Libia, i calciatori contro il Colonnello con i ribelli diciassette star del pallone
Anche il calcio abbandona Muhammar Gheddafi. Come con Milosevic in Serbia, con Saddam Hussein in Iraq, quando sportivi e calciatori abbandonano il ruolo di valletti di regime e passano con l' altra squadra, la partita è persa. Sta accadendo anche a Gheddafi, e vedremo perché la fuga di 17 calciatori della nazionale e della serie A libica ha un significato militare negativo per Gheddafi. I diciassette si sono presentati nelle ultime ore in un alberghetto di Jadu, un paesone delle montagne Nafusa, la regione delle montagne occidentali alle spalle di Tripoli verso il confine tunisino. Fra i 17 ci sono il portiere della nazionale Juma Gtat, altri tre giocatori della selezione, e soprattutto l' allenatore di uno dei due club di Tripoli, Adel Bin Issa che guidava l' al Ahli. Gtat e Bin Issa hanno presentato il gruppo a un giornalista della Bbc che li ha incontrati nell' albergo di Jadu. Nella sua camera Juma, il portiere, si inventa un messaggio politico da lanciare al colonnello che fino a ieri terrorizzava un paese intero, calciatori compresi: «Io dico a Gheddafi di andarsene, di lasciarci in pace per poter creare una Libia libera. In effetti vorrei che lasciasse anche questo mondo, ma vedremo...». Anche in Libia, come sempre più in tutta l' Africa, il calcio ha conquistato una popolarità e gioca un ruolo con la politica e gli affari che ormai hanno cancellato il fatto sportivo. A Tripoli l' altra grande squadra, l' Ittihad, è sotto il controllo di Saadi Gheddafi, il figlio del leader che aveva provato l' avventura di calciatore in Italia affidandosi alle cure commerciali di Luciano Gaucci. Ninì Occhipinti, un trainer italiano, aveva allenato l' Ittihad prima di Donadoni, «ma io guidai la squadra nel 20022003, prima che passasse sotto il controllo del figlio di Gheddafi». Occhipinti non fa nessuna valutazione politica, «ma certo il controllo dei Gheddafi sul calcio era totale: per esempio Saadi per gelosia non volle che uno dei giocatori più bravi, Tarek Tajeb, passasse al Genova che era interessato a comprarlo. E il contratto non si fece». Il sistema Gheddafi, la cricca politica affaristica che negli ultimi 15 anni aveva accentuato la gestione mafioso-commerciale della Libia, aveva scelto il calcio come uno degli strumenti per accrescere la sua sfera di controllo del paese: «Al tempo in cui Saadi si occupava di calcio, Saif el Islam che oggi viene considerato l' erede del colonnello, si dedicava alla pittura», dice Ninì Occhipinti. Oggi l' Ittihad fornisce i suoi tifosi agli organizzatori politici che mandano giovani e donne in strada a manifestare per il regime nei giorni dei bombardamenti Nato: con un tariffario ben preciso, i tifosi dell' Ittihad manifestano sulla Piazza verde così come tifavano per la squadra del figlio del colonnello. Ma la defezione dei 17 calciatori conferma anche un altro elemento: le Nafusa Mountains sono diventate una vera e propria spina nel fianco di Gheddafi. È la regione più vicina a Tripoli, dove Gheddafi si è asserragliato con i suoi fedelissimi, e nonostante i ribelli siano un gruppo improvvisato e male armato come i loro compagni di Bengasi, la Montagna occidentale ormai è per buona parte sotto il loro controllo. Nella zona hanno le loro basi i capi ribelli che ormai spingono le loro staffette fino dentro Tripoli, dove stanno organizzando la resistenza armata. Secondo notizie di più fonti, i "ribelli delle montagne" hanno fatto entrare carichi di armi a Tripoli, hanno preso contatti con nuclei di oppositori a Gheddafi dentro la città, hanno contatti con capi e capetti della polizia e degli altri apparati di sicurezza gheddafiani che al momento opportuno abbandoneranno il regime. La defezione dei calciatori, quindi, è solo la spia di una manovra militare sempre più soffocante per il colonnello.
La Repubblica, 26/06/2011, Vincenzo Nigro
Gheddafi non parteciperà ai negoziati
MILANO- Muammar Gheddafi ha accettato di non partecipare a eventuali negoziati sulla Libia. Lo hanno riferito domenica capi di stato africani che stanno portando avanti la mediazione dell'Unione Africana per avviare trattative e porre fine al conflitto che va avanti da quattro mesi.
OBIETTIVO ONU NON È L'ASSASSINIO DEL RAIS -«L'intenzione della risoluzione dell'Onu non era quella di autorizzare una campagna per il cambiamento di regime o l'assassinio politico di Gheddafi» ha poi detto il presidente sudafricano Jacob Zuma, nel discorso di apertura del meeting del comitato dei mediatori dell'Unione africana sulla Libia, tenutosi a Pretoria. «Vite dei civili sono state perse a causa di queste bombe e le infrasttrutture hanno subìto danni indicivili», ha aggiunto Zuma riferendosi ai raid della Nato. «I bombardamenti della Nato sono andati oltre la risoluzione dell'Onu, che autorizzava l'uso della forza per proteggere i civili libici dagli attacchi delle truppe di Gheddafi», ha detto Zuma. «I cittadini libici ci chiedono di porre fine a questa carneficina e vogliono vedere una fine immediata del conflitto e l'inizio di un processo per l'amministrazione democratica», ha concluso.
«BISOGNA ARRESTARLO»- Di diverso avviso, la Corte dell'Aja : «Bisogna arrestate il leader libico Muammar Gheddafi per mettere fine ai crimini di guerra e contro l'umanità commessi in Libia dall'inizio del conflitto». È quanto sostiene il Procuratore della Corte penale internazionale (Cpi) dell'Aia, Luis Moreno Ocampo, che il 16 maggio scorso ha chiesto alla Corte di spiccare mandati di arresto a carico di Gheddafi, del figlio primogenito, Saif Al Islam, e del capo dei servizi di Intelligence, Abdallah Al Senussi. «I crimini vengono commessi ancora oggi in Libia. Per farli cessare e per proteggere i civili, Gheddafi deve essere arrestato», ha detto il procuratore in un comunicato. I giudici della Cpi si pronunceranno lunedì sulla richiesta di Moreno-Ocampo.
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