martedì 14 giugno 2011

ALLAH BENEDICA LA TURCHIA

I - "Siamo noi l'ispirazione della primavera araba"
11/06/2011, Corriere della Sera, Monica Ricci Sargentini

ISTANBUL - L' autobus avanza lentamente per le strade di Maltepe, popoloso quartiere di Istanbul sul lato asiatico, la musica si alterna a una voce che ripete: «Egemen Bagis vi saluta, cittadini è il momento di diventare grandi, camminiamo insieme verso il futuro». Lui, 41 anni, ministro per gli Affari dell' Unione Europea, uomo di punta dell' Akp, è in piedi da ore ma non si stanca di salutare gli elettori che domani dovranno votarlo nel primo distretto della città dove è in lista subito dopo il premier Erdogan. Tra una stretta di mano e l' altra si rivolge al Corriere: «Quando metteranno la scheda nell' urna - dice - queste persone guarderanno al loro stile di vita, a cosa abbiamo prodotto in questi anni: 13 mila chilometri di strade, una crescita economica dell' 8,5% contro l' 1,5% del resto d' Europa e un reddito pro capite passato dai 2.300 dollari l' anno a 11.000. Nessuno farà caso alla spazzatura pubblicata dalla stampa straniera prima del voto». Il suo governo ha certo migliorato la vita della gente, ma spesso è accusato di non tollerare le critiche. L' Economist ha invitato i turchi a votare l' opposizione per il bene della democrazia. Lei cosa risponde? «Il Paese non è mai stato così trasparente. Ora le persone sono più libere. L' idea che in Turchia ci sia una deriva autoritaria è semplicemente assurda». Ma la libertà di stampa non è a rischio? In prigione ci sono 57 giornalisti. «I procuratori hanno già chiarito che i reporter arrestati non sono imputati per le loro opinioni o quello che hanno scritto, ma perché hanno commesso dei crimini. E per quanto riguarda gli arresti di massa ricordatevi di Gladio e di Mani pulite». La politica estera della Turchia è cambiata negli ultimi anni, il Paese è considerato un modello da gran parte del mondo arabo. Ankara ora guarda ad Est? «La Turchia non sta andando né a est né a ovest, la Turchia sta crescendo e sta diventando più sicura di sé. Lo stesso anno in cui abbiamo iniziato il percorso di ammissione all' Ue abbiamo anche assunto la segreteria generale dell' organizzazione della Conferenza islamica. Siamo diventati membri del Consiglio di sicurezza dell' Onu dopo 47 anni. Stiamo negoziando per la pace tra Siria e Israele, Russia e Georgia, Afghanistan e Pakistan, Iraq e Siria. Siamo la parte più ad est dell' Occidente e la parte più ad occidente dell' Est. Ma il nostro obiettivo è Bruxelles perché vogliamo essere parte del più grande progetto di pace del mondo, l' Ue». Due anni fa in un' intervista al Corriere Erdogan aveva chiesto all' Europa di dire una parola chiara sull' ammissione. A che punto siamo? «Solo l' 8% dei turchi pensa che la Ue sia sincera con noi, per gli altri sta facendo il doppio gioco. Guardi la questione del visto: i brasiliani possono entrare nell' area Schengen senza problemi, per noi è una vera tortura. Su Cipro la parte turca ha approvato il piano dell' Onu, ma resta sotto embargo. E poi ci sono quei 20 capitoli sulla strada della Ue: 17 sono bloccati da singoli Stati per motivi di politica interna». Quindi secondo lei l' obiettivo è lontano? «No. Io dico che l' Europa deve prendere la decisione giusta e deve farlo ora. Dobbiamo diventare membri al più presto. Quale garanzia migliore di una Turchia democratica, che l' entrata nell' Unione? L' Occidente dimostri di essere sincero con noi. Durante la guerra fredda abbiamo protetto i nostri alleati della Nato, ma ora vediamo gli ex Paesi sovietici entrare nel club, mentre noi restiamo fuori. Dovevamo forse diventare membri del Patto di Varsavia invece che della Nato?» Qual è la sua posizione verso la primavera dei Paesi arabi? In particolare cosa pensa della situazione in Siria? «Non è la prima volta che abbiamo rifugiati al confine e come nostra tradizione li accoglieremo e accudiremo. In questi Paesi c' è stato un grosso cambiamento: prima si scendeva in piazza solo contro Israele, ora le persone chiedono democrazia, lavoro, libertà. Vogliono essere come la Turchia. Noi siamo la loro fonte di ispirazione». 




II - Erdogan: "Basta atrocità". Svolta alla vigilia del voto
11/06/2011, Corriere della Sera Monica Ricci Sargentini

ISTANBUL - Fino a un mese fa Bashar Assad era per il primo ministro turco prima di tutto «un caro amico» ma le ultime «gesta» del regime hanno convinto Recep Tayyip Erdogan che la misura era ormai colma: «Quello che sta succedendo in Siria è disumano - ha detto a sorpresa il premier giovedì sera in tv - e non può essere digerito». Una dichiarazione che segna la più ampia presa di distanze dal Paese confinante, con cui Ankara vantava ottimi rapporti e che considerava un partner strategico. Evidentemente a poche ore dalle elezioni politiche, dopo 1.100 morti e con migliaia di siriani che varcano il confine, la situazione era diventata insostenibile. «Ho parlato con Assad quattro o cinque giorni fa - ha aggiunto il leader dell' Akp -, gli ho spiegato le cose chiaramente ma prendono la situazione alla leggera». Domani la Turchia è chiamata a rinnovare il Parlamento. Il voto è considerato cruciale, soprattutto per la posta in gioco. La tentazione di Erdogan, o meglio il suo sogno, è un numero: 367. Cioè i seggi che consentirebbero al primo ministro turco di cambiare la Costituzione senza ricorrere all' aiuto di altri partiti. Per l' Akp, il partito per la Giustizia e lo Sviluppo dato già per sicuro vincitore, sarebbe il coronamento di un cammino iniziato con il primo governo nel 2002. Negli ultimi giorni di campagna elettorale, mentre percorreva, instancabile, il Paese in lungo e in largo «Papa Tayyip», come lo chiamano affettuosamente i suoi elettori, non ha fatto mistero delle sue ambizioni: «Il nostro primo obiettivo è varare una nuova Costituzione più libera e democratica, ma questo dipende dalla composizione del Parlamento. Se la matematica ci darà ragione potremo fare la riforma senza nemmeno ricorrere al referendum di conferma». In verità anche un risultato più modesto (330 seggi) darebbe al governo la possibilità di cambiare la Carta sottoponendola poi al voto popolare, come è già stato fatto senza problemi lo scorso settembre. È proprio quello che teme l' opposizione guidata dal Partito Repubblicano del Popolo (Chp), che nella scorsa tornata elettorale si è attestato sul 21% dei consensi e ora è dato in crescita tra il 25 e il 31%. La caccia ai voti è aperta soprattutto nelle città che danno sul Mediterraneo, dove il partito di Kemal Kiliçdaroglu e l' Mhp di Devlet Bahçeli (Mhp) hanno di solito una buona performance. I nazionalisti, però, sono stati indeboliti da uno scandalo a sfondo sessuale che potrebbe ridimensionare l' eccellente risultato del 2007 (14,2% di voti), mettendone a rischio l' entrata in Parlamento (la soglia è del 10%). Buona parte del gruppo dirigente è stata costretta a dimettersi dopo la diffusione illegale di video che documentavano relazioni extraconiugali. E non è mancato chi ha puntato il dito contro l' Akp, l' unica formazione che potrebbe trarre vantaggio da una sonora sconfitta dell' Mhp, perché in quel caso i 550 seggi in palio verrebbero spartiti soltanto tra tre forze (Akp, Chp e i curdi del Bdp). Soltanto domani sapremo con quale agio Erdogan potrà trasformare la Turchia in una Repubblica presidenziale di cui lui stesso potrebbe essere il prossimo capo dello Stato nel 2014. Dalla sua parte ci sono gli innegabili risultati economici, che hanno dato al Paese una crescita pari all' 8,5% nel 2010, secondo solo a India e Cina, e una grande popolarità grazie a una politica nazional-conservatrice attenta anche ai valori religiosi. Ma l' opposizione (e anche qualcuno all' estero) teme la svolta autoritaria: «Il premier non sopporta le critiche - dicono -. O si è con lui o si è tagliati fuori». Ieri in tribunale lo scrittore Ahmet Altan, direttore del giornale Taraf, si è dovuto difendere da una querela presentata proprio dal suo ex amico Erdogan.


III - Comizi, fiori, canti: sul bus con Erdogan
12/06/2011, Corriere della Sera, Monica Ricci Sargentini


ISTANBUL - Il giorno prima del voto avrebbe dovuto passarlo a casa, possibilmente rilassandosi con la famiglia. Ma Recep Tayyip Erdogan è un uomo che ama i bagni di folla. Così all'ultimo momento ha deciso di organizzare un fuoriprogramma elettorale nella sua amata città natale. A mezzogiorno Tuzla, un quartiere della parte asiatica di Istanbul, era un mare di bandierine arancioni e blu con su la lampadina simbolo del partito filo islamico Akp. «Türkiye Büyüsün» (Che la Turchia diventi sempre più grande) gridavano i manifesti. Lui è arrivato sul solito bus con il suo volto stampato sopra che l'ha accompagnato in questi giorni. A bordo la moglie, due dei suoi quattro figli, i fedelissimi dello staff, il ministro per l'Europa Egemen Bagis e il Corriere della Sera. Alto, più magro del solito dopo una maratona elettorale che l'ha visto percorrere 45 mila chilometri in aereo e visitare 68 città, il primo ministro è in maniche di camicia senza cravatta, si sporge costantemente fuori dall'autobus tra la disperazione del servizio di sicurezza. «Perché avete messo quelle transenne? - chiede irritato - Le persone così non possono raggiungermi». Poi allunga le braccia per prendere un bambino biondo. Il piccolo piange e dopo pochi secondi torna dalla mamma. La gente saluta in modo compulsivo, rincorre il mezzo facendo foto con il telefonino, si mette la mano sul petto e canta la canzone tormentone dell'Akp: «Noi tutti insieme siamo la Turchia, abbiamo attraversato la stessa strada, abbiamo bevuto la stessa acqua».                                                                                                                        
TRE TAPPE - Ad Erdogan l'hanno ripetuto fino alla nausea gli strateghi elettorali: l'importante è il contatto visivo, occhio con occhio, è quello che porta voti. Ma la sua non sembra nemmeno essere una strategia. Quando deve salire sul tetto dell'autobus per fare il solito comizio si trasforma. È un istrione, un oratore nato. Percorre l'angusto spazio su e giù con i mano due microfoni: «Il viaggio finisce oggi - grida - ora siete voi che dovete decidere se darmi la possibilità di andare avanti. Abbiamo fatto tanta strada insieme. Vi chiedo se volete darmi la possibilità di continuare». «La Turchia è orgogliosa di te», grida la folla. E lui risponde: «Fratelli miei, io sono orgoglioso di voi». Sulla gente volano garofani rossi.                                                                                                                   
IL CENTENARIO- L'obiettivo è fissato tra dodici anni, quando si festeggerà il centenario della Repubblica fondata da Kemal Atatürk. «La Turchia sarà pronta nel 2023» è lo slogan del partito della Giustizia e dello Sviluppo. Erdogan chiede ai cittadini un mandato lungo per portare a termine progetti grandiosi come quello di un nuovo canale sul Bosforo che unirà il Mar Nero al Mar di Marmara in modo da alleggerire il traffico sullo stretto. O come la costruzione di due città satellite di Istanbul a prova di terremoto data la nota pericolosità della zona. Per non parlare dell'ambiziosissimo programma di sfruttamento idroelettrico dei fiumi come la diga di Ilisu che allarma molto gli ecologisti o del rilancio di Ankara che diventerà «una capitale esempio per il mondo».                                          
LE DONNE - Visto dall'interno l'Akp sembra quasi un'azienda a conduzione familiare. La figlia Sumeyye ha il volto solare incorniciato da un velo blu e un vestito nel solco della tradizione islamica. Ogni volta che il padre sale sulla cima dell'autobus, scortato dalla moglie Emin, lei scende tra la gente, sorride, stringe mani, bacia, ascolta. A 26 anni è già consigliere del partito e c'è chi dice che farà carriera. Ma altri scommettono sul fratello maggiore Bilal che ha preso un master ad Harvard e sta finendo il dottorato in scienze politiche. Anche se lui si schernisce: «Non lo farò mai». A onor del vero, però, la platea non è composta solo da donne velate. Özlem Türköne, viso luminoso e capelli al vento, ha 34 anni ed ha finito ora il suo primo mandato da deputata: «Dal 2002 ad oggi - dice orgogliosa - la presenza femminile in parlamento è passata dal 4% al 10%». A Pendik, altro quartiere del lato asiatico, Erdogan affronta la questione curda. «Siamo tutti turchi sotto lo stesso tetto - spiega -, i curdi sono nostri fratelli. La propaganda vuole dividerci ma noi dobbiamo sentirci una nazione». E poi l'affondo contro l'opposizione. «Cosa hanno fatto loro quando sono stati al governo? Guardiamo i numeri. C'erano le strade? Gli ospedali funzionavano? Domani potete dare voi la vostra risposta nell'urna».


IV - Turchia, vince ancora Erdogan ma il premier manca il plebiscito
13/06/2011, La Repubblica, Marco Ansaldo

ANKARA - Ha sfiorato il 50 per cento dei voti. «Siamo passati - scandisce al microfono, con a fianco la moglie Emine, elegantissima nel suo velo bianco e blu - da 16 a 21 milioni di voti». Un trionfo, sì. Eppure non la vittoria travolgente che si attendeva.
Sulla balaustra i ministri fanno festa. Sotto sventolano migliaia di bandiere con la lampadina accesa, simbolo dell´Akp, partito conservatore di ispirazione religiosa. Il primo ministro cita Mustafa Kemal, cioè Ataturk, fondatore della Turchia moderna. «Saremo modesti nella vittoria». Lo ripete: «Modesti». Ha appena ottenuto per la terza volta in meno di dieci anni un mandato chiaro dagli elettori - un record, per lui e per il Paese - e governerà fino al 2015 un esecutivo monocolore. Ma nella distribuzione dei seggi la sua compagine ha perso qualche poltrona, scendendo a 325 deputati. Un deficit inatteso, che non gli consentirà di riformare la Costituzione per arrivare a una Repubblica presidenziale in stile francese. Non almeno da solo. Adesso, per scambiarsi il posto con il capo dello Stato, Abdullah Gul, e guidare il Paese fino al 2023, centesimo anniversario della Turchia fatta da Ataturk, dovrà mediare con gli altri partiti, sottoporre la modifica in Parlamento, e farla approvare in un referendum. «La nostra nazione ci ha detto di fare la Costituzione attraverso la collaborazione», ha spiegato.
Una strada in salita. Ma nella fresca sera di Ankara adesso è il momento della festa. Un successo personale enorme per un leader tanto carismatico quanto odiato dagli avversari. Ex giocatore di calcio, ex esponente di una formazione islamica radicale, ex sindaco di Istanbul, oggi Erdogan è il capo indiscusso e finora senza eredi di questo partito, una sorta di Democrazia cristiana turca, che nel 2002 ha ottenuto il 34 per cento dei voti, nel 2007 ha doppiato il successo salendo al 47, e ora ha quasi sfondato un nuovo limite raggiungendo il 49,9 dei consensi.
Ma Giustizia e sviluppo è rimasta ben lontana dal sogno di ottenere addirittura 367 seggi, cioè i due terzi dell´Assemblea necessari per riformare la Carta. E i desideri del premier turco si sono scontrati con la realtà di altre due compagini che in Parlamento sono riuscite a mantenere salde le proprie posizioni.
Ha guadagnato punti il partito socialdemocratico (Chp), arrivando al 25,9 per cento. Quello di ieri era un test fondamentale per una formazione in passato spesso criticata in Europa per le istanze nazionaliste che proponeva, pur definendosi di sinistra. Colpito da uno scandalo sessuale il leader che aveva ottenuto solo sconfitte (Deniz Baykal), il partito fondato da Ataturk lo scorso anno è passato nelle mani di Kemal Kilicdaroglu. Forse non un leader naturale, ma un uomo pulito che ha riportato il gruppo nell´alveo delle istanze originarie. Gli elettori lo hanno capito e premiato.
Gioisce anche il Partito di azione nazionalista (Mhp). La formazione erede dei vecchi Lupi grigi, che indossando il doppiopetto sta ora cercando di lasciare i propositi più radicali, ha ottenuto un inatteso 13 per cento. Un risultato ben al di sopra dello sbarramento altissimo per entrare al Parlamento di Ankara, che è del 10%. Il suo leader, Devlet Bahceli, promette di rendere la vita difficile a Erdogan, accusato di aver voluto sporcare l´immagine del partito facendo fabbricare scandali sessuali contro alcuni suoi esponenti, nel tentativo di indebolire la formazione di centro destra ed erodergli voti.
Spazio anche ai candidati indipendenti, e a ben 35 deputati curdi i quali, presentandosi individualmente, hanno così trovato la strada per avere voce in Parlamento.
Il successo premia in ogni caso il buon governo di Erdogan. Che in 9 anni ha dato alla Turchia stabilità, sicurezza economica, e garantito sanità, scuole e lavoro. Ora occorre vedere come si comporterà il premier nel richiedere le modifiche costituzionali.
Dovrà frenare la sua nota insofferenza verso la mediazione, e negoziare con i leader degli altri partiti. Dovrà fare anche ripartire il Paese per colmare le riforme che mancano. Il commentatore Hugh Pope, autore di tre libri sulla Turchia e sulla regione circostante, analista dell´International Crisis Group, ha fissato un intelligente piano in 10 punti. Eccoli, in estrema sintesi, secondo il suo ordine: «Rilanciare il processo di ingresso in Europa. Aggiustare la questione di Cipro. Applicare la riforme. Risolvere il problema curdo. Sostenere l´impegno della Turchia in Medio Oriente. Normalizzare la rottura con Israele.
Normalizzare le relazioni con l´Armenia. Terminare la disputa sul Mar Egeo con la Grecia. Investire nel miglioramento di questioni interne come la giustizia, la scuola, le donne, la libertà d´espressione. Ampliare la partecipazione democratica». Solo così Erdogan potrà arrivare alla meta agognata, quella del 2023, presentandosi al Paese, e al mondo, come il secondo padre della patria.
V - Nella Turchia felix che sceglie Erdogan. "Addio Europa, facciamo da soli"
26/06/2011, La Repubblica, Marco Ansaldo
ISTANBUL - «Tu, tu, Istanbul, amo te, mi fai impazzire». Le allegre e ritmate note dell´ultimo successo di Sertab Erener, bionda cantante già vincitrice dell´Eurofestival, inseguono il visitatore nei vicoli del quartiere di Beyoglu. Tra un club di musica rock e un negozio di mappe su Costantinopoli, bisogna farsi largo tra una folla indistinta e colorata. Seduti fianco a fianco, turisti stranieri e cittadini istanbulioti consumano scambiandosi, nei cento ristorantini all´aperto, piatti speziati a base di pesce. Poi brindano insieme, e guardandosi negli occhi (sennò è tradimento), incrociano i loro calici colmi di rakì, il liquore d´anice che è la bevanda nazionale. «Sherefè!». All´onore.
Cin cin, Turchia. Viaggiatori e cittadini celebrano il tuo boom. Un Paese ormai diverso dall´immaginario di quelli che rimangono a casa e che non sanno. Al ritmo forte della musica si sale un po´ più su, fino a Istiklal Caddesi, via dell´Indipendenza, centro della metropoli. Nella sera profumata il tramvai rosso che scarrozza i turisti, con i mocciosi attaccati ai tiranti, ha aggiunto un vagone in più: e un´orchestrina jazz, con piatti e banjo, allieta il cammino dei viandanti. Da un negozio un gelataio col fez in testa chiama i bambini e offre loro prelibate palline con uno ricciolo di cioccolato che sembra non finire mai. Dalla parte opposta, sulla discesa che porta alla Torre di Galata, hanno rifatto il selciato, e negli edifici ristrutturati gli italiani ricchi prendono casa all´ultimo piano, quello con vista sul Bosforo.
Turchia felix. L´altro giorno un rapporto del think tank ECFR, Consiglio europeo sulle relazioni estere, riuniva nove saggi di esperti. E la conclusione, a chiare lettere, è: «La Turchia non è più il Paese che l´Occidente conosceva un tempo». Scrive nell´introduzione uno degli analisti, Dimitar Bechev: «Ankara non sta più bussando impetuosamente alle porte dell´Unione Europea, ma ha costruito una politica su più vettori. I legami con la Russia si sono rafforzati. Le imprese turche si stanno facendo largo in posti lontani come Africa e America Latina. La Turchia ora è un attore, un polo economico, e forse un aspirante egemone della regione - oppure un "fattore d´ordine". Il paradosso è che nel corso del processo il Paese è diventato simile a noi: globalizzato, con libero mercato, e democratico».
Ma il miracolo del Bosforo non riguarda solo la spinta della diplomazia e della politica estera. Lo sviluppo dell´economia (la sedicesima al mondo, la sesta in Europa!), l´abbattimento dell´inflazione, l´aggiustamento della disoccupazione, si toccano con mano pure lontano da Istanbul. Non solo sulla costa occidentale, in città come Smirne e Bursa, tradizionalmente vicine al partito socialdemocratico uscito rafforzato dal voto di domenica. Ma anche nei centri più interni, giù fino alla Cappadocia. Città come Eskishehir, Gaziantep, Konya, Kayseri, Yozgat, e cento altre, le tigri dell´Anatolia, sono un serbatoio di voti e di interessi commerciali formidabili nelle mani delle congreghe religiose che hanno consegnato metà del Paese (49,9 per cento dei consensi) al Partito giustizia e sviluppo del premier Recep Tayyip Erdogan. E ognuno di questi posti lontani è ordinato, laborioso, rispettoso dell´ambiente.
La parola d´ordine è la cultura del servizio. Nei ristoranti i camerieri non bofonchiano annoiati e irritanti, ma circondano il cliente di attenzioni. I barbieri, di estrazione militare, fanno la barba con tre colpi. E nei bagni turchi gli inservienti ti lavano e ti strizzano come nemmeno tua madre ha mai fatto.
Sull´autobus che collega il Paese da Kayseri ad Ankara, e da qui a Istanbul - come gli altri mille che attraversano la Cilicia e il Sud est curdo, il Mar Nero e le lande della Cukurova - lo steward magro che si aggira fra i sedili portando in equilibrio tè e pasticcini per i viaggiatori assetati, sembra un ballerino di scena tanto è agile nei movimenti e pronto alle cadute per qualche improvviso scossone. La compagnia aerea di bandiera - un tempo presa in giro dai connazionali che traducevano la sigla Turk Hava Yollari in "They hate you" (loro ti odiano) - è diventata secondo i dati specializzati una delle primissime aviazioni commerciali al mondo. Servizio di lusso a bordo, una flotta che continua a crescere, rotte e destinazioni sempre nuove.
Ma è la cultura a fare premio su tutto. Non meno di trenta università, fra pubbliche e private, rivaleggiano disputandosi i professori migliori. E ora dall´America gli studenti tornano nei campus che si affacciano sul Bosforo. Gallerie d´arte nascono ovunque, e gli artisti fanno a gara per esporre al nuovo Museo d´arte moderna. I registi, da Ferzan Ozpetek a Fatih Akin, da Nuri Bilge Ceylan a Semih Kaplanoglu, sbancano i festival del cinema, da Cannes a Berlino. E ovunque la cinematografia turca commuove e appassiona per intensità e delicatezza. Per non parlare della cucina e della qualità della vita. La gente è fiduciosa. Lavora e si diverte. Non stupisce allora se i lettori del Financial Times hanno appena eletto, fra tutte le città del mondo, Istanbul come la «preferita, vivibile e amabile».
Qui ora si respira un´aria diversa. Il Paese è cambiato. Quanto è lontano da quello in bianco e nero, perennemente sconfitto, «il malato d´Europa» descritto dai suoi scrittori più celebrati. I nodi da sciogliere certo rimangono. Sia quelli interni: libertà di espressione, diritti umani, tutela delle minoranze; sia quelli esterni: Cipro e Armenia, innanzitutto. Ma nelle urne, insieme alla scheda, l´altro giorno i turchi hanno depositato anche la loro speranza. Per un voto che si è concentrato su pochi partiti. E tutti hanno vinto, per motivi diversi: islamici, socialdemocratici, lupi grigi, curdi. E´ proprio vero. La Turchia, oggi, è un Paese felice.

Nessun commento:

Posta un commento