martedì 21 giugno 2011

FINO A QUANDO LA COMUNITA' INTERNAZIONALE CHIUDERA' GLI OCCHI SUI MASSACRI DI SIRIA

Siria, Assad non si piega "Complotto contro di noi nessun accordo con i sabotatori"

BEIRUT - Nessun accordo è possibile con i «sabotatori» e i «banditi armati», che sfruttano per i loro fini la buona fede dei siriani, ma, con gli altri, i dimostranti che «avanzano richieste legittime», il «dialogo nazionale» non soltanto s´intensificherà, ma produrrà le tanto auspicate riforme in pochi mesi. Nel frattempo, i cittadini del Nord della Siria, che sono fuggiti (oltre diecimila), o stanno cercando di fuggire (altri diecimila) nella vicina Turchia possono tornare a casa, perché non è vero, come dicono i media, che l´esercito è stato mandato lì per tagliare loro la strada della salvezza, o per vendicarsi delle violenze esplose a Jisr al Shugur, ma «per proteggerli». Parola di Bashar el Assad.
E´ apparso teso e stanco, il quarantacinquenne presidente siriano, durante il discorso di un´ora e 20 minuti - il terzo da quando è esplosa la protesta, a metà marzo - fatto ieri davanti ad una folla di invitati dall´ovazione facile, nell´aula magna dell´Università di Damasco. I distillatori più attenti del verbo del leader siriano hanno colto alcune differenze degne di nota rispetto ai precedenti interventi, ma non una vera svolta, una proposta coraggiosa e dirompente, diretta a soddisfare se non tutte, almeno in parte, le richieste avanzate dai dimostranti. La risposta degli oppositori, di conseguenza, si può riassumere così: proposta non ricevibile. Manifestazioni, seppur di portata limitata, si sono avute ad Homs, Latakia, Aleppo e in qualche quartiere di Damasco con slogan di scorno spesso trascendenti nell´insulto («Bugiardo! Bugiardo»).
In sostanza, neanche stavolta Bashar el Assad ha potuto fare a meno di evocare la teoria del complotto contro la Siria. Un complotto fomentato da oscuri ambienti internazionali e gestito sul terreno da una minoranza di «sabotatori» che hanno sequestrato per i loro loschi fini le legittime richieste della gente. I quali sabotatori, assicura il presidente siriano, sarebbero in possesso di armi e mezzi (di telefonia) ultra moderni.
Tuttavia, stavolta, contrariamente ai precedenti discorsi, Assad non si è nascosto la profondità della crisi e le sue implicazioni più gravi (tra cui ha citato il rischio che il sistema economico crolli). E poiché in gioco è il futuro della Siria, ecco allora la necessità di seguire la via delle riforme e del «dialogo nazionale». Dialogo che dovrà realizzarsi nell´ambito di un comitato di oltre cento persone, di cui s´ignora chi sarà chiamato a far parte, che avranno il compito di valutare e raccomandare al nuovo parlamento che dovrebbe essere eletto in agosto le proposte per cambiare il sistema politico e la stessa costituzione. E´ del tutto evidente che Assad si propone come l´unica fonte istituzionale in grado di garantire e portare a compimento questo cambiamento epocale.
Ma l´enfasi con cui Assad ha un po´ semplicisticamente descritto la sua «road map» verso una nuova Siria, contrasta fortemente con le critiche dei dissidenti. Uno di questi oppositori, il difensore dei diritti umani Walid al Bunni, liberato poche settimane fa dopo cinque anni di carcere, ha quasi schernito il discorso: «Il regime - ha detto - chiama sabotatori i dimostranti, ma non ha ancora realizzato che in Siria è in corso una rivolta popolare per la libertà e la dignità della persona». Anche quegli osservatori disposti ad entrare nel merito delle proposte di Assad, come l´analista libanese Osama Safa, hanno finito con il dare un giudizio del discorso che equivale ad una bocciatura: «Troppo poco e troppo tardi». La rivoluzione, in sintesi, continuerà, fanno sapere i dimostranti.
«Delusione» anche a livello internazionale. Le parole di Assad hanno convinto l´Unione Europea a cercare un inasprimento delle sanzioni contro il regime con l´obbiettivo di realizzare un cambiamento al vertice.


Assad, linea dura contro i sabotatori

Assad: linea dura contro 1 sabotatori Il leader di Damasco-promette riforme. Ma gli oppositori: bugiardo Il terzo discorso in tre mesi di rivolta dura settanta minuti, con sei bandiere siriane alle spalle e davanti i notabili dell`università di Damasco, dove Bashar Assad ha studiato medicina. La lezione del chirurgo oculista diventato presidente recupera i termini medici: è tutta colpa dei «germi - proclama - che hanno infettato il Paese. «Germi» e «sabotatori» che- starebbero sfruttando le «legittime aspirazioni» del popolo. A quelle richieste - dice - può rispondere solo lui, con le riforme che ancora una volta promette. 

«Siamo noi a dover risolvere il problema. Modificheremo la legge sui partiti politici e quella elettorale per poi dare inizio al dialogo nazionale. 

Ma non discuteremo nel caos con chi è armato e uccide». 

Entro settembre - è l`unica data a venire annunciata - il nuovo sistema dovrebbe essere pronto e permettere il voto aperto a formazioni diverse dal Baath, che domina da quarant`anni (la Costituzione lo definisce il «partito guida della società e dello Stato»). 

Se sarà necessario, le elezioni parlamentari di agosto verranno rinviate in attesa delle proposte di legge. 

Gli oppositori respingono le poche aperture del leader: 
«Non ha presentato le tappe che dovrebbero garantire la -transizione dalla dittatura alla democrazia», commenta Hassan Abdul-Azim all`agenzia Associated Press. Alla fine del discorso, cortei si sarebbero formati a Latalcia, la città portuale sulla costa, e alla periferia di Damasco. I manifestanti avrebbero gridato «Bugiardo, bugiardo». «L`intervento di Assad è costruito sulle promesse e nessuno in strada si fida più del governo», replica Louay Hussein, tra i capi dei dissidenti, al New York Times. E` dal 2oo5 che il governo discute della riforma del sistema elettorale. 
Troppo tardi e troppo poco anche per gli americani («a questo punto vogliamo fatti e non parole», commenta una portavoce del Dipartimento di Stato) e per gli europei che preparano nuove sanzioni contro il regime. «Assad ha pronunciato le stesse frasi usate da Muammar Gheddafi», dice Franco Frattini, ministro degli Esteri italiano. «E` stato il discorso di una persona incapace di imparare», accusa il tedesco Guido Westerwelle. 
Pure la Turchia, alleata e vicina delusa, critica il leader che con la repressione ha spinto dentro i suoi confini quasi undicimila profughi. 
«Non è abbastanza - dice il presidente Abullah Gul -. La Siria deve aprirsi a un sistema libero, con più partiti». 
Agli esuli dall`altra parte della frontiera si è rivolto Assad: 
«Vi fanno credere che lo Stato si vendicherà di voi, non è vero. Tornate a casa». 
L`esercito ha trasportato ieri un gruppo di giornalisti locali nelle campagne attorno a Jisr al-Shugur, la città da dove sono fuggiti la maggior parte dei siriani accolti nei campi allestiti da Ankara. Gli ufficiali hanno mostrato una fossa comune con ventinove corpi, poliziotti e soldati uccisi dagli insorti, secondo il regime. 
Opera dei «sabotatori» nelle parole del presidente: «Un piccolo gruppo di estremisti che vogliono la distruzione in nome delle riforme e diffondono il caos in nome della libertà. E` un complotto, ma ne usciremo rafforzati. Daremo la caccia a questi fondamentalisti». 
La ribellione ha colpito dentro al circolo che attornia la famiglia al potere. Rami Malchlouf, cugino di Bashar, sarebbe stato costretto a lasciare l`impero imprenditoriale costruito attraverso la proprietà di Syriatel, il più grande operatore di telefonia mobile del Paese. Rami ha promesso di devolvere i miliardi di dollari accumulati in beneficenza e strutture che creino posti di lavoro. 
Soprannominato Mister Five, per quel cinque per cento in mazzette che esigerebbe ad ogni affare, durante le manifestazioni è stato il più bersagliato dagli slogan dei dimostranti. 
«Il regime combatterà fino alla fine. Se affondiamo, non lo faremo da soli», aveva detto al New York Times. 
Per ora, il regime avrebbe scelto di sacrificarlo per restare ancora un pò a galla. L`inizio Le prime proteste risalgono al 26 gennaio, quando un manifestante si dà fuoco a Damasco. 
Dopo l`arresto di 15 adolescenti per graffiti anti-regime ametà marzo, le rivolte si intensificano e si diffondono nelle principali città Repressione Nonostante la dura repressione, la protesta non si arresta neanche dopo l`abolizione dello stato d`emergenza, il 21 aprile. Oltre mille i morti in 3 mesi L`emergenza Sono 13 mila i profughi siriani: 10 mila accolti in 5 campi turchi e 3 mila in Libano Promesse Ieri Assad ha promesso una nuova legge elettorale, un impegno a sradicare la corruzione e la modifica della Costituzione.


Le prime proteste registrate in Siria risalgono al 26 Gennaio, quando, così come è avvenuto a Tunisi, un manifestato si è dato fuoco a Damasco. Dopo l'arresto di 15 adolescenti per aver fatto dei graffiti anti-regime a metà Marzo, con inevitabile corollario di pestaggio e torture, le rivolte si sono intensificate e si sono diffuse nelle principali città: Dama, Latikia, Hons e infine Damasco.
Nonostante la dura repressione la protesta non si è arrestata neppure dopo che Assad ha solennemente promesso in una seduta dello pseudo parlamento l'abolizione dello stato d'emergenza in vigore da 30 anni. La rivolta si è allargata e fa registrare oggi un tragico bilancio: ben oltre i 1000 morti in tre mesi; 13 mila profughi, di cui 10 mila accolti in campi turchi e 3000 in Libano. Ieri Assad ha promesso per la terza volta una nuova legge elettorale, un impegno a sradicare la corruzione  e a modificare la costituzione. Non si capisce perché questa dovrebbe essere la volta buona.

In coincidenza con ogni massacro l'Unione Europea e il governo americano si sono turnati nell'invocare l'inasprimento delle sanzioni contro la Siria (quali?); nello stesso arco di tempo di fronte ai massacri di Gheddafi la stessa Unione Europea, la NATO, e in tono minore gli USA, hanno coinvolto la NATO in bombardamenti sempre più intensi sulla Libia, l'assemblea generale dell'ONU ha dichiarato Gheddafi fuorilegge internazionale e la corte internazionale sta deliberando di spiccare contro di lui un mandato di cattura per crimini di guerra e per delitti contro l'umanità.
E' lecito chiedersi, a questo punto, quali siano i motivi di fondo di un comportamento tanto diverso delle forze internazionali di fronte ad atteggiamenti delittuosi in tutto simili.
Cerchiamo di fornirne un sintetico quadro:
I - La Siria non possiede una goccia di petrolio, mentre la Libia, come è noto, ne è il terzo produttore mondiale. L'esperienza insegna che la coscienza umanitaria dell'occidente subisce un irresistibile fascino quando sente odore di "greggio": nel caso libico, la Francia ha battuto tutto sulle linee di partenza.
II - Mentre la Libia è uno stato per modo di dire (c'è del vero nell'affermazione di Gheddafi quando sostiene che la Libia è in gran parte una sua creatura, e probabilmente è anche vero che per questo motivo una non piccola parte dei libici si identifica con le sue mattane da tiranno senza paura). La Siria, anche se è un complicato mosaico di etnie, fedi religiose, persino lingue, ha una sua identità storico-politica antica e gloriosa: Damasco è stata la prima splendida sede del califfato Omayyade, e l'intero territorio è ricco di centri e di tradizioni culturali. Purtroppo la sua debolezza politica l'ha fatta cadere in mano a una ferrea dittatura sostenuta da una esigua minoranza religiosa che ha nell'Iran sciita il suo grande protettore. Vi è stato un giornalista di quelli che pretendono di sapere tutto che la minoranza Alawita al potere ha in Teheran il suo Vaticano, mentre la maggioranza sciita avrebbe come Vaticano niente di meno che l'Arabia Saudita. E' difficile dare un voto a una scemenza di questo genere.
III - Perpetuare i guai interni della Siria significa assicurare un congruo fronte di sicurezze militari al "cocco di mamma", e cioè, tanto per cambiare a Israele. Non va trascurato che in Siria una radicata opposizione politica, oltre a quella sunnita esiste, ed è costituita da quell'entità di fronte alla quale l'occidente ne inventa di ogni tipo. Parliamo, come ovvio, dei Fratelli Musulmani.
Nel quasi silenzio dell'opinione pubblica di gran parte dei paesi arabi fortunatamente il popolo siriano sembra aver trovato un potente protettore di sicuro avvenire, che non è ne fondamentalista, ne islamista ma semplicemente musulmano: parliamo di quella che prima o poi tornerà ad essere la grande speranza dell'intero mondo islamico e cioè della Turchia.
I giovani siriani che si fanno uccidere affrontando disarmati gli sgherri di Assad sono consapevoli di avere con loro la stessa grande forza: Allah-U-Akbar, Dio è il più Grande.

P.S: è di oggi la notizia che nel suo esilio in Arabia Saudita l'ex dittatore tunisino Ben Alì è stato condannato da un tribunale del suo paese a 35 anni di galera.

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