lunedì 26 settembre 2011

26/09/2011 ARABIA SAUDITA


Arabia Saudita, voto alle donne la svolta democratica della monarchia del petrolio

BEIRUT - Dopo una riflessione durata anni, re Abdullah bin Abd el Aziz al Saud ha annunciato che le donne saudite potranno finalmente votare e candidarsi alle elezioni amministrative, le uniche permesse In Arabia Saudita. Rappresentati femminili avranno anche accesso al Consiglio della Shura, una sorta di Camera con potere esclusivamente consultivo, composta da 150 membri di nomina reale. L´annuncio di re Abdullah ha fatto subito gridare alla "svolta" nella ultra conservatrice monarchia petrolifera. Essa, tuttavia, rappresenta soltanto una goccia nell´oceano che separa le donne saudite dalla condizione di parità.
L´occasione scelta da re Abdallah, un sovrano al quale viene attribuita una cauta propensione alle riforme, non poteva essere più solenne: l´apertura della nuova legislatura, se così si può dire, della Shura, inaugurata con un discorso di cui è stata diffusa soltanto la sintesi riguardante il voto alle donne. «Dal momento - ha detto il sovrano - che noi ci rifiutiamo di emarginare le donne in tutti quei ruoli conformi con la Sharia (la legge islamica, ndr), abbiamo deciso, dopo deliberazioni con i nostri anziani ulema (gli esponenti religiosi che fanno parte dell´omonimo potente consiglio, ndr) e con altri, di coinvolgere le donne nella Shura come membri, a partire dalla prossima sessione. Le donne potranno concorrere come candidate alle elezioni municipali e avranno persino il diritto di voto». Ma anche qui, a partire dalla tornata elettorale che dovrebbe aver luogo fra quattro anni, perché per le prossime elezioni, in programma il 29 settembre, tra tre giorni, è troppo tardi per avanzare candidature, o modificare le liste elettorali.
In un sistema dove i partiti sono vietati, come tutte le manifestazioni del libero pensiero e dove l´unica vera istituzione su cui si fonda lo stato è la famiglia reale, anche le elezioni amministrative rappresentano un´operazione largamente di facciata. Basta dire che il corpo elettorale elegge soltanto il 50 per cento dei consiglieri, l´altro 50 per cento essendo nominato dalla Corona. Non è un caso, poi, che alla scadenza del primo mandato, nel 2009, le elezioni comunali sono state tranquillamente rinviate di due anni.
E tuttavia per chi è costretto a vivere in una condizione di inferiorità e di sostanziale sottomissione, come di fatto sono le donne saudite, quel primo passo verso il riconoscimento dei diritti di cittadinanza è già qualcosa. Tant´è che, in previsione della scadenza del 29 settembre, alcune donne hanno voluto proporsi come candidate, ma solo per essere rifiutate. Ad aprile, una di queste, Samar Badawii, ha presentato un esposto al ministro per gli enti locali contro il bando alle donne. Contemporaneamente a Gedda, città considerata molto più tollerante di Riad, un gruppo di donne ha persino osato presentarsi al comitato elettorale per reclamare l´iscrizione nelle liste. Ma anche qui sono state respinte con perdite.
I consiglieri di re Abdullah devono aver tenuto presente tutto questo prima di annunciare la "svolta". Soprattutto avranno considerato il rischio che si ripeta quello che è successo la scorsa primavera, dopo la protesta delle donne contro il divieto di guidare la macchina e la pessima pubblicità che ne è venuta per l´austero regno del petrolio. Un regno dove le donne non possono esercitare alcun diritto se non assistite da un "tutore" o "guardiano". Non possono guidare, non possono viaggiare, non possono studiare materie non consentite, non possono lavorare se non come insegnanti (di classi femminili), o infermiere o medici (di reparti femminili). Non possono ereditare. Non possono scegliersi il marito. Non possono persino farsi sottoporre a determinate operazioni. Ma fra quattro anni, forse, voteranno.



Alberto Stabile


Una battaglia vinta in Rete ecco la "Primavera di Riad"

IL VENTO della primavera araba soffia anche sul Golfo e la monarchia saudita corre ai ripari prima che le sue folate si facciano impetuose.
L´annuncio, fatto dal re Abdullah, che le donne avranno diritto di voto e potranno candidarsi ed entreranno nel consiglio della Shura, è sicuramente una novità di rilievo. Anche se, per sopire le riserve dell´ala più conservatrice del regime, questi passi vengono diluiti nel tempo. Così le donne non potranno godere dell´elettorato attivo e passivo nella tornata delle municipali, uniche elezioni previste nel regno, del 29 settembre ma dovranno aspettare quattro anni. Anche la partecipazione alla Shura, organo che risponde al principio coranico della consultazione del leader con i suoi più stretti collaboratori e con le diverse "sensibilità" della comunità, riguarderà la prossima sessione. Il Consiglio, formato da 150 membri cooptati, è una sorta di antenna e, allo stesso tempo, una camera di compensazione, che la monarchia usa come recettore e mediatore delle diverse istanze che si muovono nella società.
La decisione di Abdullah è il frutto della battaglia modernizzante delle donne più giovani e istruite della vastissima famiglia reale e di quelle dei ceti che vi ruotano attorno. Donne che appartengono a pieno titolo alla nuova élite mondiale globalizzata, abituate a viaggiare e che spesso hanno completato la loro formazione, all´estero. Donne che discutono in Rete. Se esse non avessero posto il problema, nulla si sarebbe mosso. Nello Stato-rentier saudita, che ha storicamente rovesciato il principio liberale «niente tassazione senza rappresentanza» nel suo opposto patrimonialista «niente rappresentanza senza tassazione» - grazie ai proventi della rendita petrolifera i sauditi non pagano di fatto imposte - l´estensione del voto femminile tende a prevenire e svuotare le contestazioni che potrebbero arrivare da quei settori, pur minoritari, che chiedono maggiore democrazia e potrebbero godere della "non ostilità" degli Stati Uniti.
Quella battaglia non avrebbe avuto successo senza i profondi sconvolgimenti che stanno scuotendo la Mezzaluna. Concedere più spazio alle donne, anche se molti nella Shura avevano sconsigliato il loro diritto a candidarsi, è ritenuto il male minore di fronte alla prospettiva del "contagio" esterno. Giudizio condiviso anche in quei settori della famiglia reale e degli ulama meno favorevoli all´apertura. Essi sanno che nel mondo islamico il Dio del Politico è maschio. E l´ascesa al cielo delle donne è ritenuta controllabile. Molto di più di quanto sarebbe avvenuto se il regime avesse concesso loro maggiori diritti sul terreno dei diritti civili. Come ricordano le mobilitazioni, apparentemente impolitiche, che le donne hanno fatto per poter guidare o quelle, ancora sotto traccia, per spostarsi senza essere accompagnate, o prendere una decisione, senza coinvolgere un familiare maschio che funge da "tutore".
Riconoscere questi diritti avrebbe voluto dire lasciare spazio all´autonomia e alla libertà femminile. Un passo che sia il regime, sia il corpo sociale maschile, rigidi fautori del controllo del corpo femminile, non vogliono compiere. Paradossalmente ma non troppo, la concessione di maggiori libertà politiche senza allargare prima quelle civili, consente di accantonare questioni dirompenti, destinate a sollevare il veto degli ulama, veri garanti della legittimazione religiosa dei Saud. Una scommessa comunque, quella del Regno: la soggettività femminile si sta rivelando ovunque una variabile di non facile controllo. Pur tra mille resistenze, potrebbe farsi strada anche nei, sin qui, impenetrabili labirinti maschili del potere saudita.



Renzo Guolo















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