lunedì 6 giugno 2011

ATTUALITA' - ANCORA ISRAELE..

Approfittando della situazione di marasma sanguinoso in cui da mesi si trova la Siria e del quadro complessivo di incertezza che caratterizza i paesi arabi, ancora agitati dai postumi dei processi rivoluzionari avviati, lo stato di Israele parte in quarta a riprendere la sua usuale politica sanguinaria di massacri, in questo caso contro i profughi palestinesi che attendono da decenni di poter riprendere possesso delle loro case delle alture del Golan. Gli articoli che pubblichiamo si pongono direttamente o indirettamente il quesito di cosa voglia lo stato sionista e di cosa abbia in mente il primo ministro Netanyahu. Non occorre molto acume politico per dare una risposta.
Come sempre la finalità ultima dei governanti israeliani è la distruzione di ogni possibilità di nascita di uno stato palestinese. In questo i dirigenti israeliani sono compatti. Da Netanyahu a Shimon Peres, tutta la Palestina deve diventare territorio dello stato ebraico.





La Repubblica, 06/06/2011, Fabio Scuto


I - Israele, scontri ai confini con il Golan, i soldati sparano: uccisi 20 palestinesi
Fuoco contro i manifestanti nel giorno della "Naqsa". E in Siria 25
vittime. Nella giornata della Naqsa in molti hanno cercato di
scavalcare il filo spinato. Dopo gli avvisi e i lacrimogeni, i soldati
hanno iniziato a sparare ad altezza d´uomo
      
GERUSALEMME - Ancora quando calava  l´imbrunire con le bandiere siriane e palestinesi fra
le mani,  continuavano a cercare di scavalcare il filo spinato che delimita sulle  alture del Golan
la linea del cessate-il-fuoco del 1973 fra Israele e  Siria, quasi incuranti della pioggia di
pallottole dei soldati  israeliani che cercavano di tenerli lontani dalla frontiera. Alla fine  della
giornata della Naqsa - il "disastro", che ricorda l´anniversario  della guerra dei Sei Giorni del
1967 e la sconfitta degli eserciti arabi  - si sono contati 20 morti e 225 feriti soltanto sulle alture
del  Golan, stando a un bilancio della tv siriana. Bloccate sul nascere  invece dall´esercito
libanese analoghe manifestazioni lungo la frontiera  con Israele con un notevole spiegamento di
forze che ha impedito ai  manifestanti di raggiungere il confine, decine di feriti nella 
Cisgiordania occupata in scontri che sono scoppiati al check-point di  Kalandia sulla strada fra
Ramallah e Gerusalemme. Gli incidenti più  gravi sono stati certamente quelli sulle alture occupate del Golan dove i  militari sono stati impegnati a respingere decine di tentativi dei  dimostranti arabi di superare i reticolati
nei pressi di Majdal Shams e  Quneitra. Prima sono stati sparati gas lacrimogeni, abbastanza 
inefficaci in un´area aperta e ventilata come le colline del Golan, poi  le truppe dello Stato
ebraico di guardia sulle alture strappate a  Damasco durante la Guerra dei Sei Giorni e annesse
unilateralmente nel  1981, hanno aperto il fuoco all´indirizzo di centinaia di manifestanti 
filo-palestinesi. «Chiunque cercherà di attraversare il confine sarà  ucciso», urlavano i militari
israeliani con l´ausilio dei megafoni  all´indirizzo di coloro che cercavano di superare la barriera.
Dalla  parte palestinese sono state lanciate delle bottiglie molotov. Sono  esplose anche quattro
mine, delle migliaia di cui è disseminato il  Golan, in prossimità dei dimostranti che cercavano di
raggiungere da  Quneitra le vicine postazioni militari israeliane. All´origine di queste  esplosioni
gli incendi che si sono sviluppati nella zona in seguito al  lancio di bottiglie molotov. 
Dall´alba in Israele le forze di  sicurezza erano in stato di massima allerta per le dimostrazioni 
convocate da diversi movimenti radicali in occasione del 44esimo  anniversario dell´inizio del
conflitto del ‘67: tra le zone piu´  "sensibili" ci sono proprio le alture del Golan, la Cisgiordania e
Gaza.  Nella Striscia sono state organizzate manifestazioni in ricordo della  Naqsa, ma reparti di
Hamas hanno impedito ai dimostranti di raggiungere  il valico di Erez, la porta di accesso ad
Israele. Incidenti anche in  Cisgiordania, al valico di Kalandia, fra Ramallah e Gerusalemme,
cortei  palestinesi di protesta a Hebron e presso la colonia ebraica di Elon  Moreh, vicino
Nablus. Uno scenario che si è ripetuto esattamente come un  mese fa, nel 63mo anniversario
della nascita dello Stato di Israele che  per i palestinesi è la Naqba, la "catastrofe", e allora
furono uccisi  quindici civili fra Libano e Siria.
Ieri mentre il dispositivo  militare libanese alla frontiera per tenere lontano di dimostranti è  stato
efficace, quello siriano è stato inesistente, quasi una mossa  strategica del regime di Damasco 
per allontanare per qualche ora  l´attenzione internazionale sulla strage di civili che va avanti
senza  sosta da nove settimane nella repressione delle proteste contro il  presidente Bashar
Assad. Dopo la strage di venerdì scorso nelle strade  di Hama è stato indetto uno sciopero
generale di tre giorni, ai funerali  delle 48 vittime della repressione in città sabato scorso hanno 
partecipato oltre centomila persone. L´assedio prosegue invece - con 25  morti nel giro di 24
ore, compresi sei agenti delle forze di sicurezza -  a Jisr ash-Shugur, nella Siria
nord-occidentale, dove unità speciali  della polizia in assetto anti-sommossa hanno aperto a più
riprese il  fuoco sui dimostranti che stavano partecipando a cortei di protesta.




La Repubblica, 06/06/2011, MICHAEL WALZER


II - L'enigma di Netanyahu

Quelle domande sulla pace che vorrei fare a Netanyhau
Il premier vede il ritiro dai Territori come una concessione troppo importante così porta Israele verso la condizione di "parìa" della comunità internazionale.
Da circa trent´anni vado regolarmente in Israele, e ogni volta mi ritrovo a parlare quasi sempre di politica. Eppure ho difficoltà a capire la proposta lanciata da Barack Obama. La novità introdotta dal presidente degli Stati Uniti non è il riferimento ai confini del 1967 bensì affrontare subito la questione dei confini e della sicurezza e rimandare quella dei rifugiati palestinesi e dello status di Gerusalemme.
Per gli israeliani di sinistra (i miei amici), convinti che Israele abbia tutto da guadagnare da un ritiro dai Territori e che tale strategia risponda a una necessità impellente più per gli ebrei che per gli arabi, è un discorso sensato. Non lo è affatto, invece, per Netanyahu e i suoi alleati, che vedono il ritiro come una concessione troppo importante, per la quale probabilmente non sono ancora pronti (né lo saranno mai, a meno che non serva a chiudere definitivamente il conflitto con i palestinesi). Questi ultimi, in altre parole, dovrebbero rinunciare al diritto al ritorno in cambio del ritiro israeliano dalla Cisgiordania. Ma questa eventualità è altamente improbabile e, purtroppo, Obama ha come interlocutore la destra israeliana, non la sinistra. La reazione alle sue proposte, dunque, era prevedibile.
Eppure, Netanyahu avrebbe potuto rispondere diversamente alle dichiarazioni del presidente Usa. Avrebbe potuto accogliere con favore il rifiuto di una proclamazione unilaterale dello Stato palestinese, la promessa che Israele non resterà isolato nell´ambito delle Nazioni Unite, l´invito ad Hamas affinché accetti Israele e rinunci al terrorismo, l´obiettivo di una Palestina demilitarizzata e la richiesta del riconoscimento di Israele come Stato ebraico. Infine, avrebbe potuto semplicemente riconoscere che vi sono ancora dei punti di disaccordo da chiarire circa i confini, gli insediamenti e l´ordine nel quale affrontare le questioni più spinose.
Perché Netanyahu si è impuntato sul passaggio relativo ai confini del ´67 e ha acceso uno scontro? La risposta è molto semplice: il processo di pace non gli interessa (non crede neppure che esista) e pensa solo alla sua posizione politica in patria. Ma non c´è solo questo. Non ho grande stima di Netanyahu, ma un primo ministro israeliano dovrebbe avere un progetto per il futuro del suo paese (e non solo per la propria carriera). Che cosa ne pensa della deriva di Israele verso la condizione di parìa della comunità internazionale, della crescita in molti paesi dei movimenti di boicottaggio, dell´eventualità che l´Assemblea generale delle Nazioni Unite riconosca uno Stato palestinese (come ha fatto molti anni fa con quello israeliano), e della possibilità che i palestinesi organizzino proteste pacifiche su larga scala (qualcosa che Israele non ha mai dovuto affrontare in passato)? La mia impressione è che Netanyahu stia camminando a occhi chiusi verso la rovina. Dovrebbe sapere che le standing ovation a Washington non servono a proteggere il popolo che egli dice di rappresentare. Non capisco che cosa abbia in mente.
I leader palestinesi accoglierebbero con favore il ritiro di Israele dalla Cisgiordania, ma non sono assolutamente pronti a chiudere il conflitto. Nessuno di loro ha mai manifestato la disponibilità a rinunciare al diritto al ritorno dei profughi. Non sono abbastanza forti da poter compiere una scelta del genere, ma ho il sospetto che non ne abbiano neppure la volontà. Il loro obiettivo strategico è – temo – sempre lo stesso: la creazione di uno Stato palestinese accanto a uno Stato ebraico che non riconoscono e verso il quale nutrono ostilità. Sul piano tattico, tuttavia, sono state introdotte alcune novità. Seguendo un percorso a ritroso, hanno fatto ricorso prima alla violenza e al terrore, poi a proteste pacifiche. Se avessero proceduto nell´ordine inverso, oggi avrebbero già un loro Stato.
Il prossimo settembre, tuttavia, quando le Nazioni Unite avranno riconosciuto il loro Stato, marceranno in migliaia oltre i confini del 1967 – da Nablus, per esempio, fino ai vicini insediamenti e basi militari – per affermare la propria sovranità e integrità territoriale. E a quel punto che farà Israele? Gran parte della destra israeliana preferirebbe quasi sicuramente una nuova campagna terroristica, che farebbe passare i palestinesi ancora una volta dalla parte del torto. È un esito certamente possibile, ma – ecco la novità inattesa – meno probabile di una protesta pacifica.
Obama ha cercato di aiutare Netanyahu a evitare o posticipare il voto alle Nazioni Unite, per dare a Israele la possibilità di convertire la proclamazione dello Stato di Palestina in un progetto congiunto dei due popoli. Quali che siano le possibilità di successo, l´avvio di seri negoziati sui confini israeliani è un´esigenza fondamentale, e l´ostinato rifiuto di Netanyahu mi sembra una scelta folle. Non inaspettata, ma pur sempre folle. La speranza è che qualcuno alla Casa Bianca abbia un´idea sui prossimi passi da compiere.





Corriere della Sera, 06/06/2011, Battistini Francesco


III - Tentano di forzare il confine siriano, Israele spara. Venti palestinesi uccisi
Tentano di forzare il confine siriano Israele spara. «Venti palestinesi uccisi» La denuncia di Damasco. Gli Usa: «Profondamente inquieti» GERUSALEMME - La promessa era: spareremo. «Si rischiano altri morti», aveva detto mercoledì l`Onu. «In casi eccezionali, siamo pronti anche a mandare truppe dentro la Siria», aveva avvertito giovedì il premier Bibi Netanyahu. < Non ci faremo più sorprendere», aveva ripetuto venerdì il capo dell`esercito, Benny Gantz.  «L`ordine è di tirare su chiunque tenti d`attraversare il confine», aveva ribadito sabato sera la radio militare. Ieri mattina, Naksa Day, la giornata che ricorda la sconfitta araba nella guerra dei Sei giorni, non appena centinaia di palestinesi e di siriani sono arrivati alla frontiera di Majdal Shams - quella che avevano già sfondato per celebrare il Nakba Day, 15 maggio, la data che commemora la «catastrofe» dei palestinesi esiliati nel 1948 -, dagli altoparlanti del Golan occupato, ecco l`ultimo altolà: «Chi ci prova, sarà ucciso!». Qualcuno ci ha provato: a tirare giù le barriere rinforzate, a superare le nuove trincee e i campi minati di fresco. I cecchini hanno cominciato subito: a tirare. «Alle gambe», dicono gli israeliani. «Alla testa», risponde Damasco.
Due tentativi d`entrare, il più massiccio nel pomeriggio a Quneitra. Lacrimogeni e molotov.  

Nessun dimostrante armato.  

Mine che esplodevano, «i soldati che sembrava facessero il tiro al tacchino», racconta un coltivatore di mele, Fuad al-Shaar. Un`altra domenica di sangue. Con una sparatoria di cifre: 20 morti, nella contabilità siriana, compresi una donna e un bambino, e poi 325 feriti.  

Venti feriti, a sentire Gerusalemme, e il bambino che sarebbe caduto da un balcone.  

Dalla Nakba alla Naksa. Una lettera cambia la storia che si ricorda, non la cronaca che si racconta. Venti giorni e quattordici morti dopo, la Giornata della Sconfitta è sicuramente diversa dalla Giornata della Catastrofe in due dettagli: che s`è provato a sfondare solo dalla Siria e che, stavolta, nessuno ce l`ha fatta. Un negoziato Onu fra esercito libanese e israeliano, lunedì scorso, aveva spinto il governo di Beirut a impedire una nuova marcia sul confine:  
per commemorare la Naksa, i 12 campi profughi si sono accontentati d`uno sciopero generale.  
Stesso accordo in Cisgiordania e a Rafah, il confine con Gaza che l`Egitto ha aperto una settimana fa e già richiuso, dopo la scoperta di palestinesi che importavano armi da Alessandria. Ma quando sul web era partito il nuovo tam tam che invitava anche i 500 mila palestinesi della Siria a muoversi «per una Terza intifada», dal regime di Assad era arrivato solo un generico invito a non marciare. Troppo poco, per fidarsi: esercito allertato, aveva spiegato il generale Gantz, «perché abbiamo imparato la lezione». La «provocazione di elementi estremisti» è evidente, dice ora Netanyahu, Damasco soffia sul fuoco di questa protesta per distogliere gli sguardi dagli oppositori che sta massacrando: ieri, in due città del nord della Siria, Jisr al-Shughour e Khan Sheikhoun, le forze di sicurezza siriane hanno fatto 35 morti.  
«Profondamente inquieti», si dicono anche da Washington, dove s`invitano le parti a non alzare il livello di scontro e a «evitare ogni provocazione».  
Da tre giorni, il Golan è zona militare chiusa. Chi ci abita, respira aria di guerra. Le scuole del lato israeliano, chiuse.  
Sulla «Collina delle Urla», il bordo siriano dove sono radunati i manifestanti, bivacchi e falò fino a notte. Non è finita:  
«Sulla scena mediorientale c`è un nuovo attore: la piazza dice il generale Gantz. Ci è chiaro che nei prossimi mesi saremo obbligati a fronteggiare altre dimostrazioni di massa.  
La nostra risposta sarà appropriata».  
Questione di mesi? Domani, è l`anniversario dell`occupazione di Gerusalemme Est. Un altro X Day, se continua la strategia dei compleanni di sangue.



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