzione e altre infamie, mentre Ahmadinejad cercava di rafforzare il proprio poterea spese dei religiosi e Khamenei, che in passato aveva puntato tutte le sue carte su Ahmadinejad contro i riformatori, ha minacciato di voler trasformare la Repubblica islamica in una repubblica parlamentare, priva di un presidente. Questa è un' altra delle ragioni che potrebbero portare all' ultimo momento più gente alle TEHERAN urne di quanto si preveda, mi dice un politologo che ha lavorato per anni in un centro studi di Teheran e ora fa la spola con il Canada. Alcuni andranno a votare per Ahmadinejad per evitare che Khamenei diventi "il nuovo monarca". Le elezioni mostreranno quale delle due fazioni del campo conservatore-radicale riesce a raccogliere i maggiori consensi. I riformatori sono completamente fuori gioco, per la prima volta in trentadue anni dalla Rivoluzione. Nei loro siti web chiedono agli iraniani di rimanere a casa domani ma non pochi iraniani, confessa uno studente, finiranno per andare alle urne perché non avere sulla carta d' identità il timbro che dimostra di aver votato può pregiudicare l' ingresso in una buona università o l' accesso a una carriera. Tra Khamenei e Ahmadinejad la partita sembra mettersi male per il presidente. perché il Consiglio dei Guardiani, questa volta, ha posto il suo veto non solo su quei pochi riformatori che avevano osato presentare una candidatura, ma anche su più della metà dei candidati che facevano riferimento al gruppo di Ahmadinejad. Per i 310 seggi sono in lizza 3444 candidati, quasi unicamente del campo conservatore, che il Consiglio dei Guardiani ha scelto su 5400 che si erano presentati. Nello shopping center Aladdin, una mecca per smart phones e ipod a buon mercato, non c' è la ressa che eravamo abituati a trovare. Siamo vicini a Capodanno ma la gente è depressa e non fa spese, dice il tassista che ci porta lì. La cattiva gestione e l' intromissione pesante dello Stato nell' economia hanno indebolito gli investimenti privati senza riempire quel vuoto, mi dice un economista. Le sanzioni hanno fatto il resto, provocando una inflazione record e aumentando ancora la disoccupazione. Le uniche attività che vanno bene, almeno nel nord di Teheran, la parte più ricca della città, sono i frequentatissimi centri di ayurvedica e di reiki, una tecnica di healing fisico e psichico giapponese da cui in tanti si aspettano la salvezza. Della politica nessuno si interessa più.

Vanna Vannuccini





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