martedì 7 giugno 2011

YEMEN

Di fronte all'estrema povertà dello Yemen, alla sua scarsezza di risorse e alla sua desolazione è difficile immaginare che gli antichi, a cominciare dai romani, chiamavano questa terra "Arabia Felix" con un'agricoltura fiorentissima e una rete commerciale ramificata in ogni direzione. Probabilmente fu una prolungata siccità e un profondo cambiamento climatico a determinare un vero e proprio cataclisma ambientale. Islamizzato fin dalla fine del VII secolo e governato alla meno peggio da una dinastia di emiri Zaiditi, cadde sotto l'influenza dell'impero ottomano fin dal XVI secolo, e la circostanza provocò una divisione di fatto dello Yemen perché il nord montagnoso rimase fedele agli emiri pur se continuamente lacerato da guerre inter-tribali, mentre il sud cadde sotto il controllo inglese che vi proclamò il protettorato sul porto di Aden (1839).
Dopo la caduta dell'impero ottomano nel 1818 lo Yemen del nord riacquistò la piena indipendenza sotto la dinastia Zaidita, e all'indomani della Seconda Guerra Mondiale l'Imam Ahmad avviò un timido processo di modernizzazione, culminato nel 1958 con l'adesione alla nasseriana repubblicana araba unita.
Nel 1962 morto Ahmad, vi subentrò il figlio Muhammad Al-Badr, subito rovesciato da un colpo di stato organizzato da un gruppo di ufficiali nasseriani che proclamarono la nascita della repubblica araba dello Yemen. Scoppiò allora una guerra civile tra forze monarchiche e repubblicane che si concluse nel 1967 con un accordo tra le parti e il consolidamento della repubblica. Si succedettero quindi vari governi militari l'ultimo dei quali fu guidato da Abdullah Saleh, che all'inizio degli anni 80' avviò un timido processo di democratizzazione.
Diversa fu l'evoluzione dello Yemen meridionale dove già dal 1959 era nata una federazione degli Emirati Arabi del Sud, grazie a una serie di trattati "burla" tra gli sceicchi locali e la Gran Bretagna. Nel 1967 gli inglesi si ritirarono e poco dopo una forza politica di ispirazione marxista, il Fronte di Liberazione Nazionale, conquistò il potere; nel paese diventato repubblica democratica popolare dello Yemen, fu istituito un regime politico a partito unico, il partito socialista dello Yemen. L'impronta marxista dell'esecutivo venne rafforzato nel 1971, quando il capo dello stato, Salem Robaye Alì, nominò primo ministro il comunista Alì Nasser Muhammad. La nuova repubblica manifestò subito l'aspirazione a unificare i "due Yemen" e diede origine a continui scontri di frontiera con lo Yemen del nord.
Nel 1978 si verificò una grave crisi politica in occasione dell'assassinio, ad opera di un emissario di Aden, del presidente nord yemenita Al Gachmi; anche il presidente Robaye venne ucciso. Intanto all'interno del partito socialista yemenita iniziò un braccio di ferro tra le correnti che si contendevano la supremazia e ciò innescò una breve e sanguinosa guerra civile. Dalla crisi uscì vincitore il primo ministro Haidar Abu Bakr Al-Attas che, nominato capo dello stato, sostenne risolutamente il processo di integrazione con lo Yemen del nord. Rimosse le barriere ideologiche nel 1989 Abu Bakr e il presidente del nord Alì Saleh procedettero all'unificazione dei due stati nel 1990.
La nuova costituzione riconobbe il Corano come fonte principale della legislazione ma legittimò il multi partitismo. La guida della repubblica fu affidata a un consiglio presidenziale presieduto da Alì Saleh affiancato con le funzioni di vice presidente dal segretario del partito socialista Al Salem Al-Raid.
Nel 1993 si tennero nel paese le prime elezioni multi partitiche, vinte dal partito del presidente Saleh, il congresso generale del popolo. Nel Maggio successivo il primo ministro Al-Attas diede vita a un governo di unità nazionale, con l'obiettivo di salvaguardare l'unità del paese di fronte alle numerose spinte centrifughe fomentate dal vicepresidente Al-Baid, che fece di Aden la sua roccaforte.
Nel paese vennero così a crearsi due gruppi dirigenti tra i quali la tensione crebbe fino a sfociare in una guerra civile tra nordisti e sudisti, acuitasi a seguito della proclamazione nel Maggio 1994 della secessione dello Yemen del sud, di cui Al-Baid assunse la presidenza.
Nel Luglio successivo le truppe nordiste conquistarono Aden, ristabilendo l'unità del paese. In seguito Saleh fu riconfermato alla presidenza e nominò primo ministro Abdelaziz Abd Al-Ghani. Questi diede vita a un governo di coalizione con il partito islamico "Al-Islah". Nel 1997 si tennero nuove elezioni legislative vinte dal congresso generale del popolo, che interruppe l'alleanza con gli islamici. Saleh nominò primo ministro Farai Said Ibn Ghanin che si dimise l'anno seguente. Nel Settembre 1999 Saleh fu rieletto presidente e cominciò ad instaurare una dittatura personale di fatto.
Nell'Ottobre del 2000 un gruppo di terroristi Kamikaze si lanciò con un'imbarcazione carica di esplosivi contro una nave da guerra statunitense nel porto di Aden: dietro la clamorosa aggressione si ipotizzò che vi fosse la mente di Osama Bin Laden, già ricercato dagli americani per gli attentati alle ambasciate USA di Nairobi e di Dar  Es-Saalam. Una serie di attentati ispirati da Al Qaeda provocò decine di vittime in occasione delle prime elezioni amministrative e del referendum che decideva la proroga del mandato presidenziale di Saleh. Continuavano intanto i rapimenti di turisti stranieri, rilasciati dopo il pagamento di riscatti, da parte di gruppi armati che si battevano contro le istituzione statali; ma Saleh seguitò imperturbabile ad esercitare il suo potere dittatoriale fino a quando alla fine del 2009 anche lo Yemen fu percorso dai moti di rivolta tipici del nord Africa.

I - Sana'a, quel miraggio medievale di case d'argilla e cupole bianche
C'è qualcosa di misterioso che prende alla gola il visitatore la prima volta che varca la soglia di Bab al Yemen, la porta che segna l'inizio della città vecchia di Sana'a. Qualcosa di magico, paragonabile solo alla sensazione che prova chi vede Venezia o Gerusalemme per la prima volta: la sensazione di trovarsi di fronte un'opera perfetta, un luogo baciato dagli dei, dove la mano dell'uomo è riuscita a esprimere tutta la bellezza di cui è capace e la storia è passata leggera, a voler conservare quel tesoro per chi arriverà dopo.
Un luogo di magia, un villaggio da presepe, con case antiche, finestre intarsiate e luci soffuse. Un posto dove il tempo si è fermato: questa è la vecchia Sana'a, teatro in queste ore, insieme al resto della città, degli scontri più sanguinosi che lo Yemen ricordi da 30 anni a questa parte. La maggior parte dei combattimenti non si svolgono direttamente nella zona delle case dipinte di bianco che costituiscono l'orgoglio della città, ma alcune di queste strutture sono fragili vecchie di centinaia di anni: non serve un colpo diretto per danneggiarle irrimediabilmente. A preservare questo patrimonio nei secoli e, si spera anche in queste ore, è stata la sua stessa struttura: un susseguirsi di vicoli sterrati, dove spesso le auto non riescono a passare e accedere ai servizi più elementari, compresa l'acqua corrente, non è sempre semplice.
È per questo che i nuovi ricchi yemeniti, quelli che per anni hanno appoggiato il presidente Saleh e oggi gli si rivoltano contro, non amano la città vecchia e per costruire le loro ville-fortezze hanno scelto la periferia, dove è facile erigere palazzoni circondati di mura come quelli assaltati in questi giorni.
Così la vecchia Sana'a è rimasta abbandonata a se stessa, figlia negletta di un Paese che ha scelto di dimenticare di possedere - e quindi di essere responsabile - del patrimonio artistico più prezioso dell'intera penisola arabica: «Il patrimonio artistico è a rischio in tutto lo Yemen - sottolinea Alessandra Avanzini, professore di Archeologia della penisola araba dell'università di Pisa, da 20 anni attiva nello Yemen - parliamo di un paese ricchissimo di arte, dove in questo caos possono verificarsi furti o danni irrimediabili».
Su Sana'a da anni l'Unesco lancia, inascoltata, appelli per la salvaguardia della città vecchia, strangolata dalla pressione demografica che spinge molte famiglie a costruire nuovi piani in cima alle vecchie abitazioni e dalla mancanza di un serio piano regolatore. Qualche mese fa l'ente ha anche minacciato di cancellarla dalla lista del Patrimonio mondiale dell'umanità: ma neanche questo è servito. Gli interventi di conservazione e restauro - in cui gli italiani, dai tempi di Pier Paolo Pasolini in avanti, sono sempre stati in prima fila - sono stati tardivi e sporadici.
Negli ultimi mesi sembrava che si fosse raggiunto il punto più basso, con i fondi diretti allo Yemen sempre più rivolti all'emergenza terrorismo e sempre meno alla conservazione: le cannonate di ieri hanno dimostrato che si può scendere ancora.


FRANCESCA CAFERRI



II - Yemen, assalto alla presidenza. Ferito Saleh: il paese nel Caos


04/06/2011, La Repubblica, NASSER ARRABYEE
SANA´A - Ali Abdullah Saleh, il contestato leader yemenita, è rimasto leggermente ferito alla testa ieri in un attacco a colpi di mortaio del palazzo presidenziale da parte dell´opposizione. A darne notizia è stato il suo portavoce. L´attacco ha spinto il paese ancor più sull´orlo di una guerra civile dopo mesi di forti agitazioni politiche. Il portavoce Abdel al-Jandi ha detto che Saleh era in una moschea interna al palazzo, scosso dalle esplosioni mentre stavano per iniziare le preghiere del venerdì.
Secondo l´ufficio stampa, almeno sei alti funzionari sono rimasti feriti, tra i quali il vice premier e il presidente del parlamento. Fra le vittime di quello che è stato definito «l´attacco a tradimento di una banda di fuorilegge», ci sarebbero tre guardie del corpo e l´imam della moschea: in tutto sette persone sono rimaste uccise, ha dichiarato più tardi in un messaggio audio alla tv yemenita lo stesso Saleh. Il presidente ha puntato il dito contro «nemici tribali» che «non hanno rispettato la tregua». L´attacco era stato sferrato in coincidenza con un grande raduno dei sostenitori di Saleh e ha scatenato violenti scontri nella zona sud della capitale Sana´a, risparmiata nelle prime due settimane di combattimenti tra le forze governative e i guerriglieri delle tribù d´opposizione.
Non è chiaro quale figura o quali figure dell´opposizione siano dietro a questo attacco a colpi di mortaio al palazzo presidenziale. Il governo ha ordinato un bombardamento sulla residenza di Hamid al-Ahmar, uno dei più importanti antagonisti tribali di Saleh e leader dell´opposizione. Un portavoce del fratello di Ahmar, Sadiq, ha negato che dietro l´attacco ci fossero uomini suoi o della sua famiglia, accusando il governo di aver inscenato tutto, per poter legittimare le ulteriori violenze contro i gruppi tribali. Questi ultimi, fedeli alla famiglia Ahmar, stanno combattendo le truppe governative nelle strade di Sanaa da oltre dieci giorni.
Saleh è al potere nello Yemen da 33 anni e per tutto questo tempo ha abilmente negoziato la difficile politica tribale del paese. Ma le proteste di piazza in Egitto e Tunisia che hanno rovesciato i tiranni da lungo tempo al potere in quei paesi hanno sconvolto l´ordine politico nazionale e da allora Saleh deve quotidianamente scontrarsi con sempre più energici richiami a lasciare il potere. I tentativi di destituirlo erano iniziati già a febbraio, con proteste pacifiche, ma avevano portato a una feroce repressione da parte del governo che aveva provocato la morte di oltre cento persone in tutto il paese. Alla fine del mese scorso, dopo che per la terza volta Saleh si era rimangiato la promessa di lasciare l´incarico, i guerriglieri tribali fedeli ad Ahmar hanno iniziato a scontrarsi con i soldati del governo.



III - Yemen, finisce l'era del Clan Saleh. Festa nelle strade, ma si combatte ancora



La gioia è esplosa nelle strade dello Yemen a metà mattinata, quando le voci che si rincorrevano dalla notte hanno trovato conferma ufficiale: dopo 33 anni di potere, 4 mesi di braccio di ferro con le centinaia di migliaia di yemeniti scesi in piazza per chiederne le dimissioni e 2 settimane di combattimenti con la famiglia rivale degli Al Ahmar, Ali Abdullah Saleh ha lasciato lo Yemen.
L'uomo che per decenni si è vantato di «ballare sulla testa dei serpenti» per la sua abilità di restare alla testa di un paese diviso da povertà, scarsezza di risorse e rivalità tribali, ha dovuto arrendersi ai medici: troppo gravi erano le sue condizioni - un frammento di granata a poca distanza dal cuore - dopo l'attacco subito venerdì nella moschea del suo compound, per restare a Sana'a.
Nella notte di sabato un aereo lo ha trasferito in Arabia Saudita, doveè seguito da medici tedeschi.
Subito dopo un altro velivoloè decollato: a bordo le due mogli e la maggioranza della famiglia. A Sana'a sono rimasti il figlio Ahmad e i nipoti Amar e Yahia, che controllano la guardia presidenziale e i servizi segreti, ma pochi dubitano che l'era della famiglia Saleh sia chiusa: «È finita. Se anche dovesse guarire i sauditi non permetteranno che torni, né che qualcuno dei suoi prenda il potere: la stabilità dello Yemen è troppo importante per essere ancora messaa rischio», sintetizza l'analista politico Abdel Ghani Al Eriani.
Quello che accadrà ora è più complicato da prevedere: il vicepresidente Abed Rabbo Mansour - che ieri, volendo lanciare un segnale di rassicurazione, ha parlato a lungo con gli uomini di Obama - sta trattando con l'opposizione per attuare l'accordo messo a punto nei giorni scorsi dal Consiglio dei Paesi del Golfo e rigettato da Saleh. Se tutto andrà secondo i piani, verrà varato un governo di unità nazionale per riscrivere la Costituzione e portare il Paese alle urne, presumibilmente non prima di un anno. Nel frattempo lo Yemen attraverserà una fase delicata, in cui non mancheranno pressioni, come quella dei militanti di Al Qaeda nella Penisola islamica, che nell'instabilità yemenita è cresciuto.
Un problema serio, di cui ieri però a Sana'a nessuno aveva troppa voglia di parlare: «Abbiamo vinto, solo questo conta ora», gridava da "Change Square" epicentro delle proteste, Surya al Hora, della Yemeni women union, uno dei gruppi anima della rivolta. «Saleh non se ne è andato per 2 settimane di combattimento con gli Al Ahmar, ma perché per 4 mesi gli yemeniti hanno urlato che il suo tempo era finito, hanno minato le basi del suo potere e costretto i paesi dell'area ad abbandonarlo». In strada, nella folla in festa, insieme a militari e islamisti, moltissimi giovani. Per loro il futuro non sarà facile: «Non sono organizzati e nella prima fase non potranno non essere schiacciati dall'opposizione, anche islamista, e da chi appoggiava Saleh: sono meglio preparati. Ma hanno mesi per prepararsi», dice Al Eriani. 

FRANCESCA CAFERRI

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